Ohibò. Che è ‘sta roba?
Nelle intenzioni, ricordo bene, doveva esser la recensione dell’album Rant del buon Ian Hunter. M’è finita in biografia.
Che ho mai combinato? E sì che l’avevo pure scritto, aprendo: “Il percorso musicale di Ian Hunter non ha bisogno di essere illustrato”.
Scribacchina, se già perdevi colpi – com’è palese – nel lontano settembre 2001, oggi che sei? Penna da rottamare?
Ma no, via, Scribacchina non si rottama. Scribacchina va presa per quel che è: materia viva in continua mutazione.
Rant è tutt’oggi esistente, e occhieggia ammiccante dalle colonne cd che popolano lo studiolo di Scribacchina.
E va bene, bel ciddì: se insisti, t’inserirò nella playlist dell’iPhone tra Bright Size Life (non s’era capito, va’, che l’ho rispolverato), Stuttgart Aria e… i sempresoliti.
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Settembre 2001
Il percorso musicale di Ian Hunter – di cui è appena uscito l’ultimo lavoro discografico, Rant – non ha bisogno di essere illustrato; tuttavia, per chi non lo conoscesse, ecco in poche righe la storia di questo eccezionale musicista.
Nato a Oswestry (nello Shropshire) e cresciuto a suon di Little Richard, Jerry Lee Lewis e compagni, Ian Hunter Patterson suona in numerose band sin dagli anni Sessanta (qualcuno forse ricorderà il chitarrista della band The New Yardbirds: appunto, Ian Hunter). Il suo è un percorso formativo eterogeneo, che lo porta ad imbracciare il basso e ad accompagnare Billy Fury, Freddie Fingers Lee, The Young Idea e David McWilliams.
Ma non solo: Hunter ha anche lavorato come giornalista e paroliere per Francis, Day & Hunter prima di raggiungere una band dell’Herefordshire, i Silence, nel ‘69.
Soprannominato Mott The Hoople dal suo mentore e produttore Guy Stevens, Hunter diventa il cantante, l’autore dei brani e l’immagine stessa dei Silence: i suoi capelli crespi e gli immancabili occhiali scuri diventano quasi un marchio di fabbrica per la band e per lo stesso Mott The Hoople. Da qui comincia l’incisione di quattro album per la Island Records: materiale che suonava forse troppo di moda, per la verità. Nonostante le critiche positive e la grande forza che questi album liberano quando suonati dal vivo, le vendite sono scarse e causano una scissione tra Silence e Island Records; al suo posto arriva la CBS/Columbia. Comincia ora la scalata al successo: con David Bowie e il brano All The Young Dudes come trampolino di lancio (‘72-’74), Mott The Hoople con i suoi Silence diventa una vera e propria superstar delle hit. E’ in questo periodo di concerti sold out e di grande notorietà che Ian scrive il suo personale best seller, Il diario di una star del rock ‘n’ roll.
I testi di Ian Hunter sono stupefacenti nella loro preveggenza: The Moon Upstairs del ‘71 annunciò l’arrivo, cinque anni dopo, del Punk Rock; Crash Street Kidds del ‘74 predisse le agitazioni sociali e le risse nell’Inghiterra dei primi anni ‘80; i Queen devono aver ascoltato Marionette, un’operetta di cinque minuti firmata da Ian, prima di scrivere la loro famosissima Bohemian Rhapsody.
Ian è stato citato come uno dei maggiori ispiratori e punto di riferimento per tantissime band; tra le altre, i Clash, i Kiss, i Def Leppard, i Rem, i Mötley Crue, i Blur e gli Oasis. L’influenza che Hunter ha esercitato è incalcolabile; affiancato sul palco da Ian Astbury dei Cult, da Axl Rose e Slash, da Roger Daltrey, dai Meat Loaf e da Bryan Adams tra gli altri (come da loro espressa richiesta), ci sono al momento più di 50 diverse versioni dei brani di Ian fatti dagli artisti più diversi. Si va dai Great White ai Presidents of the United States of America, dagli Status Quo ai Blue Oyster Cult, da Bonnie Tyler a Barry Manilow, da Willie Nelson alle Pointer Sisters passando per i Thunder e i Monkees.
Numeri alla mano, non c’è alcun dubbio che Ian Hunter sia uno dei più grandi compositori di musica rock. Lo stesso Freddie Mercury dei Queen non ha mai capito perché Hunter si sia sempre rifiutato di riformare la sua band, reputandola una sorta di pietra miliare della musica. Il motivo è proprio la genuinità di Hunter, refrattario ad ogni tattica commerciale; in questo senso è interessante osservare come i cosiddetti ‘grandi’ come Bob Dylan, Bruce Springsteen e Elton John abbiano oscillato tra prodotti più riusciti ed altri meno riusciti, mentre Ian Hunter ha sempre mantenuto, nel corso degli anni, un livello qualitativo considerevole.
E quest’album, Rant, lo conferma: suono puro, che si evolve (basti confrontare uno dei primi album, dal suono abbastanza rozzo, con questo, decisamente più elaborato in studio) ma che mantiene in sé quella genuinità e quella freschezza che sono il marchio di fabbrica di Ian Hunter.