La storia antica della Sardegna ci è giunta esclusivamente tramite autori non sardi, raccontata da greci e romani che la adattarono alle loro esigenze politiche. I testi furono più volte manipolati, e le notizie sono tramandate da scrittori vissuti dal V a.C., tuttavia, le tappe indicate dagli storici antichi trovano corrispondenze nei dati archeologici.
Secondo Pausania e altri, i primi abitanti della Sardegna furono gli indigeni nati dalla Madre Terra. Per indicare gli abitanti dell’isola nel loro complesso, ci si riferisce ai sardi, e gli scrittori greci più antichi (Orfeo, Esiodo e Omero), descrivono vicende legate all’epoca micenea e ai sardi che assediarono Creta al tempo di Talos, prima dell’arrivo degli argonauti di Giasone. Mentre i sardi sono sempre ubicati in Sardegna, le altre tribù stanziate nell’isola, Corsi e Balari, richiamano altre terre, rispettivamente la Corsica e le Baleari. Nell’antichità, spesso i nomi della terra e del popolo coincidevano, pertanto, se dovessimo stabilire l’origine del nome della Sardegna, avvalendoci dei documenti letterari antichi, dovremmo cercarla attraverso i suoi stessi antichi abitanti neolitici.
La stirpe sarda dovrebbe essere stata generata dalla Dea Madre con la sua discendente più antica: Medusa, regina di Sardegna, Corsica e Libya. Questo personaggio pietrificava con lo sguardo, metafora della divinità che creò i menhir. E’ rilevante il fatto che Medusa è talora riportata come la regina delle Amazzoni, che porta i suoi attacchi nel Peloponneso e assedia Perseo a Micene. Rappresenta il pericolo che da Occidente scuote il Mediterraneo Orientale. Ereditò il potere dal padre Forcus, un re del Mare (paredro della Dea Madre Terra) assimilabile al Poseidone greco, re del pericoloso pelagos spumeggiante. Questa divinità occidentale, col suo palo biforcuto, avrebbe potuto reggere la volta celeste e, con la forcella, aiutare i rabdomanti nella ricerca della preziosa acqua che sgorga dal suolo (nei bronzetti, a mio parere, rappresentato dal cosiddetto “Musico” di Lilliu).
I figli di Medusa e Forcus-Poseidone, sono interpretabili in chiave simbolica. Si tratta di Crisaore e Pegaso. Il primo, padre di Gerione, l’invincibile spadaccino, decorato con la spada d’oro, rappresenta la forte componente guerriera sardo-libica. Il secondo, Pegaso, ricordato come il cavallo alato che vola come il vento, è forse da abbinare alla flotta di vascelli occidentali che si spinsero a Oriente mossi dalle vele. Gerione, figlio di Crisaore, è Re di Tartesso, e difese le sue mandrie di buoi rossi da Eracle, inviato nella sua decima fatica a Occidente dal Re di Micene, Euristeo. Non dimentichiamo che Gerione è stato riconosciuto anche nel mostro a tre teste, forse legate a tre potenti imperi occidentali che agivano in perfetta alleanza. Gerione, dunque, è nipote di Medusa e padre di Eritheia, la rossa che sposò Hermes, fratello di Eracle, da cui generò Norace. Ricordiamo che Eracle portò via la mandria di buoi rossi (metafora dei lingotti in rame ox-hide) proprio dall’isola che i greci chiamano Eritheia. Erodoto, a questo proposito, racconta che Gerione viveva fuori dal Ponto (il Mediterraneo Orientale), su un’isola posta oltre le Colonne d’Ercole, sulle rive dell’Oceano (da non confondersi con l’attuale Atlantico). Eritheia (Erizia) è un luogo strategico posto lungo la rotta del rame e dell’argento, e dello stagno proveniente dalle Cassiteriti, le isole della Cornovaglia. Il colore di Erizia (la Rossa), deriva dalla sua posizione occidentale (colore del tramonto) e, soprattutto, dal rosso di quei buoi che Eracle ruba a Gerione (i lingotti in rame a forma di pelle di bue). Altre figure di rilievo, inseribili a pieno titolo nella discendenza matrilineare legata all’isola, sono Sardòa, della dinastia regale di Micene, e Sarda, moglie di Tyrrenòs, fondatore della stirpe dei Tirreni. Secondo le fonti letterarie più autorevoli, i Corsi a nord, e i Sardi a sud, erano già in Sardegna quando giunsero i Balari, chiamati “fuggiaschi” dai Corsi, e quindi considerati degli immigrati. Una delle prime figure maschili a comparire nella genealogia sarda è Norace. Sallustio, come ho scritto sopra, racconta che fosse figlio di Hermes (fratello di Eracle) e di Eritheia la rossa, figlia di Gerione. Grazie a Pausania e Solino, è possibile descrivere sommariamente la saga degli Iberi condotti da Norace in Sardegna. Solino, citando il Timeo, offre informazioni geografiche e storiche a riguardo. Egli racconta che gli Iberi, guidati da Norace, provengono da Tartesso, la regione mineraria ricca d’argento e piombo, intermediaria dello stagno. Norace, nei suoi peregrinaggi commerciali, fonda Nora. Solino aggiunge che gli Iberi erano in conflitto con i Libi, e la pace arrivò con Aristeo, fondatore di Cagliari, che unì le genti dei due popoli. Nelle genealogie del Peloponneso, Perseo ed Eracle sono riferiti a 5 e 3 generazioni prima della guerra di Troia, avvenuta alla metà del XIII a.C., nell’ambito dei conflitti legati all’invasione dei Popoli del Mare. Secondo questa genealogia, dunque, Perseo sarebbe da inquadrare circa al 1370 a.C. ed Eracle al 1320 a.C. Di conseguenza, l’uccisione della regina Medusa avvenne nei primi decenni del XIV a.C., mentre Norace si collocherebbe ai tempi della guerra di Qadesh fra Ittiti ed Egizi, o nella fase che precede l’avvento dei Popoli del Mare.
E’ evidente che quando i fenici posero piede a Nora, intorno al IX a.C., come attestato sulla famosa stele, ossia nello stesso periodo in cui Didone, sorella di Pigmalione, Re di Tiro, fuggì rubando il tesoro del tempio e fondando Cartagine, la città di Nora era già florida essendo stata fondata da Norace almeno 4 secoli prima. Se, come penso, Tartesso è da riferire a Tharros, si deduce che la popolazione mista iberico-sarda insediata nel Golfo di Oristano, è artefice di quel miracolo commerciale che la letteratura riferisce alla mitica Tarsis biblica e che gli archeologi, invece, cercano nell’Andalusia del Guadalquivir. Il territorio tartessico si estendeva dalla Nurra, in grado di controllare i traffici marittimi provenienti dal golfo del Leone, dalle Baleari e dalle Bocche di Bonifacio, fino a Nora (e forse a Cagliari), a dimostrazione di una talassocrazia commerciale sarda ancora non indagata dagli studiosi. Il centro amministrativo era Tharros, vero cuore pulsante dell’economia del Mediterraneo Occidentale, mentre tutti gli approdi-empori presenti lungo le coste costituivano l’ossatura di una potenza marittima che faceva del commercio il proprio cavallo di battaglia. A questo punto nascono alcune riflessioni da approfondire.
L’età fenicia si distingue per le relazioni commerciali fra oriente e occidente, e i vari popoli levantini che approdarono nell’isola dovettero stabilire alleanze per essere accolti pacificamente dai potenti sardi nuragici. Secondo il mito, lo fecero attraverso il richiamo a un eroe indigeno di matrice iberica, quel Norax-Norace, eponimo del nuraghe. Tuttavia i nuraghi riportano questo eroe all’inizio del Bronzo Medio. Il sito di Nora aveva un nome che, come quello del nuraghe e dell’eroe Norace, era ritenuto di origine tartessica. Pertanto, quello di Norace non è un mito che può legarsi a Eracle, infatti l’impresa dell’eroe di Tirinto, dopo l’uccisione di Gerione, il re locale, non è coronata, come dovrebbe, con il matrimonio con la figlia Erizia e, quindi, con l’acquisizione del regno. E’ altrettanto evidente che Norax è riportato dagli autori greci in un’età molto più recente, proprio ai tempi della guerra di Troia, così che le sue vicende siano successive alle imprese degli eroi greci Aristeo, Iolao e Dedalo, così da assegnare un’origine greca alla civiltà dei nuraghi. Resta da stabilire chi furono quegli Iberi che sbarcarono sull’isola nel Bronzo Antico, l’epoca del Vaso Campaniforme, i secoli in cui si formò il sostrato della civiltà nuragica. La letteratura e l’archeologia ci vengono incontro con alcuni dati. Scheletri differenti dai precedenti compaiono nelle zone nord occidentali della Sardegna. Hanno la testa corta e si diffondono a macchia d’olio verso l’interno dell’isola, a spese dei Corsi, relegati nella Gallura, e dei Libi-sardi, spinti a sud del Tirso. Avieno racconta di genti iberiche transitate in Sardegna dopo essere state cacciate via dai liguri. Si tratta dei Sicani che, dopo numerose peripezie, sbarcano nella Sicilia Occidentale portando la cultura del Vaso Campaniforme. Pressappoco la stessa storia è raccontata da altri autori, Ecateo, Filisto ed Eforo. Sappiamo che all’epoca della costruzione dei primi nuraghi a corridoio, intorno al 1650 a.C., l’unica popolazione di origine iberica presente nell’isola è quella dei Balari. Costoro, hanno una corporatura simile a quella dei Sicani, e verosimilmente hanno origini comuni. La strada più breve per chi giunge in Sardegna dalla penisola iberica passa dalle Baleari, e l’antica denominazione di Minorca era Nure, come Nurra si chiama ancora la regione posta nel nord-ovest della Sardegna e Nure è il nome di un insediamento ubicato a nord di Alghero. I dati archeologici, linguistici e letterari, dunque, sono concordi nell’individuare una popolazione che giunse in Sardegna dalla penisola iberica. Queste genti, che diedero il nome alle isole Baleari, si riconoscono nei Balari. Se gli Iberi sono da riconoscersi nei Balari, il loro eroe Norax si contrappose a Sardo, antenato dei Sardi e dei Libi, che si stanziarono nel sud dell’isola. Pausania racconta che il più importante fiume sardo, il Tirso (Tharsos) segnava l’antico confine fra Iolei-Iliei (greci e troiani) a sud e “barbari” a nord. Questi ultimi sono da riconoscersi negli iberici Balari.
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