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I Tuxedomoon, raccontati nel libro di Giampiero Bigazzi

Creato il 13 settembre 2011 da Sullamaca

Tuxedomoon di Gianpiero Bigazzi

Giampiero Bigazzi è una figura importante nel panorama musicale italiano: musicista, produttore e fondatore assieme al fratello Arlo dell’etichetta discografica Materiali Sonori. Un artista vivo a tutto tondo.
Fra le sue opere, c’è una a cui sono particolarmente affezionato, il bel libro dedicato al gruppo musicale dei Tuxedomoon, band americana attiva dagli anni’80 ad oggi.
Il gruppo proviene dal calderone del punk e della new wave ma seppe evolversi verso uno stile proprio e riconoscibile, ispirandosi alla cultura europea, al jazz e a una certa musica etnica. Il giornalista musicale Federico Guglielmi definì i “Tuxedomoon come ultima avanguardia Rock.
Il libro di Giampiero Bigazzi, edito da Stampa Alternativa, è l’unico in italiano, quando fu pubblicato lo acquistai immediatamente dalla casa editrice.
Ora a distanza di tempo mi sono messo in contatto con Giampiero che simpaticamente ha accetto di rispondere a qualche domanda.

Domanda: Giampiero è passato qualche anno e il tuo testo resta la sola pubblicazione editoriale italiana sui Tuxedomoon.
Risposta: E’ vero. Negli anni sono stati molti gli articoli pubblicati nelle varie riviste, anche cose belle corpose, ma un’altro libro non c’è. E quello che facemmo con Stampa Alternativa è ormai fuori catalogo da tempo. Ha però circolato in Italia (con la nostra distribuzione) il librone di Isabelle Corbisier, scritto in inglese: “The Tuxedomoon Chronicles – Music For vagabonds”. Ma il nostro era più eroico…

Tuxedomoon Holy Wars
D: Tu avevi un rapporto privilegiato con loro, perché decidesti di dedicargli un libro?
R: Il libro è del 1988. Noi abbiamo cominciato a lavorare con loro quando hanno fatto il disco “Holy Wars”, nel 1985, il primo realizzato con la Crammed (che poi ha via via ristampato tutti i loro dischi e prodotto quelli nuovi). Uscì il disco, un lp, che distribuimmo con il nostro marchio in Italia e partecipammo all’organizzazione del tour. Memorabile. Poi nel 1986 seguì “Ship Of Fools” e nel 1987 la raccolta in lp doppio “Pinheads on The Move” e l’album “You”. Erano anni molto creativi per la band. Inoltre con Blaine Reininger (che in quel periodo però non suonava con il gruppo) già collaboravamo, stampando in Italia i suoi dischi usciti per Crepuscule e realizzando in esclusiva il “Greetings One”. Avevamo anche stampato “Theoretically Chinese” di Winston Tong e con Maurizio Dami ne avevamo realizzato un remix per la nostra collana Fuzz Dance. Steven Brown aveva prodotto il disco dei Minox in cui eravamo coinvolti nella distribuzione. Insomma, c’erano molti fili che ci legavano ai Tuxedomoon e alla loro storia. La Materiali Sonori aveva un po’ abbandonato la scena e le beghe fiorentine e ci stavamo affermando come una realtà internazionale molto importante. Quindi fu abbastanza naturale proporgli di fare quel libro.

D: Il libro fa parte della collana Sconcerto di Stampa Alternativa che segue un piano editoriale preciso: traduzione dei testi, biografia e discografia.
R: Collaboravamo alla serie di libri con 45 giri realizzata dalla casa editrice romana (con la quale ero personalmente legato già prima della fondazione della Materiali Sonori…). Titoli che avevano una buona diffusione, sfruttando una formula all’epoca molto originale. Baraghini e soci avevano realizzato speciali su Joy Division, The Smiths, Syd Barrett, Robert Wyatt. Annette Jarvie ed io ne realizzammo uno anche sui Residents e uno di fotografie americane “Coast To Coast”, sempre con un 45 giri allegato. Tutti furono dei grandi successi.

I Tuxedomoon, raccontati nel libro di Giampiero Bigazzi
D: In “Coast to Coast” c’è un brano di Blaine e che tiratura ebbero questi libri?
R: Nel 45 allegato c’è “Radio Ectoplasm” di Blaine. Era un brano, mi sembra, realizzato nel 1988. E poi un pezzo di Controlled Bleeding di Paul Lemos, una band molto interessante di New York con cui facemmo due album in esclusiva mondiale, e un brano di Mery Kelley, un amica di Annette, straordinaria cantautrice californiana, con la quale facemmo qualche anno dopo il mini album “Greetings Five”. Era un bel progetto, “Coast To Coast“, e penso che riuscì a vendere un po’. Ovviamente ebbero più successo gli altri titoli della collana, compreso quello dedicato ai Tuxedomoon.

D: Ti va di ricordare qualcosa?
R: Annette era amica di questo fotografo americano, f-Stop Fitzgerald. Organizzò una mostra a Rozzano nel 1989 con queste foto, realizzate, oltre che da Fitzgerald, da altri quattordici fotografi. Tutte in rigoroso bianco e nero. Il libro era praticamente il catalogo della mostra, curata dal fotografo di San Francisco.
Il sottotitolo: “Punk / Rock images”, un bel viaggio da costa a costa attraverso la scena americana di quegli anni, la prima metà degli anni Ottanta. Ci sono i più importanti protagonisti di quel momento straordinario (compreso un giovanissimo Steven Brown). Belle foto che fermavano, con i volti degli artisti, un epoca molto creativa. Nell’intro c’è scritto: “la vita qui è all’estremo, vissuta su un orlo precario. E’ straordinariamente repellente per coloro che sono agiati ed è straordinariamente attraente per coloro che si vorrebbero ribellare”. Perfetto, no?

Tuxedomoon retro copertina libro
D: Parlami dei testi, infatti grazie al tuo libro ho scoperto un altro lato dei Tuxedomoon.
R: E’ vero: possiamo dire infatti che il gruppo di San Francisco non è seguito per i propri testi. La matrice è punk e quindi le parole spesso sono quasi un corredo. Almeno così appaiono a una osservazione superficiale. I Tuxedomoon sono conosciuti per le azioni multimediali (uniche!), per la musica particolare, miscuglio di elettronica e classicismo, che ha fatto scuola ad almeno due generazioni di musicisti. I testi non erano quasi mai pubblicati nemmeno nei dischi. Quindi fu un idea insolita che aiutò a capire un’angolatura particolare del pianeta Tuxedomoon. Scoprimmo così un uso delle parole molto interessante. Minimalista, spesso surreale, ma con una sua forza poetica. In fondo avevano scritto sempre della canzoni…

D: E’ stato difficoltoso il lavoro di traduzione e interpretazione?
R: Fu un lavoro collettivo. Soprattutto condotto da Marco Pustinaz, un amico musicista di Torino, e da Annette Jarvie, una cara amica americana, originaria anch’essa di San Francisco, che abitava in quel periodo a Firenze e lavorava alla Materiali Sonori. Annette è una poetessa, una scrittice, e conosce molto bene l’italiano. Poi collaborò anche Francesca Pieraccini e io feci la supervisione letteraria finale.

D: Chi sono gli autori delle liriche?
R: Il gruppo volle presentare i testi come lavoro dei Tuxedomoon. Penso però che i testi sono scritti soprattutto da Steven e da Blaine, e nel primo periodo da Winston. Li ho visti lavorare in studio e posso dire che è un lavoro molto partecipato (con tutte le difficoltà del caso…) e quindi c’è una certa partecipazione di tutti, alla musica e alla “sistemazione” delle parole. Quindi anche di Peter, di Bruce, di Luc.

D: I Tuxedomoon hanno collaborato al libro? E che ne pensarono?
R: Il libro fu scritto e curato, oltre che da me e da Annette, anche da James Neiss, un ragazzo inglese amico del gruppo. Un tipo un po’ particolare, di cui abbiamo perso le tracce… per fortuna… un inglese con un po’ di razzismo nel proprio DNA… nei confronti di noi poveri italiani… come se gli inglesi avessero da insegnarci qualcosa… Va bè. Lasciamo perdere… Volle per forza collaborare al progetto e la band ce lo appiccicò, amichevolmente (ride). Fece spesso da collegamento con loro, soprattutto con Steven, che collaborò maggiormente al progetto. I Tuxedo erano comunque molto contenti ed onorati del lavoro e collaborarono fornendoci tutti i testi, anche quelli più “rari”. E, alla fine, approvando il lavoro. Fu azzeccata anche la prefazione di Federico Gugliemi, un amico e uno degli “scopritori” italiani del gruppo.

D: Dimmi qualcosa poi dell’allegato sonoro, una canzone inedita, stralci di concerti e interviste radiofoniche in stile “Tuxedomoon”.
R: Ecco, la band collaborò soprattutto dandoci quei due brani, uno per facciata, molto curiosi. Il lato B è una specie di “blob audio”, un collage molto interessante di interviste, frammenti musicali, rarità dal vivo, Burroughs, Tong. Il lato A è una registrazione live del “Tema di Michele” di Nino Rota, un grande amore dei Tuxedomoon, un musicista che fa parte del loro background e che li lega all’Italia e ad una certa sensibilità tutta europea. Quel brano lo mettemmo, l’anno successivo, nel cd doppio “Ten Years in One Night”, in un’altra versione ma sempre registrato dal vivo. Devo confessare che, il brano di Rota, fu una scelta importante anche per me: amavo molto le sue colonne sonore e quel pezzo dei Tuxedomoon, in qualche modo sorprendente, mi fece venire l’idea di fare un disco dedicato al grande compositore. Idea che realizzai nei primi anni Novanta con Harmonia Ensemble.

D: Devo riconoscere che hai fatto un gran lavoro sulla discografia, completa, precisa e senza internet.
R: Non fu molto difficile. In fondo si trattava dei primi dieci anni di vita del gruppo. Adesso sarebbe meno facile… Devo dire, perché io gli inglesi li amo, che mi aiutò anche quel simpaticone di Neiss.

D: Le stesse fotografie sono molto belle.
R: Eh! Ci sono alcune “chicche”… le foto di Lucia Baldini e quelle di Enrico Romero (fatte durante i primi concerti fiorentini degli anni Ottanta) e poi uno scatto molto singolare. E’ di Vittore Baroni: Steven Brown e Wim Mertens, ai tavolini del Bar Fiorenza di Piazza Cavour, a San Giovanni Valdarno, in una pausa del soundcheck per il concerto che avrebbero fatto per il nostro Greetings Festival. Steven era lo special guest dei Minox e Mertens fece uno straordinario concerto per pianoforte e voce. Uno dei primi fra i tanti che avrebbe poi fatto in Italia. Fu un grande evento, quella serata. C’era il Meeting delle Etichette Indipendenti.
Tanti anni fa…

D: Una curiosità, mi spieghi il perché della copertina, bianca con un ideogramma in rilievo?
R: Perdonami, ma non so rispondere con precisione a questa domanda… Proprio non me lo ricordo… Non so se fu una proposta della band o di Giacomo Spazio (che curò la grafica) o dell’immancabile Neiss. Fu sicuramente approvata dal gruppo che confermò così la sua impostazione culturale cosmopolita.

D: Hai mai pensato di ristampare il libro?
R: Sarebbe comunque da aggiornare. Di testi ne hanno scritti molti altri e la loro storia musicale e artistica è andata avanti per più di vent’anni, fino ad oggi. Il libro della Corbisier, a cui accennavo prima, ha veramente descritto i Tuxedomoon “minuto per minuto”, almeno fino a tre anni fa. Ma un altro libro con tutti i testi, quindi anche quelli realizzati nei decenni successivi e quelli realizzati per i dischi solisti, si potrebbe anche fare…

D: Ultima domanda, magari un po’ insidiosa: qual’è il tuo album preferito dei Tuxedomoon e perché?
R: Eh! Non riesco a fare una classifica… Ho molto amato il periodo in cui abbiamo cominciato a lavorare insieme: “Holy War” e “Ship Of Fools”, per esempio. Ovviamente “Half Mute” e “Desire” sono dei capolavori assoluti. Spesso mi capita di farli ascoltare a ragazzi molto giovani, affermando che sono dei cd di gruppi di oggi. E loro ci credono! Quindi penso che la ricerca musicale e artistica dei Tuxedomoon sia andata avanti. Non è un gruppo di reduci. Assolutamente.
A me non piace accomunarli solo alla scena della new wave. Come se fosse una bacheca da reliquie… Nel 2004 pubblicarono “Cabin In The Sky”, registrato in gran parte in Italia, nelle Marche: un grande disco. Attualissimo. Con i suoni di oggi, realizzati insieme a gente come Tarwater, John McEntire, Marc Collin, Juryman, DJ Hell. Stessa impressione per “Vapor Trail” che è del 2007. Ai loro concerti, anche a quelli che abbiamo organizzato in estate in Italia, si incontra un pubblico spesso giovanile. Giovani che ritrovano nel loro originale suono globale e nei sempre affascinanti interventi multimediali, molte delle suggestioni acquisite dalle band in voga nelle epoche più recenti. Credo che questo accada perché resta una musica senza nome e senza tempo…

D: Sei sempre in contatto con i Tuxedomoon?
R: Questa è una battuta, vero? Stai scherzando?! [Certo! n.d.i.] Quei ragazzi fanno parte della nostra famiglia! Ogni rivolo della nostra storia ha una qualche presenza dei Tuxedomoon… Ed è una storia ormai trentacinquennale. Siamo perfino riusciti a far suonare Blaine con la Banda Improvvisa! e abbiamo ospitato Steven quest’anno al Festival Orientoccidente con una incredibile banda di montanari messicani! E poi le collaborazioni alle produzioni di Arlo Bigazzi, le avventure messicane di Harmonia, i dischi greci di Blaine, quelli russi, la Crammed. Tutto… a parte James Neiss (ride). Quegli anni, come ho detto, furono particolarmente produttivi. E poi i dischi, anche quelli “strani”, si vendevano veramente. Ma noi abbiamo continuato a creare musica e cultura insieme, anche nei ventitré anni successivi. La loro presenza nei nostri “scaffali”, anche quelli virtuali e spirituali, è continua, puntuale, come un amore che non ha proprio voglia di finire. I Tuxedomoon hanno fatto finta di sciogliersi e di rinascere molte volte e noi siamo stati sempre lì, disponibili. Perché c’è stata sempre una condivisione artistica, umana, perfino politica. Oggi, stiamo invecchiando insieme… e c’è anche molto affetto.

Riferimenti:
Giampiero Bigazzi
Materiali Sonori etichetta discografica
Tuxedomoon sito Crammed Dischttp://www.tuxedomoon.net/
Scheda discografica da Discogs Tuxedomoon Stampa Alternativa

Settembre 2011

 

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