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Che poi, questa felicità, cos'è?Potrei scomodare Albano e Romina, ma è troppo tardi e, con ogni probabilità, saranno entrambi a letto o, in alternativa, a cercare modi di strappare soldi agli eredi di Michael Jackson.Questa sera pensavo alla felicità come a una specie di vento. Una brezza, più o meno intensa, che si infila dispettosa e incurante dentro ogni varco che più o meno volontariamente le viene concesso, per quanto minuscolo sia. Lo fa senza rispetto alcuno, come un ospite inatteso e a volte quasi sgradito, senza nemmeno sognarsi di chiederlo, se vuoi essere felice, bagnandoci l'esistenza, come acqua che filtra nel terreno di un campo dopo un temporale estivo, sempre più in profondità.E questo soffio può scorrere veloce anche nei meandri delle anime più tetre, per i percorsi più tortuosi e profondi. Ma, così viaggiando e sbattendo contro ostacolo dopo ostacolo, non fa che perdere la sua forza e, a noi poveri sognatori, che ci troviamo in fondo a questo lungo percorso, non resta che stare lì, in piedi con gli occhi chiusi, a raccogliere sul viso gli ultimi resti di quello che era un maestrale di gioia.Meno ne arriva e più sentiamo di averne bisogno, come una droga.Finché, minuto dopo minuto, arriva il momento in cui ci voltiamo dall'altra parte e, a volte quasi per caso, scopriamo dal verso in cui sbattono i rami degli alberi, che il vento non ha fatto altro che cambiare direzione. Ora non ci resta che da capire quale, e conviene farlo il prima possibile.Perché andare controvento, per un po', può anche essere piacevole: può farci sentire bene, persino farci sembrare più vivi, e colmi di passione.Poi, però, rischia di travolgerci, come naufraghi nella tempesta, con le labbra secche e i capelli spettinati da un vento dispettoso.
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