Scrivevo quasi due anni fa:
Cari concittadini, italiane ed italiani, se una guerra civile scoppia non è certo a causa della mancanza di bon ton o dell’innalzamento dei toni. Quello è solo il fuoco accidentale che fa esplodere la polveriera che qualcuno ha ammassato con solerzia e sistematicità, spesso nel rispetto formale delle regole, nei seminterrati della società. In Italia ciò è avvenuto attraverso la sedimentazione di un’epica politica di massa che ha trasformato i più di sessant’anni della nostra storia democratica e repubblicana in un lungo romanzo criminale, coi furfanti sempre accampati dalla stessa parte. (Per inciso: si capisce bene quale considerazione di sé possa aver sviluppato il popolo italiano in tutti questi anni di morboso contro-nazionalismo, di auto-denigrazione istituzionale e quasi istituzionalizzata, e come ne abbia guadagnato l’infingardaggine a tutti livelli), Qualche giorno fa Di Pietro, con l’evocazione maramaldesca di scontri nelle piazze a causa della sordità del governo per “le richieste dei cittadini”, non ha fatto altro che replicare la doppiezza del vecchio PCI, specie all’epoca degli anni di piombo, quando ammassava dinamite in cantina attraverso la sua propaganda, per poi salire al piano nobile del condominio democratico ad ammonire con stile mafioso gli amministratori a comportarsi “coscienziosamente”, perché qualche pazzo esasperato avrebbe potuto far saltare tutto.
Oggi Di Pietro, con l’ingenua brutalità che tanto gli è congeniale, ci riprova, spronando tutti a mandar a casa il governo “prima che ci scappi il morto”: a riprova che per un motivo o per l’altro per questi ossessi in Italia la situazione è sempre “insostenibile”. Lo è da mezzo secolo. Le schiene pieghevoli se lo scordano. Lo era, ad esempio, quasi trentacinque anni fa, quando Moro respinse il ricatto in parlamento: “Onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo nelle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare”. Ma poi lui e il suo partito diedero in pasto Leone alle pulsioni antidemocratiche. E ora come allora, quando la febbre si alza, anche i grandi giornali si adattano a strisciare per terra, e nascondono la loro viltà dietro il paravento della responsabilità altrui. Sono loro che per viltà si fanno complici della “mostrificazione” del Berlusconi di turno, della creazione ad arte di una “situazione insostenibile”, in cui le vittime passano per carnefici, e viceversa, che parlano di panico, dopo esser caduti loro nel panico, che parlano di bunker, dopo essersi arresi al branco che insegue la preda. Chiedono una vittima sacrificale, per nobili motivi, s’intende, come se questa dovesse placare i mercati, pacificare il paese (dopo che ne hanno aizzato gli istinti peggiori), ridurre quel cazzo di spread della malora che ha rotto i marroni più ancora del culo di Pippa Middleton, propiziare un nuovo clima costruttivo necessario alla messa in cantiere delle mitiche riforme, facendo finta di non sapere che il 95% dei deputati e onorevoli di minoranza di porre mano a pensioni, sanità, liberalizzazioni, pubblica amministrazione non pensa neanche con l’anticamera del cervello, che le parti sociali sulla cura dimagrante non troveranno mai l’accordo, che fuori di questa maggioranza i più cretini possono sperare solo nella palingenesi. In realtà chiedono una vittima sacrificale per placare la bestia antidemocratica e farsela amica. Sono loro i veri servi.
Filed under: Italia Tagged: Democrazia, Giustizialismo, Silvio Berlusconi