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life after glam
Adesso che Ian Hunter è tornato in auge grazie agli ottimi Man Overboard e When I'm The President il suo catalogo viene preso di mira e la sua carriera viene setacciata con grande gioia dei vecchi fans che magari posseggono vinili ormai gracchianti e, si spera, dei neofiti che così potranno apprezzare uno dei rocker inglesi più originali e versatili. In particolare sotto i riflettori sono i dischi che segnano il passaggio dagli anni settanta agli ottanta, un momento particolarmente felice per l'artista dopo l'avventura coi Mott The Hoople e l'inizio della carriera solista. Già nel 2009 c'era stata la ristampa in edizione Deluxe del suo immenso You're Never Alone With a Schizophrenic, espanso con un po' di out-takes e con un intero CD live, adesso invece arriva un cofanetto di 4CD From The Knees of My Heart che raccoglie lo stesso disco più il potente live Welcome To The Club del 1980, il controverso Short Back n' Sides dell'anno seguente e sotto il titolo di Ian Hunter Rocks la cronaca di uno show al Dr.Pepper Festival di New York nel settembre 1981 pubblicata negli anni ottanta solo in video e subito scomparsa dal mercato. Considerato che tutto questo malloppo costa come un singolo CD è lecito giustificare l'ulteriore riproposizione di Schizophrenicqui incluso per raccontare in modo completo quel periodo della carriera di Ian Hunter.
Quando Hunter registrò Schizophrenic aveva alle spalle il successo con uno degli inni del glam, All The Young Dudes ed una carriera solista che tra alti e bassi aveva offerto l'interessante All American Alien Boy, il disco che lo aveva avvicinato al rock americano. Nel 1979 Hunter sfruttò la montante scena urbana dei songwriter elettrici, in particolare Springsteen e proprio negli studi dove questi registrò The River ovvero il Power Station di New York, con alcuni membri della E-Street Band cioè Roy Bittan, Gary Tallent e Max Weinberg più alcuni collaudati collaboratori tra cui il chitarrista Mick Ronson, mise a punto il suo capolavoro riuscendo a concentrare in uno stesso disco e al meglio tutte le sfaccettature della sua musica: le ballate al sapore di Dylan e il rock sguaiato e glam, il lunatico cantastorie del folk-rock e l' hard-rock duro e metallico derivato dai Kinks. Il risultato è schizofrenico ma superbo ed esaltante, sciabolate elettriche del calibro di Just Another Night e Cleveland Rocks si amalgamo a strepitose ballate urbane come Standin' In My Light e The Outsider, momenti di assoluta delicatessen come Ships si mischiano al sudicio glam da bassifondi di Wild East e Life After Death dove il pianoforte suona un honky tonk ambiguo e vizioso prima che la chitarra dia il via alla tosta ed incattivita Bastard, un titolo ed un crescendo che sono specchio di un rock n'roll selvaggio e ancora pericoloso. Non si è mai soli con uno schizofrenico, questo disco è una delle leggende del rock metropolitano, qui rimpolpata delle bonus tracks contenute nella precedente versione Deluxe e qualche altro rimasuglio come The Other Side Of Life, prototipo di Just Another Night scritta dopo che Hunter fu arrestato per ingiurie e Indianapolis ed una primitiva versione di The Outsider.
Che Ian Hunter fosse in forma nel 1980 lo testimonia il seguente live, quel Welcome To The Club registrato al Roxy di Los Angeles divenuto immancabile in qualsiasi scapestrata festa tra amici e in qualsiasi discografia ad alto tasso elettrico. Una bomba insomma, qui riproposta nella sua scaletta originaria con l'aggiunta di due petardi, One of The Boys, B-side di All The Young Dudes e The Golden Age of Rock n'Roll altro lascito dei Mott The Hoople. Ancora oggi questo concerto suona vibrante, sporco, eccitante pur con degli sprazzi melodici di grande intensità. Vengono portati in scena molti brani di Schizophrenic e ricompaiono gli inni dei Mott quali All The Young Dudes, All The Way From Memphis, Angeline e poi le intimiste ed estatiche I Wish I Was Your Mother e Irene Wilde dimostrazione del carisma di Hunter con le ballate e cover al sangue del calibro di FBI degli Shadows e Laugh at Me di Sonny Bono. Il tutto suonato da un gruppo di gatti randagi che non risparmia colpi ed inscena un rock bastardo segnato da una irriverente carica glam. Naturalmente c'è l'onnipresente Mike Ronson e Ellen Foley alle voci, presenza fissa nei dischi di Hunter del periodo e poi nomi poco noti ma dalla provata fede stradaiola come il chitarrista Tommy Morrongiello, i tastieristi Tommy Mandel e Georgie Mayer, la sezione ritmica di Eric Parker e Martin Briley. Un live storico, il terzo di una triade assieme a One For The Road dei Kinks e Reach Up and Touch The Sky di Southside Johnny che rese incandescente il passaggio di decade.
Aperto a nuovi linguaggi metropolitani, Ian Hunter nel seguente Short Back n' Sides torna in Inghilterra per quanto riguarda le idee musicali (il disco è difatti registrato a New York) e subisce gli influssi di Sandinista. Lavora con Mick Jones dei Clash ad un rock meticcio dove il suo stile incontra i suoni del dub e del reggae, le infiltrazioni elettroniche, le sperimentazioni alla consolle e i graffi del punk. Short Back N' Sides è sospeso tra il classico Hunter del passato ed il nuovo che avanza, anche la copertina lo sottolinea, rimangono gli immancabili occhiali scuri ma sono scomparsi i proverbiali lunghi riccioli biondi della sua lunga capigliatura per un taglio corto e new wave. Nell'operazione vengono coinvolti tanti musicisti, oltre a Jones ci sono Ellen Folley, Topper Headon dei Clash, Todd Rundgren, sassofoni, violini, percussioni. Un progetto ambizioso e non del tutto riuscito, oggi un po' datato ma in grado di offrire alcune tra le migliori canzoni di Hunter. Lo spumeggiante inizio in stile Clash di Central Park West ad esempio e soprattutto due ballate destinate a rimanere nella memoria e nella storia, la prima, Old Records Never Die, è un vero e proprio inno al vecchio rock n'roll, scritto pensando a Presley ma registrato la notte in cui uccisero John Lennon, la seconda, Rain è una malinconica ballata sui suoi trascorsi negli anni sessanta a Northampton. Non male anche altri episodi più "sperimentali" come Noises e Gun Control e come lo strambo incrocio tra Bowie e Springsteen di I Need Your Love. Il disco riflette energia e voglia di cambiamento e non manca di una ironica pennellata di impegno sociale. Ben sette e per nulla raffazzonate le bonus tracks aggiunte.
Diversi titoli di Short Back n' Sides compaiono nel live Ian Hunter Rocks dove il nostro è accompagnato da un affilato quartetto (il chitarrista Robbie Alter, il bassista Mark Clarke, il tastierista Tommy Mandel e il batterista Mark Kaufman) pronto a coniugare in un sanguigno combat-rock le innovazioni di quel disco. Diverso e meno esuberante di Welcome To The Club è comunque un' altra fotografia dello stato di salute di Hunter e della sua disponibilità ai cambiamenti. Il pubblico è partecipe e scatenato, Gun Control, Central Park West, I Need Your Love e soprattutto il funk di Noises concedono chances all'ultimo lavoro ma sono sempre i classici del suo repertorio a fare la differenza, roba calda come Just Another Night, Cleveland Rocks, Roll Away The Stone, All The Young Dudes in verità piuttosto stanca in questa occasione, la convulsa medley di All The Way From Memphis/Honky Tonk Women, le ispirate Irene Wilde e Sons and Daughters. In coda sono riportate una versione alternativa di We Gotta Get Out of Here, la triste Silver Needles sulla morte di Sid Vicious e Man O'War scritta con Ronson.
I vecchi dischi non muoiono mai, quattro dischi al prezzo di uno, From The Knees of My Heart è un conveniente modo di conoscere un periodo esaltante della carriera di Ian Hunter .
MAURO ZAMBELLINI
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