Il dibattito sull’alternativa ai combustibili fossili, ormai in via di esaurimento, ha generato molta confusione. Il libro piú in gettonato sul tema, “Economia all’idrogeno” di J.Rifkin, non ha purtroppo marcato adeguatamente la differenza tra i due principali problemi: il primo, quello delle scelta delle fonti di energia , e il secondo, quello “del mezzo di imagazzinamento e di trasporto” dell’energia, denominato appunto “vettore energetico”. Il problema delle fonti attuali di combustibili fossili come petrolio o carbone è che presto si esauriranno perchè impiegano molto piú tempo a formarsi che noi a consumarle (non sono quindi fonti rinnovabili) e il loro utilizzo inquina l’atmosfera con la produzione di CO2. Il gas idrogeno (H2) in una cella a combustibile puó liberare energia reagendo con l’ossigeno e producendo acqua, anziché un gas inquinante come l’anidride carbonica. Perchè non utilizzare quindi l’idrogeno in questo modo come fonte di energia pulita? Non avrebbe senso perchè durerebbe pochissimo: sulla Terra l’idrogeno è infatti abbondantemente presente nelle molecole di acqua e metano ma è purtroppo molto raro nella sua forma utilizzabile, quella di gas H2; per estrarre idrogeno dall’acqua o dal metano serve piú energia di quanta il gas idrogeno sia in grado di restituirci quando venga usato in seguito come combustibile. Morale: l’idrogeno al massimo è da considerarsi come un vettore energetico pulito, ma non una fonte di energia rinnovabile. Realizzare un processo efficiente – cioé senza che si perda troppa energia nei passaggi intermedi -di produzione di energia da fonti rinnovabili come il sole, e che faccia uso di un vettore pulito come l’Idrogeno, è una difficile sfida tecnologica tutt’ora aperta.
Pochi giorni fa c’è stato però un interessante risultato di ricerca ottenuto all’ Universitá di California Santa Cruz: il gruppo di Yat Li, Associate professor of Chemistry, ha realizzato un dispositivo che è in grado di produrre idrogeno a partire da due fonti rinnovabili: luce solare e liquami, con un sistema che garantirebbe quindi allo stesso tempo una forma di produzione energetica sostenibile e ottimizzerebbe l’efficienza del trattamento delle acque reflue. Il sistema combina due particolari dispositivi di produzione energetica: una cella fotoelettrochimica e una cella a combustibile microbica. La cella fotoelettrochimica sfrutta la capacitá di un materiale semiconduttore di generare una differenza di potenziale in un circuito una volta sottoposto ad iluminazione solare: la seconda fa uso di batteri speciali, detti elettrogenici, capaci di generare elettricità degradando la materia organica presente nei liquami, per via del trasferimento degli elettroni, generati dal proprio metabolismo, dalla membrana cellulare ad un anodo esterno. Entrambe le celle separatamente sarebbero in grado di produrre idrogeno, a patto di applicare dall’esterno una differenza di potenziale, a patto cioè di fornire ancora dall’esterno una certa quantità di energia: la novitá è che la combinazione delle due diverse celle fa sì che il ciclo si autosostenga a patto di fornire adeguata quantitá di irraggiamento solare e di materiale organico. La cella fotoelettrochimica fornisce alla cella microbica la differenza di potenziale necessaria a immettere nel circuito la corrente elettrica che a sua volta causa l’elettrolisi dell’acqua all’altro elettrodo della cella fotoelettrochimica con produzione finale di gas idrogeno e ossigeno. A seguito di questo risultato, gli autori si dichiarano ottimisti circa la possibilità di realizzare a breve un applicazione di piú vasta scala rispetto al prototipo di 40 litri.
Estratto da: http://news.ucsc.edu/2013/10/solar-microbial-device.html .
L’articolo scientifico di riferimento pubblicato su ACS Nano: http://pubs.acs.org/doi/abs/10.1021/nn403082m