Idra.
Il genere umano possiede due libri, due registri, due testamenti, l’architettura e la stampa, la bibbia di pietra e la bibbia di carta. Certamente, nel contemplare queste due bibbie così ampiamente aperte nei secoli, è lecito rimpiangere la maestà visibile della scrittura di granito, quei giganteschi alfabeti costituiti da colonnati, pilastri, obelischi, quella specie di montagne umane che coprono il mondo e il passato iniziando dalla piramide fino ad arrivare al campanile, da Cheope a Strasburgo. Bisogna rileggere il passato su quelle pagine di marmo. Bisogna ammirare e incessantemente risfogliare il libro scritto dall’architettura; ma non bisogna negare la grandezza dell’edificio a sua volta innalzato dalla stampa. Questo edificio è colossale. Non so quale esperto di statistica ha calcolato che, sovrapponendo l’uno all’altro tutti i volumi stampati da Gutenberg a oggi, si coprirebbe l’intervallo che va dalla Terra alla Luna; ma non è di questo genere di grandezza che vogliamo parlare. Intanto, quando cerchiamo di raccogliere nella nostra mente un’immagine totale dell’insieme dei prodotti della stampa fino ai giorni nostri, questo insieme non ci appare forse come un’immensa costruzione che poggia sul mondo intero, alla quale l’umanità lavora senza posa e la cui testa mostruosa si perde nelle brume profonde dell’avvenire? E’ un formicaio d’intelligenze. E’ l’alveare nel quale tutte le immaginazioni, api dorate, confluiscono col loro miele. L’edificio di mille piani. Qua e là vediamo aprirsi su quelle rampe le caverne tenebrose della scienza che s’intersecano nelle sue viscere. Ovunque sulla sua superficie l’arte fa lussureggiare allo sguardo i suoi arabeschi, i suoi rosoni e i suoi merletti. Qui, ogni opera individuale, per quanto capricciosa e isolata possa apparire, ha il suo posto e il suo risalto. Da ogni cosa emana armonia. Dalla Cattedrale di Shakespeare fino alla Moschea di Byron, mille piccole guglie s’accalcano alla rinfusa su questa metropoli del pensiero universale. Alla sua base è stato riscritto qualche antico titolo dell’umanità che l’architettura non aveva registrato. A sinistra dell’entrata, è stato sigillato il vecchio bassorilievo in marmo bianco di Omero, a destra la Bibbia poliglotta innalza le sue sette teste. L’idra del Romancero si erge più in là, e qualche altra forma ibrida, i Veda e i Nibelunghi. Del resto, il prodigioso edificio rimane sempre incompiuto. Il torchio, macchina gigantesca che pompa senza posa l’intera linfa intellettuale della società, vomita incessantemente nuovi materiali per la sua opera. L’intero genere umano è sull’impalcatura, ogni spirito è un muratore. Il più umile tappa un buco o posa la sua pietra. Rétif de la Bretonne giunge con la sua gerla di calcinacci. Tutti i giorni s’innalza un nuovo piano. Indipendentemente dall’apporto originale e individuale di ogni scrittore, vi sono contingenti collettivi. Il diciottesimo secolo dà l’Encyclopédie, la rivoluzione dà il < Moniteur >. Certo, è anche questa una costruzione che cresce e si accumula in spirali infinite; anche qui c’è confusione di lingue, attività incessante, lavoro infaticabile, concorso accanito dell’intera umanità, promesso rifugio all’intelligenza contro un nuovo diluvio, contro un’invasione barbarica. E’ la seconda Torre di Babele del genere umano. -Victor Hugo- ( < Notre-Dame de Paris > ultimo pezzettino tratto da: Questo ucciderà quello).
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SENZA TITOLO
La società recidiva
senza occhi
senza voce
senza orecchie
reprime immensità di nuova vita
in metafore di vista, di urli, di udito.
La compagine povera che soffre
percepisce ciò che nessun potente
potrà mai imitare o soffocare.
Una nuova era avanza
nell’aria e nel sangue
già volteggia e pulsa.
Nel sapere di chi non sa
l’alba e il tramonto
è ancora alba e tramonto.
Ma se il tramonto
si chiamasse alba?
E se l’alba
si chiamasse tramonto?
E se la morte della ricchezza
si chiamasse vita?
-Renzo Mazzetti, Orizzonti, Libroitaliano, Ragusa 2001
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