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Remember Me miniserie tv (3 episodi) In una mattina di nuvole nere, il misterioso Tom Parfitt – che forse ha ottant'anni, forse centodieci – simula un malore e si fa trovare accasciato ai piedi di una scalinata, nella sua casetta di mattoni, incastonata tra altre casette di mattoni. Decide, così, di abbandonare ogni cosa e, con una valigia vuota, di raggiungere l'incubo di ogni anziano: una casa di riposo. Vuole lasciarsi qualcosa alle spalle, qualcuno. Guai a portare con sé uno spillo, un oggetto, una fotografia. Gli oggetti appartenuti a lui, alla sua lontana gioventù, sono come maledetti. E perché? Inizia a domandarselo una giovane infermiera, che lavora con le persone anziane per pagarsi l'università e per stare lontano da casa – da una madre incostante, da un fratello minore che ha bisogno di attenzioni continue -, quando una sua collega vola inspiegabilmente giù da una finestra blindata e, impregnate d'acqua salmastra e circondate da conchiglie, vengono trovate nuove vittime legate, in un modo o nell'altro, a quel vecchio senza identità e al suo bruttissimo segreto. Remember me è il realizzarsi di una specie di mio sogno nel cassetto, scherzando scherzando. Lo sceneggiato tipo per chi non resiste alle ghosh story, ai vecchietti burberi, all'innata eleganza britannica. Composto da tre sole puntate, proposto dalla BBC con l'anno che finiva, è un prodotto curato ed estremamente interessante ma, penalizzato forse dai pochi episodi, non è esente da difetti più o meno perdonabili. Ci sono punti che rimangono nebulosi, passaggi frettolosi intervallati da passaggi lenti, personaggi un po' abbozzati che prendono subito a cuore i bisogni dell'altro, una storia di spettri e ossessione che uno Stephen King a caso avrà già raccontato meglio, prima, altrove. Il primo episodio è praticamente perfetto; il secondo ha un inizio lento e una chiusa che promette tanto; il terzo – destinato a uno di quegli epiloghi emozionanti che, da The Orphanage a La Madre, il mondo dell'horror non ci nega – dice e non dice. Ho trovato che al servizio di una storia non degna di nota, però, ci fossero cose fantastiche a dir poco. Dettagli che fanno la differenza in un intreccio non sempre all'altezza delle aspettative. Come la fotografia, sontuosa: scenari cupi, acque limpide, cieli pulsanti di corvi e venti. A brillare, insieme ad essa, l'ottima regia e lo straordinario protagonista: il Michael Palin dei Monty Phyton, che emoziona nel senso più ampio del termine, trasmettendo inquietudine, sofferenza, leggerezza. Arzillo e ancora affascinante, ruba ogni attenzione e si contende la scena con il detective interpretato dal simpatico e corpulento Mark Addy (Full Monty) e con la dolce infermiera Jodie Comer, che gli appassionati conosceranno per My Mad Fat Diary. Un mistery di grande atmosfera, non particolarmente brillante nella scrittura ma sublime nella resa, che qualche raro sussulto lo regala, insieme a un orrore che è in rima con incanto. (7)
The Fall - Caccia al serial killer Stagione II Essere troppo fighi – e io lo so bene, certo – non è cosa facile. Essere un serial killer troppo figo – e questo, invece, no che non lo so – è proprio difficilissimo. Può dircelo Paul Spector, l'assassino di donne più corteggiato, minacciato e ricercato del piccolo schermo. Lo vogliono gli agenti della polizia, per metterlo dietro le sbarre; i mariti gelosi, per riempirlo di botte; le sexy baby sitter minorenni, per passare la prima notte d'amore con lui; la moglie, al contrario un po' cozza, che comincia a non credere più alle sue continue bugie. Cosa fa l'insospettabile Paul Spector, assistente sociale e psicologo, quanto è l'ora di dormire? Nella prima stagione di The Fall ci avevano mostrato il modus operandi e le reti di inganni del sociopatico irlandese. Alla fine, un intoppo e Stella Gibson che gli stava con il fiato sul collo. Dopo un anno, anche se io avevo già a disposizione tutte e due le serie, fortuntatamente, si ritorna nella tetra Belfast e nella testa di un'omicida che ha già mietuto tre vittime. Ambientata in tempo reale, la seconda serie conta sei episodi – con un season finale che, con uno strappo alla regola, dura un'ora e mezza – e si svolge in un paio di giorni. Non ci sono altri massacri e, a un certo punto, molto prima di giungere all'epilogo, la polizia riesce a dare un nome e un volto al male. Gli episodi, accantonando la noiosa indagine secondaria della serie precedente, hanno occhi solo per Stella e Paul. Testimoni della caduta. Ma chi è che cadrà? Il cattivo, messo al tappeto dalla giustizia; o colei che rappresenta il bene, tuffata a capofitto in un abisso passato di abusi, case famiglia e pedofilia? Partito del tutto in sordina, The Fall si è rivelato ancora una volta un ottimo intrattenimento: un poliziesco dei più classici, ma estraneo alle americante a cui siamo assuefatti. Il ritmo è lento, ma giusto, e i protagonisti non sono macchine perfette: sbagliano, si fanno prendere la mano. Piacciono per quello – per i passi falsi, le piste sbagliate, la pigrizia della burocrazia. Rispetto alla prima stagione, questa è più focalizzata sulla loro psiche e solo apparentemente è meno densa di fatti; scorre, in realtà, meglio. Lo spettatore ha capito come funziona il gioco e i creatori si sono fatti furbi. Si capisce da un dinamismo aggiuntivo e dal fatto che, con una certa concupiscenza, questa volta indugino un paio di volte in più sul fisico scolpito e il fascino innegabile di un Jamie Dornan sì post Cinquanta Sfumature, ma sempre ineccepibile. Più malizioso, fa della precoce e provocante tata Katie un personaggio chiave e lascia intuire, con un bacio saffico veloce, che scottano le lenzuola dell'algida Stella, una Gillian Anderson ufficialmente rinata. Si parla delle donne che occupano ruoli di potere, della violenza che il genere femminile ancora oggi subisce – a lavoro, a casa, in prigionie forzate – e si aggiunge al cast, in un ruolo da poco, Colin Morgan. Ma l'ex Merlin, se non fosse per le orecchie enormi, non spicca. L'ultimo episodio, serratissimo grazie al montaggio degno di nota, ci mostra un lungo e bellissimo interrogatorio – la macchina da presa che gira intorno a loro, i campi e i contro campi, le accuse e le manipolazioni – e ci saluta con un epilogo brusco, che non è né abbastanza aperto, né abbastanza chiuso. Sarebbe un peccato, comunque, chiuderla qui. Il rischio di un altro Hannibal e di un ennesimo The Following potrebbe esserci, ma The Fall è più realistico, diretto e pragmatico degli altri. Ho fiducia che, potendo, non commetterà questo errore. (7,5)
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