di Andrea Fais
Una pagliacciata va in scena a Napoli. Come se non bastassero dieci anni di giunte Jervolino-Bassolino, ora si inneggia alla “comunalizzazione” delle reti idriche. Il nuovo eroe dell’alternativa all’alternativa dell’alternativa è De Magistris, che, di fatto, ha semplicemente affidato ad un’azienda municipalizzata il controllo delle reti e delle condotte dell’acqua del Comune di Napoli, come numerosi altri enti amministrativi hanno fatto in passato.
Ora il punto è proprio questo. Sempre più spesso la soluzione delle aziende municipalizzate si è rivelata un ulteriore problema, nella misura in cui introduce meccanismi di gestione tutt’altro che limpidi, dove all’affarismo dei privati si sostituisce l’affarismo delle giunte comunali o provinciali, secondo la logica degli “amici degli amici”. Questa pratica, ormai ampiamente consolidata in Italia, si serve ovviamente della falsa dicotomia pubblico/privato, usata come uno strumento ideologico dai due poli politici dominanti per nascondere questioni molto più complesse, tanto nel settore dell’amministrazione locale quanto nell’ambito nazionale.
De Magistris è lo stesso personaggio che, pochi giorni dopo la sua elezione al Comune, patrocinò la visita di Joe Biden presso la base americana di Capodichino, auspicando ed invitando ufficialmente il presidente americano Obama a Napoli per il prossimo dicembre. In quell’occasione De Magistris ringraziò l’esercito statunitense per l’impegno internazionale e ricordò l’importanza della Nato e delle missioni militari delle nostre Forze Armate all’estero. Era giugno e la guerra in Libia era cominciata proprio pochi mesi prima, e Napoli stava rappresentando in quella fase il principale scenario di monitoraggio e comando delle forze di aria e di mare della Nato, impegnate ad aggredire militarmente il suolo libico, favorendo così l’avanzata dei ribelli e l’instaurazione del CNT, con tutte le devastanti conseguenze che oggi conosciamo.
Già tempo prima, la sinistra radicale italiana aveva fornito tutto il suo sostegno nell’opera di diffusione di un clima mediatico ostile nei confronti della Giamairia libica di Gheddafi, con manifestazioni e cortei contro il legittimo leader libico. Dall’assalto all’Ambasciata della Giamairia da parte di FdS, Sinistra Critica e PCL, fino alla recente vergognosa marcia (degli invertebrati) della pace, passando per la manifestazione del PD e della CGIL dove sia i vertici del partito di Bersani e Letta, sia la neo-eletta segretario Camusso, chiesero un immediato intervento occidentale nel paese africano, affinché si ponesse fine alle fantomatiche violenze commesse dal Colonnello contro il suo popolo: violenze – come ben documentato dai satelliti militari russi – mai avvenute.
Vendola aveva poi tuonato contro il governo tripolino, lanciando un monito anche a Cuba, Iran e Cina. Senz’altro impauriti dal caudillo omosessuale delle Puglie, Hu Jintao, Fidel Castro e Ahmadinejad incarnavano così, nel meticoloso ed inutile linguaggio post-modernista del presidente della regione Puglia, un nuovo axis of evil di bushiana memoria. Passano le amministrazioni e le tendenze politiche, ma evidentemente nei leader politici occidentali i vizi dell’ostracismo e del manicheismo internazionale rimangono ben saldi.
La realtà è che questa sinistra fa schifo. Fa proprio schifo nel suo moralismo accattone, capace di lanciare strali e di scandalizzarsi per una Minetti o per una Noemi, ma addirittura compiaciuto per quanto avvenuto in Libia: dalla Bonino e da Pannella – che ha sempre qualche parola di conforto persino per i più schifosi avanzi di galera – fino alle propaggini delle tante sinistre alternative da cabaret, nessuno ha osato fiatare dinnanzi alla barbarie neo-colonialista, che – in quanto a crudeltà ed ipocrisia – ha ormai superato persino le vecchie scandalose “imprese” abissine del primo Novecento. I titoli della cartastraccia (stampata) anglofona e non, rasentano la vergogna, il rifiuto per qualsiasi senso di umanità e dignità: la vendetta (“Questo è per Lockerbie”), l’abominio (“Non importa come, l’importante è che sia stato messo KO”), il razzismo più bieco e barbaro (“Cammellaro, beduino” ecc.. ecc..), dimostrano che questa civiltà occidentale – se mai è esistita – oggi può ben dirsi al suo capolinea, al suo completo decadimento e alla sua fine. Nobel per la pace assegnati a terroristi e criminali come Walesa, Gorbaciov o il Dalai Lama, diritti umani sbandierati a tassametro per meri interessi strategici, dualismo morale e separazione tra terrorismo “buono” (quello diretto contro Russia e Cina) e “cattivo” (quello diretto contro l’Occidente), aggressioni colonialiste spacciate per interventi umanitari: siamo alla frutta.
Non c’è alcuna speranza, e le numerose manifestazioni contro Berlusconi dimostrano tutta l’inutilità di un ambiente militante che ha trasformato la vecchia (e comunque ormai anacronistica) dialettica di classe in una specie di fede sportiva nell’anticapitalismo, lasciandosi tranquillamente inglobare nelle anguste strade teoriche di Karl Popper e di Toni Negri, laddove le “moltitudini” prendono il posto del vecchio proletariato urbano, dove i “diseredati” e gli “ultimi” sostituiscono la storica classe operaia, mentre un moralismo in salsa catto-comunista soppianta la vecchia analisi scientifica dei rapporti di produzione e di scambio (e, ovviamente, di forza).
In questa confusione anarcoide, appare consequenziale che personaggi come George Soros e Mario Draghi possano tranquillamente schierarsi dalla parte di una farsesca indignazione sociale che non ha alcuna reale funzione politica, se non quella di rispolverare – attraverso una parvenza di pluralismo – la reputazione di un Occidente ormai completamente devastato al suo stesso interno.
Dovevamo aspettarcelo che proprio la sinistra, in Occidente, avrebbe incarnato – persino in maggior misura di una destra comunque odiosa e insopportabile – questo tipo di sub-cultura post-illuminista, dove un arrogante cosmopolitismo borghese e radical-chic tenta di imporre al resto del mondo la globalizzazione di presunti “valori civili” e fantomatici “diritti umani”, nel nome di una missione civilizzatrice, che nulla ha da invidiare alla barbarie dell’Inghilterra vittoriana o della Francia napoleonica e post-napoleonica. La Russia resta il “nemico slavo-tartaro dell’Est”, la Cina resta il “dormiente pericolo”, la Persia una “terra di conquista”, l’Africa un “pozzo di materie prime”, e l’Asia in genere una costellazione di avamposti navali da sfruttare a pieno regime. Cosa è cambiato? Un uomo di colore ben inserito nei gangli del sistema occidentale ha sostituito i boccoluti leader del XIX secolo, lanciando così un monito al mondo: “sì, noi possiamo”. Noi chi? Sempre loro. L’aggressore occidentale, che cambia pelle (in tutti i sensi) ma non il vizio: invadere, rapinare, depredare, schiavizzare, ripresentandosi in patria col volto pulito di chi ha appena compiuto un gesto di carità e generosità. La Libia è ora democratica e libera. Amen.