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IL CANTORE DEI DISPERATI
di Pippo La Barba
Un volumetto edito dalla casa editrice “La Zisa”, I tempi del poeta in piazza, ripropone un testo teatrale scritto da Nicola Lo Bianco nel 1998 in omaggio a Ignazio Buttitta, uno dei più grandi poeti dialettali della Sicilia (era deceduto nell’aprile del 97).
Nell’estate del 98, in agosto, fu messo in scena per la prima volta, su progetto di Salvo Licata, al Teatro della Verdura di Palermo con la regia di Mauro Avogadro. Fu allora Paride Benassai a interpretare Ignazio Buttitta vecchio, Gnaziu.
In questo pregevole testo lo scrittore, poeta e attore Nicola Lo Bianco costruisce una felice sintesi delle poesie più significative di Buttitta, iniziando non a caso da personaggi corali che esprimono una disperazione cosmica di fronte alle ingiustizie patite. E’ nato così il canto invettiva dei mietitori che curvano la schiena per dieci ore al giorno sotto il sole accecante. E poi il bellissimo lamento della madre di Turiddu Carnevale, sindacalista di Sciara trucidato dalla mafia. E’ lo stesso poeta che appoggiato al bastone prende in piazza il centro della scena e narra, alla maniera dei cantastorie, la disperazione della donna. Una immagine suggestiva: la madre di Carnevale, Marabedda, la nurrizza, cioè la nutrice che allevò Ignazio bambino, esprime con grande freschezza e forza d’animo il suo grido di dolore per la perdita del figlio, mentre tutt’intorno si riempie di contadini e gente del popolo.
E poi ancora il dramma di un’altra madre, quella di Turi Scordu, surfararu di Mazzarino, che emigra in Belgio e resta vittima assieme a tanti altri del disastro avvenuto nel 1956 nella miniera di carbone di Marcinelle. La madre di Turi ascolta straziata la chiama delle vittime tra cui c’è il figlio.
La poetica di Ignazio Buttitta si fonda su un impegno civile che mira a scuotere la rassegnazione, l’immobilismo, la subalternità dei poveri cristi alle angherie dei padroni e dei gabelloti.
Come sottolinea lo stesso Lo Bianco, Ignazio Buttitta è un poeta teatrale, e tutte le sue poesie possono essere rappresentate teatralmente. La misura del verso, la cadenza, il ritmo che connotano i componimenti non esprimono un flatus vocis, ma si materializzano, si fanno corpo, gesto, voce, coinvolgendo profondamente chi ascolta.
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