C'era una volta, all'inizio degli anni sessanta, una novizia di nome Anna in procinto di prendere i voti per diventare suora, finché la madre superiora pensò che sarebbe stato giusto andare a trovare sua zia Wanda, la sua unica parente conosciuta, prima della cerimonia. Le due non si erano mai incontrate prima di quel giorno: grazie a lei Anna scoprì di chiamarsi Ida e di essere ebrea e non cristiana. Insieme partirono per una viaggio alla ricerca della tomba dei genitori di Ida. Questa è la storia che Pawel Pawlikowski decide di volerci raccontare, mettendo in scena un'altro road movie delineato da un sinuoso bianco e nero ad opera di Ryszard Lenczewski e Lukasz Zal (ricordate Nebraska, meraviglioso viaggio di un padre e un figlio fotografato dall'ottima mano del candidato al premio Oscar Phedon Papamichael?) dove a trainare la storia è ancora una volta la "strana coppia", in questo caso la zia mondana e la nipote di Chiesa.
Due diversi modi di vivere e due diversi mondi a confronto: per Wanda la dedizione di Ida è fastidiosa e irritante, sempre lì a pregare e a nascondere quei bei capelli arancioni che la madre le ha donato; per Ida è la stessa cosa nei confronti di Wanda, anche se la compassione della sua fede la rendono più tollerante e meno cattiva nei suoi confronti. O forse è l'ingenuità con la quale si affaccia per la prima volta ad una vita che non ha mai nemmeno pensato di incrociare: Ida è infatti cresciuta in un orfanotrofio a causa della morte dei suoi genitori, anche se il suo destino sarebbe dovuto essere lo stesso di quello della sua famiglia ebrea, ma questi sono in realtà piccoli intrecci di trama (sceneggiatura ad opera dello stesso Pawlikowski e di Rebecca Lenkiewicz) che sarebbe preferibile non svelare, perché il tempo dilatato in cui viene narrata la storia e i momenti statici con i quali è raccontata rendono questi brevi e incisivi risvolti ancora più importanti di quanto non lo siano per la protagonista Agata Trzebuchowska, pacata e tenera, ingenua e timorosa, alla sua "prima volta" con un mondo di peccati e tentazioni, un mondo che va scoperto e provato perché, come dice zia Wanda, come fai a sapere che non ti piace finché non lo provi? Così Anna/Ida si incuriosisce, sperimenta, tasta, tocca con mano l'altra faccia della stessa medaglia, il lato oscuro di una vita che lei ha sempre vissuto all'insegna della croce di Gesù, quell'icona di quella religione tanto odiata da sua zia - tranne la figura di Maria Maddalena, in cui si rispecchia. Allo stesso modo Wanda entra in contatto con le credenze religiose e i rituali sacri (il funerale) e comincia a riflettere sulla sua vita fatta di egoismo e peccato; ma per lei è troppo tardi, ormai. Anna invece può ancora comprendere e capire, riflettere e prendere tempo prima di buttarsi verso una sola direzione senza aver almeno tastato il terreno dell'altra strada del bivio a cui è arrivata in questo momento della sua vita. Solo dopo aver provato sulla sua pelle sia la devozione a Cristo che la tentazione del demonio potrà decidere del suo destino. E noi, seduti sulla poltrona di una sala cinematografica, intenti ad analizzare la vita e le scelte di Ida, iniziamo a riflettere su noi stessi, sulla nostra vita, su dove siamo arrivati e da dove siamo partiti, cercando di capire se abbiamo o meno rimpianti alle nostre spalle, scelte che magari avremmo voluto tentare e non abbiamo potuto, decisioni sulle quali ci siamo buttati senza pensarci due volte, momenti che ancora oggi ci bruciano e ci fanno passeggiare avanti e indietro per la stanza. Perché in fondo è questo Ida, un film che racconta la storia di una vita qualunque, fatta di scoperte, di scelte impreviste, di decisioni da prendere, una vita come tante altre.
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