E’ indubbio che l’Unità del Paese abbia comportato sostanziali vantaggi alla popolazione veneta, dal punto di vista economico come da quello sociale, politico e culturale. Sottoposto ad un rigido controllo da parte dello Stato centrale, concretizzatosi in un regime di polizia, nell’obbligatorietà del Tedesco negli istituti scolastici (i veneti facevano uso dell’ Italiano) e in una tassazione esasperante alla quale non corrispondeva un’equa redistribuzione, il Veneto austriaco non godeva, inoltre, della dovuta e necessaria rappresentanza (la congregazione centrale, cinghia di trasmissione con Vienna, aveva carattere puramente formale), relegato ai margini della sfera d’interesse dei conquistatori, animale da mungere per interessi altri e diversi rispetto a quelli del popolo della ex Serenissima, merce di scambio con Francesi e Piemontesi (Armistizio di Villafranca).
Sul versante e conomico, strategie ottuse avevano messo in ginocchio la già debole e scarsamente diversificata struttura produttiva del territorio, ad esempio tramite l’abolizione del pensionatico (il diritto di pascolo invernale negli appezzamenti di proprietà privata), dando vita ad una situazione recessionistica protrattasi fino agli anni ’50/60 del secolo successivo che avrebbe costretto i veneti ad una massiccia emigrazione, con una spoliazione demografica dalle conseguenze particolarmente severe e destabilizzanti per la struttura sociale della regione . Soltanto con i moti del 1848 (unitari) e la breve restaurazione della Repubblica di San Marco ad opera di Manin e Tommaseo, il Leone poté dotarsi di un’intelaiatura più evoluta, mediante soluzioni illuminate come l’alleggerimento fiscale e , soprattutto, il suffragio universale maschile (il sogno ebbe tuttavia breve vita, perché la rivoluzione venne presto soffocata dall’azione sinergica delle batterie asburgiche e del colera, diffusosi in modo pandemico tra i patrioti).
Da non dimenticare, in aggiunta, l’atrofizzazione della vita culturale, la quale riperse a ritmi serrati dopo l’ Unità e la riconquista della democrazia, con la creazione, a Venezia (città che l’Impero aveva punito per la rivolta del ’48 con il trasferimento della capitale a Verona), di istituti come la Scuola superiore del Commercio (1868), la Deputazione di storia patria per le Venezie (1874), l’Opera dei Congressi (1874) e con la nascita di importanti testate quali il “Gazzettino” (1887). Del ’900 , invece, la Fondazione Cini, il Centro internazionale delle arte e del costume, l’Istituto Ellenico, il Centro tedesco di studi veneziani, la “Casa di Goldoni”.
Si è scelto di sostare sul periodo asburgico giacché , a differenza delle altre dominazioni straniere, esso è diventato il punto di riferimento della comunità indipendentista veneta e l’oggetto della sua azione revisionistica più astorica.