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I Tipi Da Sala d’Aspetto

Creato il 03 febbraio 2015 da Sunday @EliSundayAnne

Le sale d’aspetto mi affascinano. Che siano del dottore della mutua, dell’oculista o della stazione, queste anticamere hanno un’anima. Qualcuna, l’anima, l’ha persa (le salette vip delle compagnie ferroviarie), altre sono asettiche (quelle dei dentisti – sarà che si è sempre un po’ tesi pensando a un possibile trapano in bocca), altre ancora silenti (quelle degli oculisti, dove si sta sempre in religioso silenzio a leggere riviste rilasenti all’età di mia bisnonna Petronilla).

Della sala d’aspetto di una ginecologa in Oman ho già parlato; di quella in cui mi trovo stamattina, non ancora. Ma forse farei meglio a star zitta.

sala d'aspetto dottore

Non so nelle grandi città, ma nel paese di tremila anime in cui sono nata, la sala d’aspetto del medico di base è un luogo in cui, ogni santo giorno, trovi il concentrato del paese stesso, nella sua essenza più bieca. Faremmo tutti a meno di ritrovarci lì, uno di fronte all’altro, costretti a sopportare gli sguardi altrui. Ma poiché ogni tanto ci si ammala, ecco che oggi sono qui anch’io, a un paio di mesi dall’ultima visita, costretta a rivedere le stesse facce di allora.

Sì, perché anche a distanza di anni, anche quando vivo all’estero per un anno e poi torno, ogni volta che vado dal medico incontro sempre le stesse persone. Anche quelle che sopporto di meno. Possibile?

Vediamole.

Di fronte a me c’è l’essenza del pettegolezzo, il concentrato di pomodoro delle malelingue. La signora in questione è ormai anziana e quasi non ci sente più, ma la lingua, quella funziona ancora che è una meraviglia. E se non le funzionasse più quella, c’è sempre lo sguardo: a ogni sua occhiata, un giudizio. Si sente ancora Santi Licheri, ma ha perso lo smalto: il meglio di sè l’ha dato da giovane, quando, a ogni ragazza che si sposava in paese, ne segnava sul calendario la data delle nozze. Poi, quando questa rimaneva incinta, calcolava se avesse consumato prima o dopo.

Il castigo, però, arriva sempre: sua figlia rimase incinta a sette mesi dal matrimonio. Alle domande dei curiosi, rispose che la colpa non era della figlia bensì di un chirurgo: quando la operarono di appendice le toccarono le ovaie, per questo era rimasta incinta così presto!

Oggi, però, Santi è venuta a farsi visitare dalla dottoressa perché è qualche giorno che è afona. Chissà come mai.

Alla mia sinistra c’è un’anziana signora austriaca, aperta e simpatica, vedova di un uomo stimato del paese. Negli anni Settanta era stata la novità del paese, quando ancora sposare una straniera era considerata una stranezza, un vezzo, una cosa da alternativi. Con efficienza tutta tedesca, la signora non sta mai dentro allo studio del medico per molto: entra, dice l’essenziale, stringe la mano del dottore ed esce. Sotto lo sguardo torvo di Santi Licheri, se sai quando entra ma mai quando – se – esce.

Alla mia destra si trova invece una signora marocchina con un foulard marrone in testa, una delle prime nordafricane ad aver preso la residenza nel nostro paese di campagna. Guardata con sospetto da Santi, è ignorata invece dai più: al limite lanciano un’occhiata di pena per quel foulard che non viene capito, e poi con gentilezza ognuno va per la sua strada. Piemontesi, falsi e cortesi.

Di fianco alla porta sta La Lamentela Unica, quella che ne ha sempre una, che ha tutti i malanni del mondo, che sa già la diagnosi, il decorso e anche le medicine che dovrà prendere. E non manca di urlarlo ai quattro venti, obbligando tutti a sentire le sue litanie. Mi chiedo: ma se sai già cos’hai e anche che farmaci devi prendere, non puoi startene a casa tranquilla a preparare pranzo?

La Lamentela, di solito, fa coppia con Santi Licheri: una magra, l’altra grassa, sembrano il Gatto e la Volpe. Versione madama.

Sparsi qua e là ci sono un paio di Giuseppi: la famiglia di paese per eccellenza ha avuto la bella idea di chiamare i vari figli e nipoti tutti con lo stesso nome, che poi si è dovuto inventare nomignoli (stranòm) per distinguerli. Io, però, non ne distinguo uno, per cui quelli in sala d’aspetto non sono sicura se siano Beppe Cit (piccolo), Beppe Grand, Beppe Lung, Beppe d’Beppe o un altro ancora. I Giuseppi Misti, comunque, di solito sono innocui e non si fanno coinvolgere dai pettegolezzi. O almeno, così pare: le orecchie, in questo paese, non smettono mai di fare il loro lavoro.

In piedi, c’è uno dei primi meridionali arrivati in paese da Torino, anni or sono, e prima da chissà dove: di solito sono dotati di grande senso dell’umorismo, parlano in piemontese con accento barese e discorrono sempre di politica. Innocui some i Giuseppi Misti, di solito rallegrano l’attesa con battute simpatiche, alle quali l’unica a non ridere è Santi Licheri. Lei non ride mai: digrigna i denti.

Quando penso di avere il controllo della situazione e sto per rilassarmi, ecco entrare colei che temi come la peste: l’ex compagna di scuola. Quella che è rimasta ferma ai tempi delle elementari, quella che è sempre uguale solo più in carne e con quattro figli, quella che ai tempi era andata con mezzo mondo e oggi è tutta casa, chiesa e santità. La Santi Licheri degli anni a venire. L’Ex Compagna, infatti, non è avvezza a farsi i fatti suoi, e comincia a martellarmi con domande varie, a cui rispondo in maniera vaga: “Ma sei tornata?. “Sì”. “Ma dov’eri, prima?”. “In giro per l’Asia”. “E adesso sei di nuovo a scuola?”. “Sì”. “E allora adesso starai qui, vero?”. “No”. “Ma come, e i tuoi cosa ne pensano?”. “I miei di solito si fanno i fatti loro”. E poi arriva – perché prima o poi arriva – la domanda che avrebbe voluto chiedermi da quando è entrata e mi ha vista seduta sulla sedia, l’unico motivo per cui ha inscenato tutta quella pantomima di domande: “Ma il fidanzato non ce l’hai?”.

No, sono libera.

No, non mi voglio sposare.

No, non voglio avere figli.

Di fidanzati ne ho sparsi un po’ qua e un po’ là, uno per ogni pae…

La porta del dottore si apre prima che io possa aprire bocca, ed è la mia salvezza. Mi alzo, entro, dico le cose che devo dire, stringo la mano alla dottoressa ed esco.

“Ciao!”, saluto con un ampio sorriso l’Ex Compagna. “Arrivederci!”, rivolgo a Santi, Giuseppi e Lamentela, che mi osserva dall’alto in basso con sguardo sinistro. Poi esco.

Aria!

Non faccio in tempo di raggiungere la macchina che vedo arrivare lui, Il Geometra, quello che sa sempre tutto di tutti, il Gazzettino del Piemonte, l’incubo dei fedifraghi, il figlio maschio che Santi Licheri avrebbe sempre voluto. Quello che sapeva già che sarei ripartita per l’Oman ancora prima che l’avessi deciso.

Non ce la farei a sopportarlo, quindi salto in macchina prima che mi veda, avvio il motore e scappo prima che possa agganciarmi.

Forse non è quella stanza, la sala d’aspetto.

La sala d’aspetto è il paese: tutti aspettano sempre che qualcosa accada, per sentirsi vivi.

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Nascono, crescono, si sposano, muoiono, sempre nello stesso posto. Non si muovono mai.

E aspettano che qualcuno viva al di fuori dei loro schemi, per sentirsi meglio.

Vi ho mai raccontato di quando Hamed è venuto a trovarmi, lo scorso agosto, col turbante e tutto? No?

Dai, questa ve la racconto un’altra volta. Oggi non c’è neanche Il Geometra.

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