Uno dei libri che più amo di sempre è Il nome della rosa, da cui è stato poi tratto un film altrettanto bello. Il valore del più bel libro di Eco trascende i generi e ha il grande pregio di riuscire a piacere a tutti, perfino a chi non è un “lettore forte”. Il perché non è nemmeno facilmente identificabile, visto che Il nome della rosa non è un testo di semplice comprensione, partendo da un presupposto storico. Eppure è piaciuto e continua a piacere.
Si tratta anche di un romanzo intriso di meta-scrittura, visto che è un continuo susseguirsi di citazioni di altri titoli e autori.
Vi è poi, ma ho dovuti cercarli molto bene, chi considera Il nome della rosa anche come uno scrigno che contiene delle verità “esoteriche” assai ben celate. Visto che il mio blog, tra serio e faceto, si occupa spesso anche di cospirazionismo e di teorie del complotto, oggi volevo accennarvi qualche dato essenziale su questa ipotesi.
Partiamo da una definizione data da Eco stesso, che definì il suo romanzo un libro con diversi piani di lettura, pieno di riferimenti esplici e impliciti. Secondo diversi recensori Il nome della rosa è un libro che parla di libri. Sempre Eco dice che questa è una caratteristica comune ai grandi scrittori (il professore non pecca evidentemente di falsa modestia).
Al di là del significato artistico e filosofico di questo assunto, esso si riallaccia a uno dei dogmi degli studiosi cospirazionisti: i segreti si tramandano attraverso i libri, mascherandoli da romanzi, da “fiction”. Una regola forse non tanto diffusa quanto vorrebbero i complottisti, ma di certo con diversi riscontri nella realtà, soprattutto in passato, quando lo scrivere aveva un significato meno commerciale e più elevato.
Il nome della rosa apparterebbe a una precisa categoria di libri che tramanderebbero ammonimenti contro una delle società segrete più potenti e antiche al mondo di cui, ehm, preferirei non citare direttamente il nome. Vi basti sapere che si tratterebbe di una setta in grado di affermare il proprio dominio attraverso patti e sacrifici di sangue. Omicidi rituali, insomma. Del resto Eco, nel romanzo, parla di “un libro che uccide e per il quale gli uomini uccidono”.
Il titolo citato dal professore è la Poetica, di Aristotele, una commedia. I complottisti pensano che questo sia solo un rimando al vero testo incriminato, la Divina Commedia di Dante Alighieri, chiamato inizialmente solo Commedia. Aggiungiamo anche che tra Dante e Aristotele esiste un legame diretto e importante. L'Alighieri lo descrive come “il maestro di coloro che sanno”. Non solo, la Divina Commedia ha una struttura detta tolemaico-aristotelica.
Altro riferimento che ci riconduce a Dante è in uno dei protagonisti del romanzo, ovverosia nella figura dell’assassino; il suo nome è Jorge da Burgos, ed è un frate che spesso, nel suo parlare, utilizza espressioni chiaramente riferentesi a San Bernardo di Chiaravalle. Qui il riferimento dantesco è duplice. 1) San Bernardo è colui che guida Dante in Paradiso, negli ultimi canti, per arrivare alla Candida Rosa dei Beati. E san Bernardo non è stato certamente scelto a caso; egli era infatti il creatore della regola templare, il che conferma quello che molti studi storici hanno affermato, cioè che Dante era un templare e un rosacroce.
Aggiungiamo un altro anello alla catena. Burgos richiama esplicitamente a Jorge Luis Borges. Il grande scrittore argentino è stato un grande appassionato di Dante, tanto che molte sue opere sono state definite di immanentismo dantesco. L’autore, tra le altre cose, fa spesso riferimento simbolico alla rosa, e ha dedicato a Dante più di un’opera, in particolare “Nove saggi danteschi”; le sue opere contengono inoltre riferimenti cabalistici e alla cultura ebraica.
Tutta la Divina Commedia è, in fondo, il viaggio di Dante per arrivare a vedere Dio e la Candida Rosa dei Beati. Eco ha, quindi, disseminato la sua opera di indizi che riconducono a Dante Alighieri. Si può allora concludere che il libro maledetto, il libro che non si può decifrare, il libro “che uccide e per il quale gli uomini uccidono”, altro non è che la Divina Commedia di Dante.
Un dettaglio che può ricollegare questi dettagli apparentemente slegati è il ricorrere di riferimenti danteschi in vari, efferati episodi di cronaca nera che hanno insanguinato l'Italia (e non solo) negli ultimi anni. Dal delitto Moro al Mostro di Firenze, passando per Cogne ed Erba. Elencare quali sono questi riferimenti, spesso spacciati per coincidenze, è un'altra storia. E, lasciatemelo dire, fa un po' paura. Magari un domani ve ne parlerò, anche se non troppo tempo fa ho già destinato all'argomento un racconto, passato (non involontariamente) quasi inosservato qui sul blog.
Vaneggiamenti? Storielle? Frottole? Probabilmente sì, ma che non fanno altro che sottolineare il valore intrinseco di un romanzo costruito in modo da entrare nel ristretto novero della letteratura che conta, al contempo popolare ed elevata.
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Fonte: http://www.leonardodavincics1.it/