Yutu, “Coniglio di Giada”, come appariva sulla superficie lunare nel December 2013. Trasportava quattro strumenti scientifici, tra cui un radar a penetrazione di suolo che ha scandagliato le stratificazioni al disotto del sito di atterraggio. Crediti: Chinese Academy of Sciences
Il piccolo robottino cinese Yutu, dal nome del mitologico Coniglio di Giada la cui sagoma approssimativa si può a volte scorgere dalle regioni asiatiche tra i chiaroscuri lunari, era arrivato sul nostro satellite all’inizio dell’anno scorso come parte della missione Chang’e 3. Si trattava del primo lander atterrato morbidamente sulla luna dopo 37 anni, con l’ambizione di esplorare per tre mesi il Mare Imbrium, un cratere vasto e piatto, mai campionato prima, che si pensa generato da un antico grande impatto e poi riempito da una marea lavica attorno ai 3,8 miliardi di anni fa.
Purtroppo dopo soli 14 giorni di frenetico zigzagare, e un centinaio di metri percorsi, il rover cinese si è bloccato, interrompendo forzatamente il suo sondaggio della zona, mentre il radar a penetrazione di cui era dotata riusciva a scandagliare fino a 400 metri sotto la superficie lunare. I risultati di quelle analisi, ora pubblicati sulla prestigiosa rivista Science, rivelano che sotto l’aspetto tranquillo il Mare Imbrium nasconde in realtà le cicatrici di un passato esplosivo.
«Quando si guarda un’immagine di questo territorio, sembra piuttosto omogeneo», dice Long Xiao della China University of Geosciences di Wuhan, leader della ricerca. «Ma quando abbiamo potuto osservarne l’interno, abbiamo trovato che lì vi sono raccontate diverse storie». Il gruppo guidato da Xiao ha infatti scoperto strati su strati di colate laviche, non viste in precedenza, riuscendo a trovare evidenze di ben cinque eventi vulcanici distinti.
Una sorpresa ancora più grande è stata che alcune tracce sembrano causate da eruzioni esplosive, piuttosto che da colate laviche effusive. Il terzo strato di lava sotto la superficie, che si trova a circa 240 metri sotto la superficie ed è vecchio attorno ai 3,3 miliardi di anni, possiede infatti una struttura di riflessione che è simile a quello che si vede sulla Terra in conseguenza di eruzioni violente, che espellono grandi rocce conosciute come rocce piroclastiche. Una novità, in quanto precedenti analisi da missioni Apollo e da veicoli spaziali in orbita avevano rilevato solo la presenza di lava basaltica, che scorre più dolcemente.
Perché le eruzioni siano a carattere esplosivo, è necessario un grande accumulo di gas, la cui produzione difficilmente può essere imputata a rocce di superficie, che non contengono a sufficienza sostanze chimiche con basso punto di ebollizione. Questo suggerisce ai ricercatori che all’interno della Luna potrebbero trovarsi molecole volatili, come l’acqua. Ulteriori approfondimenti, per comprendere esattamente come ogni strato si sia formato e dove si potesse trovare ciascun vulcano, sono al momento rimandati, ma non di molto. Quest’anno è infatti previsto il lancio di un secondo rover lunare cinese con la missione Chang’e 4, in preparazione di un’ulteriore missione che riporti a Terra un campione lunare, programmata per il 2017.
Fonte: Media INAF | Scritto da Stefano Parisini