La suora ebrea e la Polonia degli anni 60
Presentato a Torino 31, Ida (2013), ultima pellicola diretta da Pawel Pawlikowski, racconta la storia di una novizia alla scoperta delle proprie origini, ma non solo.
Anna, essendo orfana, ha vissuto l’intera vita in un convento e ora è pronta per prendere i suoi voti. Poche settimane prima della cerimonia, invitata dalla Madre Superiora, si reca a Varsavia a conoscere la sua unica parente in vita: la zia Wanda. Cinica, alcolizzata e disillusa, Wanda immediatamente le comunica una notizia sconvolgente: Anna in realtà si chiama Ida ed è ebrea.
Ida è una prodotto mascherato. Narra la storia di Anna, novizia in attesa dei voti, ma in realtà si presta a una triplice interpretazione, che oltrepassa il visibile. Difatti quello che più colpisce in Ida è il contesto che ruota intorno alla vicenda, raccontato attraverso una formalità stilistica e un’anticonvenzionalità nelle inquadrature. I silenzi e i tempi dilatati raccontano la Polonia degli anni 60 in pieno regime socialista e tutto ciò si fonde insieme all’indagine psicologica della femminilità e di un passato (antisemita) ancora fortemente vivido. Ida è rappresentazione di un cinema d’altri tempi che non smette di stupire, contrappuntato da un b/n profondamente espressivo e dal recupero del quadro 4:3. E osservando questa pellicola si ha l’impressione di vivere un’esperienza anacronistica, fuori tempo massimo, ma profondamente emozionante.
E Pawlikowski, pur immergendo Ida in un contesto soffocante, dà respiro all’analisi psicologica femminile, soffermandosi sulla figura di Anna/Ida, una ragazza non solamente alla scoperta delle proprie origini, ma anche concentrata sull’esperienza della vita ordinaria e del sacrificio, e sulla figura di Wanda, personaggio sicuramente più forte e significativo. Difatti lo spettatore si sente rapito dall’espressività di Wanda e dal suo (lento) percorso introspettivo, finalizzato alla riscoperta del rimosso di un passato doloroso.
Tutto ciò è Ida, pellicola nella quale sono innegabili la bellezza delle immagini (dove c’è una brillante ricercatezza del punto di vista) e il triplice intento interpretativo. Un prodotto anacronistico e profondamente d’essai, che aiuta il cinema a respirare con semplicità e autorialità. Tuttavia una domanda sovviene spontanea: il pubblico come accoglierà un film così espressivamente difficile? Al botteghino l’ardua sentenza.
Uscita al cinema: 13 marzo 2014
Voto: ***1/2