I viaggi della macchinetta (Antologia Caffè Letterario Moak, 2012)

Creato il 15 aprile 2014 da Iltondi @iltondi

Finalista all’edizione 2012 dell’ottimo concorso letterario Moak (narrativa a tema sul caffè, che in quell’occasione vedeva la giuria presieduta da Massimo Carlotto), I viaggi della macchinetta fa parte dell’antologia di quell’anno. Racconto che mischia umorismo e fantastico, del quale potete leggere l’incipit qui:

Mi sveglio nel cuore della notte. Ma il cuore della notte batte troppo forte, non c’è più verso di dormire. Io però sono sempre stato un testardo da competizione, e allora ci riprovo: testa sotto il cuscino e posizione rannicchiata, fetale, manca solo il pollice in bocca. Niente. Meno che niente. Mi alzo, corro in bagno, mi guardo allo specchio. Lo specchio mi dice che non vuole vedermi fino al mattino, possibilmente dopo le otto e senza occhiaie, e anche meglio se prima mi tolgo quel brutto pigiama a righe orizzontali bordeaux scolorito e grigio topo di fogna. Neanche all’ospedale mi accetterebbero con quel pigiama, aggiunge lo specchio (non fate caso alla battuta, lui non ha un gran senso dell’umorismo, al contrario di me). Io e lo specchio non ci vogliamo molto bene, questo già lo sapevo, per cui non mi rimane che andare in cucina a farmi un caffè. Forse il caffè non mi aiuterà, ma i gesti abitudinari di prepararlo e poi consumarlo lentamente in piedi, di fronte ai fornelli, quelli sì, forse mi faranno convincere che adesso basta dormire, tanto ormai non ho più sonno. Qualcosa mi porta a preparare la moka da 6 persone (attenzione: moka, volgarmente detta “macchinetta”, e io sono un tipo volgare, quindi d’ora in avanti utilizzerò sempre il secondo termine), non so cosa, ma le mani vanno per conto loro e io non voglio certo mettermi contro le mie mani (nelle lunghe e solitarie sere d’inverno mi hanno dato grosse soddisfazioni, d’altra parte). Nel frattempo, fisso l’orologio digitale del forno: non ho di meglio da fare, sono le 3:17. Quando il caffè comincia a salire, è passato qualche minuto ma io sto sempre fissando l’orologio perché ancora non ho niente da fare. Prendo una tazzina, un cucchiaino di zucchero, poi verso il caffè. Mi pare poco. Ne verso un altro po’. C’è qualcosa che non mi convince nella notte così profonda, forse sarà il caso di combatterla con più caffè. Prendo una tazza grande, da tè, ma tanto il tè non si offende, e butto giù: glu glu glu, ecco tutto il caffè. Abito da solo, nessuno reclamerà che l’ho finito (ma se abito da solo, perché ho una macchinetta da 6?)


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