Bruxelles ha promesso all’Ucraina di introdurre un regime di esenzione dal visto d’ingresso entro il 2016, anno in cui entrerà in vigore il tanto discusso Accordo di libero scambio tra Kiev e l’Ue, all’origine della crisi politica che due anni fa portò alla rivolta di Piazza Maidan e alla caduta di Viktor Yanukovic. I difficili negoziati sono iniziati oltre sette anni fa, da quando il governo filo-occidentale di Viktor Yushenko abolì i visti per i visitatori occidentali in Ucraina, nella speranza che l’Occidente avrebbe “ricambiato” la gentilezza. Poi però l’inconsistenza della Rivoluzione Arancione divenne palese come le sue false promesse, tanto che nel 2010 gli ucraini scelsero il russofono Viktor Yanukovic come nuovo presidente. E i negoziati con Bruxelles si fermarono. Quindi nel febbraio 2014 Yanukovic venne deposto, l’Ucraina venne riammessa al tavolo delle trattative, e obbligata ad avviare serie riforme economiche e sociali propedeutiche all’ingresso nell’Area di Libero Scambio con l’Ue, nella quale la libera circolazione delle persone non era inclusa.
Poi pochi giorni fa, con un trionfalistico post su Facebook («Ce l’abbiamo fatta!»), è arrivato l’ennesimo annuncio del presidente Petro Poroshenko su di un’imminente eliminazione dei visti per i cittadini ucraini che si recano a cercar lavoro in Europa. In realtà, le cose non sono così semplici come l’ex magnate del cioccolato vuol far credere ai suoi elettori: come specificato dal partito d’opposizione Samopomych, il nuovo regime riguarderà solo i visti turistici e non i permessi di lavoro: per questi ultimi serviranno altre regole ancora da definire.
E messe così le cose cambiano non è poco, visto che l’Ucraina ha un’enorme fame di lavoro e l’emigrazione verso l’Ue rappresenta una speranza per molti. Secondo stime della Credit Suisse, l’Ucraina ha il reddito pro-capite più basso d’Europa, appena 180 euro al mese. Dagli sconvolgimenti di Euromaidan del 2014, circa 2 milioni e mezzo di ucraini sono rimasti disoccupati e il loro numero continua a crescere. Prima di allora, era la Russia lo sbocco naturale dei senza-lavoro ucraini, che con le loro rimesse (stimate per una cifra superiore al miliardo di dollari a metà 2014) contribuivano non poco a migliorare le condizioni di vita dei loro familiari rimasti in patria. Ma come molti avevano previsto, la rottura dei legami economici e commerciali con la Russia ha comportato sia una stretta sulla manodopera ucraina, sia la chiusura di molte grandi industrie pesanti del settore meccanico e siderurgico che operavano sul mercato russo, e per un effetto-domino anche di quelle piccole e medie che vivevano del loro indotto.
E se i settori tradizionali piangono, le imprese dell’IT, dove l’Ucraina avrebbe potuto essere molto competitiva, non ridono: nonostante il settore dello sviluppo software ucraino offra agli investitori esteri un capitale umano ben formato e altamente professionale, i grandi brand dell’informatica come Hewlett-Packard, Opera, Luxsoft continuano a investire in Polonia e in Irlanda.
Ecco perchè sempre più ucraini vogliono trasferirsi all’estero e guardano all’Ue come un faro di speranza. Molti dichiarano di essere disposti a lavorare illegalmente pur di guadagnare di più: lo rivela un recente sondaggio, secondo cui su circa 3 milioni di ucraini che hanno in programma di cercare lavoro in Occidente non appena le restrizioni sui visti verranno rimosse, uno su cinque si dice disposto già da ora a lavorare in nero e anche cedere il proprio passaporto a datori di lavoro senza scrupoli, pur di ottenere un lavoro meglio pagato.
Secondo dati allarmanti del Ministero delle Politiche Sociali, il tasso di disoccupazione registrato nel 2015 è il più alto dal 1991, anno dell’indipendenza dall’Urss. Da allora gli Ucraini sono diventati un popolo di emigranti, come gli Irlandesi alla fine dell’Ottocento, come noi Italiani ad inizio Novecento. Nemmeno il Ministero del Lavoro ucraino sa calcolare con esattezza quanti siano i connazionali che lavorano all’estero: le stime ufficiali parlano di una cifra tra 3 e 5 milioni, quelle non ufficiali addirittura di 9 milioni. Facendo una media, potremmo dire che almeno 6-7 milioni di ucraini lavorano lontano dalla loro terra e circa il 40% lo fa in nero.