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Glee V Stagione Glee. Istruzioni per l'uso. Cosa salvare di Glee. In generale, due episodi su venti, per una quinta stagione che percorre allegramente i sentieri più pericolosi del trash. Lo sapete. E' in onda da ormai cinque anni e posso dire di esserci cresciuto. Cinque sono gli anni delle superiori e cinque anni fa, io ne avevo appena quindici. Non è facile descrivere cosa sia diventato Glee. Oggettivamente, non più il solito già da qualche stagione a questa parte. Ma, quest'anno, il peggio, veramente. Personaggi insulsi, svolte stupide, cover che non meritavano un secondo ascolto. Sceneggiatori... Ah, perché, Glee ha una sceneggiatura?! Naaa. I fan all'opera, probabilmente, avrebbero fatto qualcosa di meglio. Sicuramente, l'avrebbero trattato con maggiore rispetto e cura. Nella seconda parte di questa serie, si decide di seguire i vecchi protagonisti alle prese con la vita da adulti, in una New York di bar canterini, vecchie volpi, esordi a teatro. Si perde il liceo, si perdono le cricche e le classiche tematiche, si perde il perché di ogni cosa. Gli autori hanno voluto tenere troppo a lungo due piedi nella stessa scarpa, poi, scomodissimi, hanno voluto cambiare. Di botto. Alle vecchie glorie, già precedentemente, avevano affiancato nuovi personaggi: alcuni riusciti, altri scialbi, altri da definire. Nel caso di Marley, Unique e Jake, personaggi dalle doti evidenti. Non a caso le loro versioni di If I were a boy e Wide Awake, proposte nella prima parte, sono tra le cover più degne di nota di questa stagione sonnolenta. A un certo punto, tabula rasa. I personaggi introdotti di recente spariscono nel nulla, tutto si concentra sulle nostre vecchie conoscenze. Un anno fa, avrei trovato la cosa entusiasmante. Peccato che, a lungo andare, anche le persone più piacevoli di questo mondo vengano a noia e i legami farlocchi che si formano tra loro possano sfiorare il limite massimo del ridicolo. La relazione tra l'aspirante modello Sam e Mercedes non è credibile nemmeno per un secondo; Artie in versione sciupafemmine, con i suoi gilet a rombi del nonno e gli occhiali senza fondo, è credibile quanto la Spears che canta Pavarotti; Kurt e Blaine – prossimi alle nozze – sono noiosi, antipatici, stucchevoli. Okay che di Colfer non ho mai avuto un'ottima impressione: mi irrita come poche persone al mondo. Colori da pavone, voce da soprano, la capacità di rovinare a colpi di note perfino la canzone più caruccia dei criticati One Direction, Story of my life (qui). Il collega, Darren Criss, ha sempre avuto la mia stima: bravissimo, alle prese con ogni genere musicale. Bravo lo è sempre, ma a stonare sono i tratti sbiaditi del suo personaggio macchietta. Agli autori: per studiare una coppia omosessuale realistica e affiatata, guardare quel capolavoro di Shameless. Per il resto, temi ovvi, tanta e troppaRachel Berry, tanti primi piani da wow della splendida Santana Lopez, brani narcolettici personalizzati male e coreografati ancora peggio, in una stagione che si conclude con una ruffiana Pompeii e un destino infausto da sit-com. Discorso a parte, per gli episodi numero tre e tredici. Gioiellini di scrittura, commozione vera. Il primo (la mia recensione qui) al compianto Cory Monteith, il secondo l'addio al Glee Club. Quel tredicesimo episodio aveva l'aspetto di un addio nostalgico. E penso che sarebbe stato non solo un ottimo finale di stagione, ma un ottimo finale per la serie stessa che – so già – continuerà a trascinarsi stancamente per un altro anno ancora. Quel giorno avevo la febbre, pensavo ad altro, ma l'immagine dell'auditorium vuoto mi aveva fatto scendere le lacrime, giuro. Due funerali nell'arco dello stesso show: Finn e il Glee club come noi lo conosciamo. Un 9 a loro, uno spietato 4,5 al resto.
Revenge III Stagione Tre anni di Revenge. Negli Hamptons, la vendetta va presa per le lunghe. Altro che piatto da servire freddo! Il cammino della novella Contessa di Montecristo continua a essere lastricato di colpi di scena, vittime, bersagli a cui mirare. Le X sui nemici da punire sono sempre più numerose. Quella famosa foto con il peggio dell'alta borghesia costiera è sempre più piena di facce sbarrate col pennerello, sempre più vuota. Restano in pochi, ormai. Eppure ci sarà una quarta stagione. Un quarto anno di Revenge, e un quinto? Gli ascolti, in caso, sosterrebbero la causa e gli sceneggiatori, anche se non sembra, sfornerebbero nuove idee. Anche le più assurde. Tutto, purché lo show di Emily vada avanti. E a testa alta. La serie TV Abc, basata su un tema semplice e affascinante, prende spunto dal capolavoro di Dumas, ma non dura un romanzo. Ormai le intenzioni della protagonista sono cambiate, nuovi personaggi si sono aggiunti, altri hanno lasciato il serial in una bara, ma la sua vendetta non più a freddo non è diventata stantia. Ha il gusto sfizioso e fresco degli inizi. Come il McDonald, mica viene a noia: ingrassi, ma hamburger, coca-cola e patatine continui a metterle in conto. No? Vestiti firmati, case che non avrai mai, amori proibiti che speri di non avere: questo è Revenge. Un coro di personaggi bellissimi nell'aspetto, ma dall'anima nera. Personaggi che, ogni tanto, fanno anche un po' ridere, ma che ormai fanno parte della tua settimana: il geniale e simpaticissimo Nolan che cambia un partner – maschile o femminile che sia: non si butta via niente, da queste parti – a stagione; Daniel e la sua faccia da schiaffi; Jack e la sua aria perennemente imbambolata; i superbi coniugi Grayson. Il mio sogno è andare a cena da loro: volerebbero rivelazioni, piatti, coltelli appuntiti. I pantaloni, in casa, li porta Victoria: l'ape regina. Una delle cattive più carismatiche e amate del piccolo schermo. Sempre ben vestita, sempre velenosissima. Imprevedibile. A darle il volto, Madeleine Stowe: l'immortale. Cinquantasei anni portati alla grande. Più bella e più brava che da giovane, la Stowe si diverte e ci diverte con la sua malignità, i suoi amanti, i suoi figli sbucati dal cilindro magico. Ho il sospetto che, in ogni finale di stagione, la ibernino... o la mettano sotto sale. Complimenti alla mamma, e al chirurgo: good job! Degna rivale, altrettanto seducente, altrettanto padrona della scena, Emily VanCamp. Nata e cresciuta in tv, si scopre sempre più convincente, l'innocente biondina di Everwood. Fa da indossatrice, fa il doppio-gioco, fa tele di menzogne in cui non si perde mai. Sono loro il segreto di Revenge, una serie TV che è donna nel sangue. Eva contro Eva. Non posso che parlarne bene, ma oggettivamente è un prodotto pieno di difetti, sin dalla lontana immatricolazione. Il confine con Beautiful è labile; i “Sono tua madre!”, “Sono tuo padre!”, “Sono tua sorella!”, “Sono tua nonna!” a volte si sprecano; come in The Following i morti risorgono. E' una soap, nel profondo del suo essere. Però davanti a uno dei finali di stagione più entusiasmanti degli ultimi palinsesti, ci passi sopra. Concitato, teso, tragico, divertentissimo. Non vedo l'ora di sapere cosa succederà, ed è risaputo: io mi annoio subito. Ma non questa volta. Un trashata di estrema classe, firmata Armani e Mike Kelley. (7+)
Bates Motel II Stagione Ho legato dal primo momento con quel pazzo furioso di Norman Bates. C'ho legato dalla prima serie. Le puntate erano finite, il titolo era sparito dai palinsesti televisivi e quella famiglia decisamente fuori aveva iniziato a mancarmi. Sono tornati un anno dopo, puntuali e da molti indesiderati. Bates Motel non aveva fatto faville e, effettivamente, non mi era difficile capire il perché. Una storia potenzialmente splendida buttata alle ortiche. Ingabbiata in un formato spiccatamente televisivo, ripulita per bene da sangue, omicidi, rapporti incestuosi, morti su morti. Un tiepido thriller da bollino verde, o al massimo giallo. Le puntate di questa seconda stagione sono volate, senza intoppi, ma sono sempre stato in attesa di una scintilla, di uno scoppio, del botto. Invece, niente. Attese e aspettative vane. Bates Motel si accontenta di poco e mi dà fastidio solo per quello. Perché sciupare così un'opportunità simile? Perché non raccontare a regola d'arte i dolori del giovane Norman e la sua trasformazione bestiale nel Psyco ricordato da tutti? Gli sceneggiatori cercano nuove strade, inseriscono nuovi personaggi e nuovi intrecci, ma la verità è che importano poco. L'attenzione è per il protagonista, non per il fratello coinvolto in un giro di narcotrafficanti, per gli amori di turno, per i misteri di paese. Alla rete che lo trasmette, evidentemente, non piace sporcarsi le mani. Ma io adoro il torbido, adoro il “malato” e, mentre perfino la puritana Lifetime con Flowers in the attic giocava con il sadismo e il proibito, trovavo Bates Motel sempre meno a fuoco. Un teen drama gestito discretamente, ben recitato, privo di tempi morti, ma che raccontava una storia diversa – nei toni e nelle intenzioni – da quella resa nota dall'immenso Hitchcock. Ci sono piccoli e insoddisfacenti cenni a tutto. Minuscoli. Il candido Norman si macchia d'omicidio, ma involontariamente; il suo cervello e il suo autocontrollo iniziano a spegnersi in momentanei black out; si avvertono le conseguenze di un latente complesso di Edipo. La cosa più inquietante di questa stagione, invece, si ha nei primi episodi, quando l'affascinante Norma trascina il suo recalcitrante figlio a... lezione di musical. Che ben vengano i pensieri cattivi, ma i duetti con mamma no! Anche se questa mamma è la bellissima Vera Farmiga: intensa, convincente, impegnata e al massimo, nonostante la modestia del tutto. Sfoggiando una gran bella voce in una magistrale versione a cappella di Maybe this time, un caschetto biondo e vestiti floreali da casalinga anni '50, anima un personaggio senza lati oscuri. Affettuoso, petulante, oppressivo, materno. Senza malizia; fatta eccezione per un bacio sulle labbra, piuttosto candido, dato al suo giovane partner, nel finale di stagione. Sono dell'idea che Freddie Highmore, con il suo viso da eterno bambino, sia un protagonista perfetto, ma il problema sta nella costruzione del suo carattere, nella scarsa complessità del suo personaggio. La sceneggiatura lo vuole un adolescente complessato, con buchi nel passato e nella memoria. Problematico, ma non volontariamente nocivo. D'effetto, però, lo sguardo in camera che lui – sempre più psicopatico? - rivolge allo spettatore, alla fine. Bates Motel ha un pregio che si chiama Vera Farmiga. Ha un'ambientazione moderna che gioca con i colori del vintage, una colonna sonora retrò a cui si alternano "sputtanatissimi" pezzi radiofonici, l'aspetto delle occasioni perse. Mi ci appassiono, lo seguo bene, ma poi penso che dovrebbe essere il prequel di Psyco e dico Peccato! (6)
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