Non mancavano certamente i controlli ed i controllori. Oh non di certo! Innanzitutto l’ingresso alle stazioni era consentito solo con i biglietti o gli abbonamenti ufficiali che, dotati di una banda magnetica, infilati in apposite guide, facevano scattare automaticamente le barriere girevoli di ingresso, permettendo così l’accesso ai treni, a tutti i passeggeri che ne fossero stati provvisti.
Inoltre, all’uscita, bisognava esibire lo stesso valido documento di viaggio al personale di controllo.
Appresi dai miei maestri (italiani, inglesi e portoghesi in genere) che qualsiasi biglietto (anche quello da 10 pence) era abilitato ad azionare le barriere di ingresso della metropolitana, non una, ma infinite volte. Quindi il problema ingresso era facilmente risolto. Più delicato era quello dell’uscita. Poiché, chiosavano ancora i sullodati maestri, un uomo, ogni uomo, sino a prova contraria dice il vero, e dato che eccezionalmente i guardiani all’uscita sono autorizzati ad accettare l’importo in contanti della corsa da parte dei passeggeri che, a causa di un legittimo impedimento non siano in grado di esibire un regolare documento di viaggio, tu all’uscita puoi consegnare 10 pence in contanti e dichiarare che provieni dalla stazione metropolitana immediatamente precedente e vedrai che tutto filerà liscio.
Mentire sapendo di mentire, si sa, è un’arte di pochi. Ma se chi accerta la verità è complice del testimone, allora è tutto più facile! D’altro canto chi può negare di fronte agli uomini che esistono verità totali e verità parziali? E chi può affermare che una verità parziale sia una bugia? E se tu, venendo dal lontano capolinea affermi di essere passato (e quindi di provenire) dalla stazione immediatamente precedente, stai forse mentendo veramente del tutto?
Tuttavia i miei patemi d’animo iniziali, col tempo, furono superati; mi confortò, insieme all’abitudine, la rapacità con cui le mani sudaticcie dei controllori si serravano avidamente sulle monete, pegno di un immaginario e veloce viaggio, nonché prova provata della marcescenza e della corruttela che dilagava nei gangli vitali del sistema. E si viaggiava gratis (o quasi).
Mi piacque tanto questo metodo che quando i guardiani di periferia pretesero (unilateralmente) di aumentare la tangente, decisi di sfruttare la posizione favorevole della mia abitazione, unitamente al fatto che la banda magnetica di ogni singolo biglietto ti consentiva in effetti più di un passaggio attraverso le barriere di ingresso.
Vivendo così in una casa che stava quasi a metà strada tra due stazioni metropolitane, Willesden Green e Kilburn Road, escogitai un trucco elementare ma sicuro. Al mattino facevo un biglietto da dieci pence alla stazione sud, che raggiungevo a piedi da casa mia.
All’uscita di West End mi inventavo ogni giorno qualcosa: ma lì, era più facile passare per uno dei tanti turisti imbranati, che essendosi persi nei meandri di quella intricata ragnatela che è la London Underground, potevano cavarsela con una mancia di massimo due monete da dieci pence.
Alla sera, poi, proveniente dall’West End, scendevo a quella nord, consegnando ai controllori il biglietto regolarmente acquistato al mattino.
E considerando che il mio posto di lavoro distava ben sette stazioni da casa, alla fine di ogni giornata avevo risparmiato, con questo sdtratagemma, più di una sterlina.
A lungo andare, però, questi metodi mi causarono un certo disagio. E ancor oggi, non so sia stata la paura di venir preso senza biglietto, o il rimorso inconscio di ciò che facevo, o infine il reale, claustrofobico terrore di trovarmi racchiuso nelle viscere della terra, il fatto sta che sono rimasto lontano dalle metropolitane sotterranee di tutto il mondo per alcuni decenni.
All’ingresso la piattaforma è piena zeppa di gente in attesa del prossimo treno: per lo più si tratta di impiegatucci, cuochi, autisti, cameriere, segretarie, operai e quant’altro si riversa nell’West End quotidianamente in cerca di pane o di gloria. Inglesi, irlandesi, scozzesi, indiani, pakistani, birmani, jamaicani, greci, italiani, portoghesi, spagnoli, polacchi, tutti sulla stessa grande piattaforma, aspettando un treno che come una gigantesca esplosione li avrebbe distribuiti nei punti più diversi dell’immensa città, pronti ad iniziare un’altra settimana di noia, da detrarre al tempo della vita; un’altra settimana senza spiegazioni, senza fede, senza pace: sballottati nell’oceano della propaganda, abbagliati dalle luci, dalla televisione, confusi dalle tante verità, tristi, rassegnati come adesso, aspettando un treno troppo carico, troppo pieno.
……..continua………