Magazine Cultura
Smontato il
tendone del circo, si riparte a bordo dell'allegro carrozzone. Altra
città e altra epoca. Un altro tema, sperando sempre che coinvolga
più del precedente. La troupe di American Horror Story –
Ryan Murphy, gli attori feticcio e gli immancabili mostri a fantasia
– hanno fatto tappa a Los Angeles, nell'autunno del 2015, e si sono
lasciati alle spalle i vestiti da clown, qualche nome superfluo e,
con grande dispiacere di molti, la straordinaria Jessica Lange.
All'apparenza, però, non ci si può lamentare: male non se la
passano, no? Dalla vita in viaggio, da passeggeri sinistri di un
eterno freak show, il cast ha fatto il check-in al Cortez,
nella quinta stagione di una serie che, ogni ottobre, poi si rinnova.
E, aggiungo, per fortuna. Nel cuore segreto della Città degli
Angeli, sorge un colosso dell'edilizia costruito negli anni ruggenti:
l'albergo, progetto di un folle serial killer e della sua immortale
consorte, ha ascensori che si aprono su zone d'ombra, l'intonaco a
pezzi, stanze infestate da tarme e spettri. Le geometrie precise
dell'Overlook, il kitsch di Suspiria,
il queer di Rocky Horror Picture Show:
stili architettonici – e cinematografici – differenti, cliché a
sufficienza, indimenticabili antecedenti. Gli ospiti, lì, hanno vita
brevissima. E chi muore tra quelle mura maledette, purtroppo, non può
andare via; seguire la luce. Così, in Hotel,
ci sono tante camere sfitte in attesa di vittime da poco – due sexy
turiste dell'est, una coppia di hipster, la troupe di un film hard,
un fascinoso boscaiolo rimorchiato su Grindr -, lunghe storie di vita
e dipartita di passanti casuali e storici villeggianti, figure
perfino più bizzarre e numerose del solito. Tra tossiche ferme agli
anni '90, drag queen, fedeli domestiche e vecchi divi del muto, a
governare su spiriti e sottoposti, o almeno in teoria, sono la
Contessa e i suoi amanti. In mezzo agli spettri, vampiri in
carne ed ossa che non mordono, ma tagliano – hanno infatti coltelli
affilati, unghie infallibili - e prosciugano anime. Si muovono a
ritmo, misteriosi e impeccabilmente abbigliati come in un Miriam
si sveglia a mezzanotte, mentre
dall'esterno arriva la notizia di cruenti omicidi rituali. Il
detective John Lowe, con un figlio rapito e una moglie infermiera in
lacrime, indaga sul killer dei Dieci Comandamenti: alla ricerca della
verità, sul crimine e sul dramma della propria famiglia, necessario
il soggiorno al Cortez. All'accettazione, la mitica Liz Taylor e la
mite Iris. Dietro le quinte, invece, un nuovo proprietario per
salvare la struttura dalla crisi economica e il famigerato
costruttore, James March, che dall'oltretomba dirige indisturbato i
lavori. Con l'addio di una Lange – o è un arrivederci, il suo? -
che monopolizzava senz'altro le attenzioni, ci si affidata del tutto
alla dimensione corale. Non c'è un vero protagonista, ma neanche un
degno capomastro. Senza collante, così, si va spesso e volentieri allo sbaraglio.
L'attesa Lady Gaga, con i grandi cambi d'abito e le grandi scene di
nudo, i guanti che uccidono e le liaison libertine con uomini e
donne, è la performer teatrale, eccentrica e disinibita che tutti
noi, fan e non, conoscevamo già. E s'impegna molto, inutile negarlo,
ma non stupisce particolarmente – ha uno sguardo vacuo, un ruolo
cucito su misura – al suo esordio come attrice,
eppure già premiato ai Golden Globes. La Germanotta, comunque,
artista in crescita, è il minore dei mali. Non convincono
nemmeno un po' le indagini di un inebetito Wes Bentley – e,
parlando di lui, neanche il ruolo superfluo di Chloe Sevigny e dei
figli eleganti e riccioluti della Contessa – e gli amanti di Gaga,
ambigui e prestanti, ammiccanti, si spogliano ma non trovano mai una
loro dimensione. Matt Bomer, Cheyenne Jackson e Finn Witrock sono
belli, testosteronici e disponibili in qualsivoglia combinazione, ma
nello stesso letto stanno stretti: anche se l'orgia insanguinata del
pilot, quando c'erano la curiosità e l'entusiasmo dei primi tempi,
l'ho amata parecchio. Il banalissimo giallo non si regge, smascherato dopo una
manciata di puntate; la Ramona di Angela Bassett, lontano interesse
amoroso di Gaga, non ha una collocazione; lo shock legato allo stupro
ai danni di un irriconoscibile Max Greenfield, a neanche mezz'ora
dall'inizio, è tanto brutale quanto fine a sé stesso. Pollice in su
per l'accurato lavoro di trasformismo dei nostri esemplari
caratteristi – Mare Winnigham e Sarah Paulson sono impeccabili,
Evan Peters eccelle e "gigioneggia" con il suo accento pazzesco – e i
pochi, coraggiosi tentativi di variazione sul tema. Intrigano la
Notte del diavolo, con serial killer veri o presunti alla tavola di
March, e i flashback legati alla lunga vita della Contessa, che ci
mostra la Hollywood in bianco e nero dei primi kolossal – buttati
lì i riferimenti a Murnau, la comparsa del doppio di Rodolfo Valento
-, l'era della musica disco, il domani che verrà. Trattamento finalmente
degno, invece, per Kathy Bates e Denis O'Hare: il personaggio di lui,
uomo nel corpo sbagliato, con una passione smodata per i lustrini e
la bigiotteria e un figlio ritrovato, è spassoso, toccante e,
forse, l'unico memorabile. Hotel,
al solito, parte bene e prosegue male: ti perde strada facendo. Il
troppo storpia. Carnevalesco, semiserio, confuso. Indeciso più che
mai sulle strade da imboccare. Gli ultimi episodi sono la classica
mattanza gratuita – Murphy si accorge che ci sono
troppi figuranti, non ha più posto e, nel dubbio, li sistema in una
bara – e il dodicesimo, in una stagione che ha rinunciato al numero
dispari della tradizione, riconciliazioni consolatorie, happy ending
soprannaturali e crossover. L'ho preferito, però, alle streghe
adolescenti del pessimo Coven, ma
non all'altettanto imperfetta ma più affiatata famiglia circense. La
permanenza non è stata del tutto spiacevole – in assenza della
Elsa Mars di turno, guanti bianchi per figuranti d'eccezione -, anche
se i vicini redivivi fanno confusione e, a una certa ora, c'è
così tanta affluenza alla reception che non vedi l'ora di
raccogliere bagagli e burattini e fare il check-in altrove. Godetevi il soggiorno, ma occhio: non mettetevi troppo comodi... (6)