Scandal
Stagione I-IV
I
fan di vecchia data, quando vengono a sapere che tu, spettatore
compulsivo, non fai parte della loro cricca dicono, sdegnati: non
segui Scaldal?, scandalo. Antichi filosofi orientali, invece,
lasciavano ai posteri un aforisma che suonava così: tira più un pelo di
Olivia Pope – un nome, una garanzia – che un carro di buoi. Così
questo recupero da fare si è fatto, in un'estate che mi ha visto poco impegnato ma molto diligente.
In un mese e mezzo, in realtà, in cui i più che mi dicevano “ma davvero non
guardi Scandal?" hanno avuto la
mia riconoscenza e anche un po' del mio odio. Una volta iniziato –
complice il brutto tempo dell'ultimo periodo, quattro stagioni arretrate, altri titoli in pausa per le vacanze – non vuole occhi che per lui. Piace
perché è ben scritto, impreziosito da interpreti e caratteristi
sopra la media, pensato come un compromesso tra il thriller politico
e un irrinunciabile guilty pleasure. Lo immaginavo all'inizio
serioso, serial su avvocati scrupolosi in giacca e cravatta, ma ai
tempi del colpo di fulmine con How to get away with murder
– sempre della Shonda che non
delude – mi avevano assicurato, al contrario, fosse la
quintessenza del trash intelligente. E Scandal rigido
e convenzionale non lo è mai; trash raramente. Eclatante e
audace sì, ma alla maniera di quell'autrice di cui ho
imparato ad apprezzare il gusto e il piglio originale, anche se ci
sono cose che continuano a non piacermi.
Scandal mi ha
coinvolto e sconvolto come chiarivano le premesse e giuravano le
promesse, ma – all'inizio, almeno: poi ci ho fatto l'abitudine –
a convincermi di meno era proprio la decantata Olivia. L'idolo delle spettatrici; la donna che tutte loro vorrebbero essere da grande. Troppi pianti, troppi bronci, per quella Kerry Washington,
impeccabile e splendida nei suoi completi avorio, che a volte, palla che rimbalza tra un innamorato e l'altro, si mostra vulnerabile
in una maniera che è in contrasto con i suoi pochi scrupoli e i
metodi non convenzionali. Qualcosa di simile succede con Viola Davis,
fresca di Emmy: mostrarsi umana, vulnerabile, significa togliersi
trucco e parrucca, piangere? Non mi convince il modo che ha la Rhymes
di mostrare la fragilità delle sue eroine: una
donna che parla di donne potrebbe fare assai meglio. Con gli occhi
lucidi e i sospiri affranti, sembrano tante adolescenti:
atteggiamento che poco si confà a due vincenti, a due leonesse.
Possibile renderle vicine e lontane insieme, senza melò? Ma questa
non è solo la storia di una professionista spregiudicata che, tra
verità e inganno, fa perdere la testa al Presidente degli Stati
Uniti in persona e a Jake, capo della B613. Si parla di
avvocati difensori, i più affiatati e costosi che incontrerai, e dei
loro facoltosi clienti: statisti, agenti segreti, re. La squadra dei "gladiatori in doppio petto" non conosce sconfitte o tentennamenti: da
Huck, hacker e assassino dal commovente passato, a Quinn, allieva
brillante, passando per la civettuola Abby e per il dandy Harrison,
nessun attore fuori fuoco, nessuna falla. I miei personaggi
preferiti, accanto al tenero psicopatico dalla doppia vita, quelli al
centro dei rapporti sentimentali più credibili: Mellie, subdola e
pungente First Lady che rinascerà spesso dalle ceneri; Cyrus, braccio destro di Fitz che, parlando d'amore, compone con
James, di professione giornalista investigativo, una realistica
coppia omosessuale di mezza età, non in perfetta forma fisica e dal desiderio di adozione. Nella prima stagione: la presunta
tresca tra il Presidente e una sua segretaria; vecchia storia che si
ripete? Nella seconda, la verità su Quinn e i brogli
elettoriali. Nella terza, notizie sulla famiglia di Olivia – ha,
infatti, due magnifici mostri per genitori – e sulla gioventù di
Fitz: nel frattempo, ci si prepara alle prossime elezioni, e tutto
sembra lecito, se in ballo c'è la vittoria finale. Nella quarta,
invece, Olivia come Elena di Troia: la bella per cui fare
scoppiare una guerra? Scandal va
visto. Ideale e accattivante hobby che ha tanto pepe e, a volte, un po' di zucchero superfluo che si perdona: la folle dipendenza vale la vaga glicemia dei primi tempi. (7/8)
Faking It
Stagione II
Nel
liceo delle pari opportunità, luogo colorato e irrealistico in cui
a capo delle cheerleader c'è una ragazza intersessuale e leader
degli studenti è un gay rubacuori pieno di smanie, Karma e Amy si erano finte innamorate per la popolarità. Regine del ballo e idoli delle masse, avevano
scoperto che le bugie ti portano alla pubblica gogna o, se hai sedici
anni, a una storia d'amore che nessuno aveva previsto. Tra le due, poteva esserci l'amicizia
e qualcosa di più? Faking It, lo scorso anno, imprevisto
e leggero com'era, si era rivelato materiale per una spassosa teen
comedy a episodi. Protagoniste bellissime, comprimari utili, un
modo nuovo per parlare di diversità che – al cinema o in
televisione – sono inserite puntualmente con buonismo, come il decalogo del politicamente corretto prevede. Nella scuola
di Faking It – che ricordo, tempo fa, di avere
definito un'allegra distopia – personaggi altrove marginali sono
alla riscossa e figure tradizionali siedono, invece, ai margini.
Immaginate un mondo sottosopra in cui, per essere accettato, devi
avere una tua particolarità. Quel buono spunto, nonostante
poligoni amorosi e nuovi ingressi, non si perde in una seconda
stagione discontinua perché divisa in due parti. La prima, terminata
a dicembre. La seconda, invece, iniziata e finita nove mesi dopo per
un attacco hacker che non ha preso di mira, questa volta, i nudi di
Jennifer Lawrence ma le puntate rimanenti di una storia sempre e comunque piacevole. E' successo, a un certo punto, che la curiosa
Amy sia finita a letto, per ripicca, con Liam, l'amato di Karma.
Se l'amica non può amarla, potrà forse perdonarla? Mentre da quelle
parti si fa all'amore e alla guerra, un preside dittatore vorrebbe
rendere la Hester High una scuola normale e i
comprimari, tra cotte mostruose e relazioni illecite, vivono nuove
disavventure sentimentali. Faking It, parlando di quel
che chiede il corpo e di quel che suggerisce in segreto il cuore, di
esperimenti e friendzone, continua a essere spontaneo e
sexy. Cosa ne pensate del sesso a tre? E la bisessualità sarà verità
o leggenda? (7)
Impastor
Stagione I
In
questa estate rapida e indolore, con le serie più attese in vacanza
e le serate in compagnia delle maratone di Scandal, mi sarò concesso probabilmente solo una novità
Avevo bisogno di una comedy breve e fresca per riempire i tempi
morti, ma venti minuti di risate e astinenza dalla serietà
sembrano difficili da trovare: tra pilot che non decollavano e sitcom
che, dopo pochi episodi, avevano già un destino fallimentare, è
spuntato poi Impastor. Che, a sorpresa, mi ha abbandonato solo
da poco. Ha resistito, alla fine, e ho resistito anch'io. La serie che ha fatto il suo debutto su Tv Land
e che, per condotta scorretta, ha fatto borbottare i cattolici più
ferventi gira e rigira attorno a uno scambio di identità e a tutti
gli imprevisti del caso. Quando Buddy, irresponsabile e pieno di
guai, vorrebbe suicidarsi per sfuggire al pugno di ferro dei suoi
temibili aguzzini, ecco che gli si presenta un'occasione
irripetibile: prendere in prestito la vita dell'uomo che, nel
tentativo di salvarlo, è scivolato in acqua e non è più tornato a
galla. Chi lo cercherebbe mai, in una comunità in
cui tutti sono in attesa di una nuova guida spirituale? Buddy –
pastore impostore – fingerà perciò di essere chi non è: un
omosessuale in cerca dell'anima gemella e, soprattutto, un sacerdote
dalla fede incorruttibile. Commedia americana a puntate, colorita e
poco brillante, ma all'occorrenza divertentissima, Impastor
funziona come può. I sospetti dei parrocchiani, le attenzioni di una
lei bellissima e di un lui che invece aspetta e spera, le ondate
migratorie – in paese – di sicari armati fino ai denti. Un po'
Big Mama e un po' Il
missionario, non farà la storia
della televisione ma con il caldo, il tempo libero e la concorrenza
di serie mediocri ha avuto, per poco, la sua da dire: sempre
sottoforma di battuta di spirito, politicamente scorretta nelle
intenzioni ma, in pratica, mai davvero provocatoria. Punto in più,
inoltre, per il protagonista. Un Michael Rosenbaum, il Lex Luthor del mio caro Smallville
sotto Crescina, che fa piacere rivedere. (6+)
Lady Chatterley's Lover
Film TV
Il
classico dell'erotismo che aveva suscitato
infinito scalpore, torna in televisione. La storia
che tutti conoscono, sotto lo sguardo casto e puro della BBC, ha qui un inizio veloce, un epilogo affrettato e
una metà in cui c'era tutto il tempo per dirsi e darsi. I primi minuti riassumono a grandi linee la nascita e la morte
dell'unione dei coniugi Chatterley: il colpo di fulmine e un
matrimonio in grande stile; il ritorno dalla guerra, ma con la
dignità e il fisico a pezzi. Nel
frattempo, così, Constance dà
inizio a una storia di sesso con il guardiacaccia della
tenuta. La
televisione inglese, sinonimo di grazia e eleganza, questa volta toppa. L'ultimo Lady
Chatterley's Lover, semplificato
e ripulito, ha l'aria poco ricercata di una fiction Rai e limiti grandi. Uno
dei titoli più osteggiati ha un amaro destino nelle mani della BBC, puntuale ma scolastica,
allergica alle debolezze della carne e ai segreti della camera da
letto. Il loro ultimo prodotto è una riscrittura pudica e algida,
senza il languore dei corpi e il fuoco. C'è più pelle in vista ma prevedibilmente manca il bestiale,
il primitivo, il bisogno basico che ha reso Connie e Oliver degni di
memoria. Compitino insoddisfacente, televisivo rispetto a standard
solitamente elevati, dalla resa discutibile e dal cast mediocre. Se
il Richard Madden che fu il Principe Azzurro in Cinderella,
nonché presenza fissa in Games
of Thrones, se la cava – è
bello, ombroso, e il suo personaggio di poche parole non fa pesare le
poche espressioni -, fa assai peggio Holliday Grainger. Anche lei nella
recente fiaba di Branagh – ma in veste di sorellastra maligna;
vista, comunque, in Posh –
esibisce una recitazione innaturale, melodrammatica come nel muto del
passatato, e l'antipatico nasino all'insù proprio non aiuta. Un riassunto, dunque, per chi volesse
sapere com'è che finisce – e deludente è anche il finale rose e
fiori – e non avesse tempo di recuperare un romanzo che intimorisce. Da parte mia, il desiderio di un
recupero ci sarebbe pure. Anche se mi assicurano una lettura lenta, con
poco per cui valga la pena scandalizzarsi, al giorno d'oggi, e noia a volontà. (5)