I segni

Da Foscasensi @foscasensi

In un albergo quindici anni fa avevo assegnata una camera con altre mie compagne di scuola e c’era un ragazzo con noi perché la mia amica più amata era riuscita a farlo entrare e dormivano così abbracciati o poco altro mentre io guardavo dalla finestra la strada appannata lungo la costiera amalfitana. Il giorno giunse in fretta e lei si svegliò raggiante chiedendomi se si poteva restare incinta così e colà ma io non ne sapevo poi molto e mi tenni sul vago, con qualche gesto per dire che tutto su due piedi non era possibile spiegare. Poi mi interrogai perché a me non succedesse nulla del genere e per farlo provai i capelli allo specchio, pensando che magari fosse perché cadevano male. E nel gesto di portarli indietro il tempo accelerò e vertiginosamente vidi coi miei occhi spirituali come sarei stata adesso, in quali momenti del volto si sarebbero approfonditi i segni del l’invecchiare, come sarebbero caduti i lineamenti, quanto più duro o più triste sarebbe stato lo sguardo. E tutto successe così chiaramente che mi spaventai e volli tornare al mio volto presente, e di nuovo il tempo obbedì a se stesso e la mia faccia tornò intatta. Dieci anni fa sempre davanti allo specchio mi scurivo le ciglia e senza accorgermene formulai l’incantesimo che il mio viso non sarebbe mai cambiato. Oggi  ogni giorno che mi segna è benedetto perché mi ricorda di poter stare in pace col mio tempo mentre sulla cera del volto si imprimono di momento in momento tutti i passaggi salienti, tutto il soffrire e la gioia, come il ragno e la sua tela. Dell’invecchiare resta lo spavento e le infinite delicatezze per cui do giorno in giorno diventa impossibile formulare giudizi sulle cose e le persone come chi si accorge, a un certo punto, di non avere più parole per parlare del mondo che gli cresce intorno.


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