Negli ultimi giorni il sole ha brillato tiepido, là sulla mia casa in cima alla collina (sì, vivo in un paradiso pur non avendo abbandonato Milano, la città “che tanto amo“), e sembrava proprio il momento giusto per dedicare all’orto qualche goccia di sudore e pranzare fuori ascoltando il tenue ronzio di insetti appena svegli e di timidi uccellini. La primavera sta arrivando e la pelle, il cuore e la mente si rivolgono al sole come la corolla della prima margherita dell’anno.
Nel libro che ho adorato, Giardino & Ortoterapia, di cui ho parlato anche qui, c’era un bellissimo paragone fra la mente e la terra. Più le lavori e le tieni vive, più sarà facile estirpare le erbacce così come i cattivi pensieri.
Niente di più semplice e di più vero.
Così con questo pensiero ho iniziato a zappare la terra ribaltando grosse zolle, sacrificando alcune delle piantine sfigatelle che sono cresciute male durante l’inverno, rincalzando quelle che invece hanno tratto linfa perfino dalla bellissima nevicata di un mese fa (il mitico cavolo portoghese, le lattughine e alcune trevigiane di un bel viola intenso).
Poi ho zappettato le zolle fino a renderle morbide e piccole, ho strappato tutte le erbacce e delimitato gli spazi, cercando di immaginarmi già come sarà.
Un po’ di cenere della stufa a legna, un po’ d’acqua per ammorbidire la terra sabbiosa e argillosa, una rastrellata per pareggiare i quadrati.
L’alchechengio sta crescendo pian piano, ma so che appena sarà sfiorato dal sole (è in un angolino all’ombra della casa, poveretto), sparerà tanti di quei frutti da farmi venire un’indigestione di vitamina C.
L’alloro è su un lato dell’orto e temo di averlo piazzato nel luogo sbagliato, o forse il più giusto. Verrà su una siepe e forse sarà una meraviglia e un’ottima protezione dalla strada.
In compagnia del figlio di un’amica, Kahlo, quattro anni, abbiamo lanciato qualche seme di spinaci e di ravanelli nella terra del futuro orto, che col sole, il tepore dei suoi raggi e buona acqua piovana cresceranno certamente molto presto. Niente filari, solo tre quadrati di verdure miste, quest’anno.
Abbiamo riempito alcuni cilindretti di cartone riciclato con un po’ di terra, dove poggiare delicatamente e poi coprire uno o due semini di pomodori, ravanelli e piselli, da tenere poi in casa davanti alla finestra più luminosa.
Poi, dato che durante una passeggiata avevamo strappato alla terra un tronchetto di bambù con la radice e qualche rametto di una pianta grassa graziosa, abbiamo interrato pure quelli e bagnato abbondantemente.
I semini più delicati (basilico e prezzemolo, piselli, pomodori) sono quindi al sicuro dentro la “serra” casalinga, disposti su un carrellino con le ruote in faccia al sole del pomeriggio, e saranno trapiantati una volta cresciuti a sufficienza; quelli che chissà-se-vien-su-qualcosa sono anch’essi in casa (peperoncino, coriandolo, melograno, stevia, petunia e forse un giorno un avocado), e le piante che dovrebbero rigogliare nel loro splendore per decorare finestre e muri sono un po’ lente a crescere ma godono di tutto il mio amore, e anche di quello dei gatti, talvolta, ahimè. Spatifillo, Miseria verde e viola, Edera, Pothos, Fittonia, Grapto, Aloe, Portulaca, due rametti di geranio rubati per i vasi di Milano, e spero molte altre magari arrubbate in giro, magari. Ché il verde è di tutti.
Fuori invece, appese alla finestra, le prime primule, una viola e una rossa e arancione, quattro bulbi di Crocus, e nel prato tante violette e i giacinti viola che non aspettano altro che esplodere.
Insomma, la primavera non mi è mai stata così amica come in Portogallo l’anno scorso e come adesso, qui in questo luogo, in questo stato mentale, spirituale e fisico.
Perciò credo di non poter fare altro che ringraziare questa magia e godermela.