Magazine Cultura
Questo spettacolo è un regalo, e come tale non dovrebbe essere sprecato perché troppo prezioso per non coglierne il valore artistico, tenico ed educativo.Enrico Bonavera, reduce da anni di tournée con lo storico Arlecchino che fu di Strehler e che ora è di Soleri, è uno dei maggiori esperti italiani ed europei di Commedia dell'Arte, e proprio per farci (ri)scoprire il teatro delle Maschere ha costruito questo percorso agilissimo nella tradizione del nostro teatro. Alternando la cornice storica di contestualizzazione e l'interpretazione delle Maschere più famose, Bonavera ci porta a Venezia e a Genova, e dipinge queste città con tanta vividezza che ci sembra di essere sul Ponte di Rialto o in Via Balbi. Si rimane affascinati, stupefatti, stregati per la rapidità, l'abilità tecnica, la precisione con cui Bonavera dà vita alle Maschere: Zanni, Pantalone, il Dottore, il Capitano. E per finire la Maschera più popolare: Arlecchino.Bonavera è scuola vivente di tecnica fisica e vocale, ma anche di storia della Commedia. Ci racconta aneddoti sulla nascita delle Maschere che sui manuali non si trovano: per esempio, Pantalone in origine era il Mercante ebreo, come dimostrano il berretto rosso e le calzature orientali. E proprio le scarpe, più ancora delle maschere, sono il segno distintivo che caratterizza i personaggi. Il brindisi finale alle personalità che hanno fatto la storia della Commedia è un bel modo per farci conoscere nomi che altrimenti rimarebbero oscurati dai secoli che sono passati.Già, sono passati secoli dalla nascita della Commedia, quasi cinquecento anni. Eppure guardando la magia dell'attore che crea un universo di gesti, voci, posture, grazie a una maschera, qualche elemento costumistico, ma soprattutto grazie a se stesso e al proprio corpo; guardando questo spettacolo non possiamo non ritrovare le nostre origini che ci portiamo dentro come un marchio, una grandezza che ci ha reso gli inventori del teatro moderno, con quella figura dell'attore-artigiano-artista-giullare che si inventa un mondo e vi ci porta tutti quelli che lo guardano e che stanno al suo gioco. Il gioco del teatro. Forse la Commedia nasce come un gioco, per evitare censure e condanne. Forse il teatro rimane sempre un luogo dove si giuoca a fare sul serio. Forse proprio nella Commedia riconosciamo la nostra unità culturale, la nostra atavica appartenenza a una medesima tradizione. Io credo che sia importante mantenere questa tradizione e ritrovare in essa la dignità e l'orgoglio del nostro teatro, soprattutto oggi che questo nostro teatro viene fortemente messo in discussione. Non disperiamoci: se il teatro è sopravvissuto agli anni medievali della censura e della condanna ecclesiastica, per poi rinascere dando vita proprio alla Commedia direi che possiamo avere la speranza che torneranno a fiorire gli anni del grande teatro. Ma soprattutto: possiamo essere sicuri che il teatro non morirà mai. Anche senza sovvenzioni statali.
Ultima considerazione: forse se questo spettacolo fosse stato rappresentato alla Scatola Magica del Piccolo Teatro gli sarebbe stato riconosciuto il valore che ha. La sala fa il monaco, purtroppo. Per questo motivo vanno sostenute le sale che hanno una programmazione attenta alla drammaturgia contemporanea e che propone lavori di qualità (anche se meno blasonati): lo Spazio Tertulliano è una nuova, piacevole realtà.
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