I sonni pontefici.L’uomo di fede, il “credente” di ogni s...
Creato il 14 novembre 2013 da Lostilelibero
L’uomo di fede, il “credente” di ogni specie, è
necessariamente un uomo dipendente (…) ogni specie di fede è, per se stessa,
un’espressione di spersonalizzazione, di autoalienazione…
F. W. Nietzsche
Lo ammetto. Alcuni
papi, per quanto possa valere ogni opinione, hanno esercitato sul sottoscritto,
a mo’ di quella “fosforescenza del male”
di baudelaireiana memoria, un fascino distratto.
Si può allora provare
una qualche incredibile seduzione per il francese Urbano II, che al Concilio di
Clermont del 1095 concretizzò il brutale istinto dell’inconsapevole tramontante
nobiltà feudale in quel bellicoso sogno che fu la prima crociata; o
quell'interezza che non provava alcuna vergogna di sé incarnata da uomini di
potere “integrali” come Alessandro VI o Innocenzo III, che privilegiavano la
restaurazione del primato papale, fregandosene della cura delle anime; o ancora
lo sfarzo spendaccione, la solennità formale o semplicemente il profano
trasporto verso lo chic, che
portarono all’ideazione e alla produzione di autentici capolavori come la Cappella
Sistina.
All’inumanità del buon pastore intriso di ideali
altruisti e solidali, caritatevoli, misericordiosi
ed umanitari – di chi sta dalla parte dei “poveri” - ho sempre preferito la
pudicizia di un’autoconsapevolezza anche cinica e brutale, tuttavia umana,
onesta. Alla Beata Maria Teresa di Calcutta preferisco la Beata Matilde di
Canossa, così come ad un uomo che si compiaccia della propria debolezza appagandone
la vanità, preferisco un uomo integro e bennato, con le proprie pulsioni, le
proprie schizofrenie, i propri vizi, le proprie debolezze, i propri dubbi e le
ambizioni. Un uomo sano.
Laddove il credente di ogni tipo e l’uomo imbolsito
dai buoni sentimenti vedono un’apertura verso il mondo (il loro modesto e
sofferente) o l’umanizzazione di un’autorità nel pieno esercizio della propria
“missione pastorale”, io vedo invece solo l’appagamento di un meschino istinto
narcisistico: “in fondo, anche il Papa è come noi!”.
Come
sa bene chiunque abbia scrutato un po’ nel proprio abisso, anche l’azione
fintamente altruistica è infatti un tipo di egoismo che soddisfa un complementare
bisogno narcisistico, come un astro verso i propri girasoli. Quello privo di
autonomia che svela Nietzsche domandando: “o grande astro, che cosa sarebbe la tua
felicità se tu non avessi coloro a cui risplendi?”.
Ci si poteva allora aspettare un egoismo “piacione” dalla
popstar polacca, e c’era da aspettarselo pure dal “simpatico” gesuita “di
sinistra” Francesco, sempre pronto a farsi in quattro per rincorrere le pecorelle smarrite o gli Scalfari di turno, appagandone le risposte per telefono. Ma
confesso che da un uomo dalla sottigliezza intellettuale e dal coraggio morale
come Ratzinger, non mi aspettavo proprio una "mondanizzazione" nelle pecorelle.
Anche la continente alterigia del tedesco si è
aperta così ad un dialogo con lo “pseudo-scientista” Odifreddi, un confronto a mezzo
stampa sull’ontologia della teologia e della religione (forse Repubblica aprirà
una rubrica apposita – I papi rispondono…-).
Beninteso, ciò che non sopporto non è la
soddisfazione di un dibattito, sempre legittimo, ma il bersaglio a cui si
rivolge la sua attenzione. Con tutto il rispetto, Odifreddi non è Habermas.
La fiducia che il professor Odifreddi ripone nella
logica, nella matematica e nell'algebra, appartiene infatti alla stessa
tipologia di fiducia che il credente rimette nella rivelazione divina. Come
osserva precisamente Severino: “ciò in
cui si ripone fiducia (ovvero il significato stesso del termine
"fede"), è fonte d’inganno per il logos-pensiero. Quando ci si
af-fida non si vede infatti ciò che è l'oggetto ultimo della nostra fiducia. Il
verbo greco péithein (radice del latino fidem) significa infatti
"persuadere" (infondere fiducia) e "ingannare"”.
Qualcuno cerca qua ciò che qualcun altro trova
altrove – nella fattispecie Odifreddi crede di aver persino trovato quella
chiave di volta per spiegare l’universo, ma dovrebbe sempre ed in fondo
chiedersi invece il perché ha sentito l’urgenza di cercarla -.
Il credente di ogni specie può essere infatti
soltanto un mezzo, una dimostrazione sulla “bontà” delle astrazioni che ha
voluto sostantivare nel reale; sente la necessità che quello a cui ciecamente
crede possa testimoniare la sua correttezza, il proprio essere nel vero. La conoscenza
logica quindi, allo stesso modo della fede nel divino a cui evidentemente si ispira,
come mausoleo, simulazione della vita, panacea che lenisce il dolore ed allontana
l’insicurezza: una prigione all’horror
vacui. Anche Odifreddi, paradossalmente, può quindi essere un uomo "pio"... E così, se la teologia e le religioni sono fantascienza, come dice
il Professore, la scienza è scienza-fanta proprio perché, essendo
“ragionevole”, è lo spettro di ogni buon “senso”: essa va prima creduta vera… e
non saremmo forse nemmeno molto distanti dalla “verità”, se dicessimo che quella scienza pretendesse di essere creduta “vera” nella misura in cui può "dare" concretamente all'uomo.
Il fine di ogni “buon pastore”, così come ciò per
cui si batte ogni “scienza”, non è quello di condurre il gregge o l’umanità intera
alla salvezza o al benessere, bensì quello di farsi contaminare sempre più dal
loro “odore” per esserne infine accettati.
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