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Secrets & Lies Stagione I Qualche settimana fa, al telegiornale, hanno mandato in onda le scene dell'arresto di Bossetti. Che sia colpevole o meno – sono solito lasciarmi aperta l'ipotesi dell'innocenza, perché la giustizia italiana fa spesso cilecca e i colpi di scena, anche nelle storie vere, possono saltare fuori, benché qui sembri tutto già scritto -, di quelle immagini ho odiato l'accanimento. Ho pensato che quella persona – colta di sorpresa a lavoro – a casa avesse una famiglia. Se lui ha fatto quel che ha fatto, con l'arresto in diretta, ha ucciso anche la fiducia dei suoi figli; se invece non l'ha fatto, cosa sarà dopo la gogna pubblica della sua vita? Mi è venuto in mente questo caso di cronaca guardando Secrets & Lies. Un bambino assassinato, un padre di famiglia accusato, le persecuzioni di vicini sospettosi e di poliziotti instancabili ai danni di uno che ha avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. La vita da sogno di Ben Crawford crolla sotto l'ombra del sospetto, mentre la moglie si allontana e fuori ci si prepara a un Natale solitario. Le decorazioni delle case adiacenti, i flash dei reporter, le porte che sussultano sotto i tocchi insistenti della detective Cornell, un segugio che fiuta l'inganno ovunque. L'originalità non è di casa. Secrets & Lies ha pochi spunti per uscire dal suo anonimato e affinità con gli applauditi Broadchurch e The Missing. Messi da parte i paragoni, si può però ammettere che, a sorpresa, sa difendersi. Gli episodi catturano. I pezzi forti sono nei finali di ciascuna puntata, appositamente pensati per mantenere alta la suspance, e nella struttura delle dinamiche familiari, importanti quanto la risoluzione del caso. Nel cast, i bravi Ryan Philippe e Juliette Lewis. Lui, idolo dei film anni '90, con il guaio di avere geni generosi: invecchia bene; è bello e biondo come un tempo; dimostra la metà dei suoi quarant'anni. Nei miei giorni migliori sembro suo nonno. La natura, invece, è stata forse meno gentile con la Lewis: sfiorita, ma adatta a ruoli di spessore. Qui ha tra le mani una figura di poche parole e dalle espressioni del viso contate. In un climax continuo di bugie e depistamenti, si arriva presissimi a un epilogo definitivo ma giusto, che potrebbe considerarsi anche autoconclusivo, se si amano quei finali sospesi, tesi, un po' beffardi. Il season finale, per me, è stato l'affermazione della buona riuscita del tutto. Sarà che amo particolarmente il non detto, anche quando resta tale. (7)
Weird Loners Stagione I Quattro “strambi solitari” – alcuni per scelta, altri per scelta degli altri – che si scoprono dirimpettai. Due uomini, due donne. I simpatici disastri della convivenza, gli immancabili amori capricciosi, lo spasso dei qui pro quo. Questo Weird Loners l'ho guardato in una sola sera. Non avevo niente di meglio da fare e mi andava di passare due ore – in totale, sei episodi di venti minuti ciascuno – in compagnia di qualcosa di fresco e divertente. Magari con il famoso marchio Fox, che da New Girl a The Last Man On Earth di rado, in materia di sit-com, delude. A deludere non delude – sarà che la delusione è generata da aspettative alte, e questo Weird Loners nessuno l'ha sentito nominare – ma non si ricorda, a fine visione. La colpa, adesso, della durata ridotta o di una cattiva scrittura? La risposta, a metà strada: non c'è il tempo materiale per scoprire se quello che vedi ti piace o no, ma non c'è il dubbio che i creatori – gli stessi della fortuna serie con la mia amata Deschanel – non siano al loro meglio eppure sappiano il fatto loro, in quanto a tempi comici giusti e a battute che fanno ridere con un niente. Già visto tutto, compresi i personaggi. Nel senso che sono attori riciclati da altri serial e che non hanno personalità innovative. L'imbarazzante nerd Nate Torrence – sì, quello che c'è in qualche film di Adam Sandler; Zachary Knighton, il piacione di turno, che recitava nel piacevole Happy Endings prima della cancellazione; Becki Newton – la mitica segretaria Amanda, in Ugly Betty – che, solita single sfortuna, fa una dignitosa figura. Evitabile, ma onesto. Di poca utilità, ma non sconsigliabile. Come una di quelle commedie americane che, carine e un po' scontate, ti regalano un sorriso e via: finisce lì. (6)
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