Anche se già presentato in una sorta di anteprima, ancorché doverosa e direi anche ovvia, su alcuni giornali italiani, il Manifesto del Movimento futurista ebbe la sua consacrazione sui media
dell’epoca nelle pagine del Figaro, giornale parigino e soprattutto francese, il 20 febbraio 1909. Quello che era un movimento tutto italiano, fors’anche per una studiata mossa che fosse
provocatoria anche nella scelta della sede, oltre che opportuna per la risonanza sicuramente di portata europea che avrebbe avuto, scelse la piazza parigina per manifestarsi al mondo.
“… Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle
scienze ha determinato nell'umanità mutamenti tanto profondi, da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro
…”. Così esordiva il proclama di Filippo Tommaso Marinetti, suo chaperon, suo co-ideatore, che dopo un lungo brainstorming ed una gestazione che si articolò in uno spericolato crowdsourcing artistico, alla fine dette alla luce una serie
indefinita di hastag i cui must furono #progresso e #velocità. Ed
anche in quel caso, permettetemi la dotta notazione, non si sa se seguace degli ottimismi di Surowiecki o delle negatività di Mackay. D’altronde le citazioni sono oramai d’obbligo (quasi non si
avessero novità da comunicare) solo che spesso sarebbe più opportuno ascoltare Renzo, non quello del Manzoni, ma il contadino mio, che quando c’era da piantar la vite, pressoché certo dei buoni
risultati, sbraitava affinché ciò avvenisse su una collina “a bacìo”, o “a dorco” che dir si voglia, altro che profezie e ‘sperimenti!
Ma non voglio mi si prenda inutilmente per bieco reazionario e cavalcando dunque la fiammeggiante locomotiva del progresso ci lasciamo incuriosire da quanto, qualche tempo dopo, occorse al nostro
Marinetti e al movimento tutto, che dopo proclami e manifesti su ogni forma d’arte e d’espressione di ogni ordine e grado, ebbe ad insidiare anche la politica per il grande disappunto portato
dall’hastag #progresso che sembrava languire sepolto tra #reazione e #controrivoluzione, ovvero, il più consueto degli immobilismi che da sempre è sinonimo di privilegio che mai,
per definizione, deve cambiare padrone né tantomeno beneficiario. Padri fondatori del vero open source, tempo pochi anni, le apps artisticamente immesse sul mercato si evolsero in vero e proprio software tanto che nel 1918, gusto giusto per cavalcare
l’onda della scontentezza derivante da una guerra che, per quanto vinta sui trattati era costata in numero di figli quanto un olocausto, nacque, sempre grazie ai marinettiani uffici, il Partito
Politico Futurista. La loro timewiki è condensabile in tre momenti fondamentali che precedettero
l’entrata ufficiale nel novero dei politicanti patentati: un primo manifesto politico era stato già pubblicato nel 1909 ma, complici i concomitanti annunci di stampo artistico, perse la sua
incisività e fu più visto come una sorta di scapestrerìa tanto che non gli venne dato peso. Un secondo annuncio, ben più ponderato invece, quando il movimento tutto oramai si era consolidato,
apparve nel 1911 (pubblicato poi su “La Cerba”, n.20 dell’ottobre 1913), giusto a favore di quella guerra in Libia e di quel nascente colonialismo che sarebbe servito a dare una generale sveglia
all’italico ardore, all’italica #velocità ed a completare quel quadro di #progresso che oramai aveva contaminato con la
sua #audacia, #esuberanza e #fulmineità, dalla pittura alla scultura, alla letteratura, la musica, l'architettura, la danza, la fotografia, il cinema e persino la gastronomia. L’ultimo dei precedenti risaliva a
pochi mesi indietro, al 1917, quando fu deciso di affondare il coltello nella piaga della conduzione della guerra, complici il vate D’Annunzio, patriottico guerrafondaio, quelli come lui - che al
tempo si chiamavano “interventisti” - e quella fetta grossetta d’Italia che aveva subìto gli effetti
della guerra ed il cui risentimento e rancore diventavano frecce aguzze nella faretra futurista. L’ascesa come altrimenti non avrebbe potuto non essere in virtù degli hastag-dovere,
#velocità e # fulmineità, vide il partito aderire inizialmente ai “Fasci di
combattimento” nella riunione di fondazione di San Sepolcro il 23 marzo 1919, seppur tenendosene separati almeno nel nome, come “Fasci politici futuristi”, per poi tuttavia staccarsi molto presto
dall’ideologicamente alleato fascista per la connivenza che lo stesso, in funzione della scalata al potere, aveva intrapreso con il governo Giolitti che invece, per Marinetti e compagni
rappresentava la #reazione
Va subito detto che il Partito Politico Futurista non ebbe lunga
vita. Probabilmente proprio le prerogative che lo muovevano di #velocità e di
#fulmineità fecero sì che si rivelasse una meteora nel mondo politico anche se, durante il breve periodo in cui partecipò attivamente, senza
dubbio ebbe la qualità di dimostrarsi inaffidabile a qualsiasi tipo di alleanza visto che nei principi esposti vi era una guerra totale alle
istituzioni che al tempo erano al potere in Italia, ovvero monarchia e chiesa, l’una come emanazione dell’indipendenza e ancora del passato, la seconda ancora troppo invadente nella vita laica
del paese. Non restava che un vecchio, sano, vigoroso e dannunziano #interventismo, attorno al quale, ahimé, si raccolsero invece, non
essendovi altri nemici esterni da combattere, per l’autodistruzione dell’Impero Austro-Ungarico, tutti i delusi dall’inazione, ivi comprese le squadracce fasciste con le quali ad esempio
parteciparono all’incendio della sede dell’Avanti a Milano, anche se poi, il futurismo nel suo complesso era e restò un movimento di azione intellettuale e non di forza bruta. Nella maggior parte
dei casi infatti, laddove non si trattasse di dimostrazioni artistiche di #aerorivoluzione, preferì cambiare i palcoscenici ove
misurarsi con la pubblica opinione, la maggior parte della quale giaceva nell’ancora etereo olimpo intellettuale. Ma ciò che più diverte e incuriosisce è il contenuto del programma politico che,
pur sorvolando su alcune peculiari richieste elettorali, legate più a situazioni contingenti che non a principi fondamentali, porta con se innovative istanze che, quand’anche con qualche leggero
adattamento, non sfigurerebbero in un qualsiasi innovativo programma politico si volesse oggi presentare.
- Il partito politico futurista che noi fondiamo oggi vuole una Italia libera forte, non più sottomessa al suo grande Passato, al forestiero troppo amato e ai preti troppo tollerati: una
Italia fuori tutela, assolutamente padrona di tute le sue energie e tesa verso il suo grande avvenire.
- L'Italia, unico sovrano. Nazionalismo rivoluzionario per la libertà, il benessere, il miglioramento fisico e intellettuale, la forza, il progresso, la grandezza e l'orgoglio di tutto il
popolo italiano.
- Educazione patriottica del proletariato. Lotta contro l'analfabetismo. Viabilità. Costruzione di nuove strade e ferrovie. Scuole laiche elementari obbligatorie con sanzioni penali.
Abolizione di molte Università inutili e dell'insegnamento classico. Insegnamento tecnico obbligatorio nelle officine. Ginnastica obbligatoria con sanzioni penali. Educazione all'aria aperta,
sportiva e militare, scuole di coraggio e d'Italianità.
- Trasformazione del Parlamento mediante un'equa partecipazione di industriali, di agricoltori, di ingegneri e di commercianti al Governo del Paese. Il limite mino di età per la deputazione
sarà ridotto a 22 anni. Un minimo di deputati avvocati (sempre opportunisti) e un minimo di deputati professori (sempre retrogradi). Un Parlamento sgombro di rammolliti e di canaglie. Abolizione
del Senato
Questi erano i primi articoli del programma in buona parte evidentemente
legati alla situazione di allora ma già depositari, nelle parole “ .. Nazionalismo rivoluzionario per la libertà, il benessere, il miglioramento fisico e intellettuale, la forza, il
progresso, la grandezza e l'orgoglio di tutto il popolo italiano..” di quella #velocità ed #esuberanza che dovevano contraddistinguere il nuovo, il futuro, da un presente che fondamentalmente andava svecchiato. Ed ecco dunque la
ricetta per addivenire al rinnovamento, ricetta che porta in sé una formula transitoria che certo recentemente deve essere stata letta e studiata dai nostri parlamentari:
“Se questo Parlamento razionale e pratico non dà buoni risultati, lo aboliremo per giungere ad un Governo tecnico senza Parlamento, un Governo composto di 20 tecnici eletti mediante suffragio
universale. Rimpiazzeremo il Senato con una Assemblea di controllo composta di 20 giovani non ancora trentenni eletti mediante suffragio universale. Invece di un Parlamento di oratori
incompetenti e di dotti invalidi, moderato da un Senato di moribondi, avremo un governo di 20 tecnici eccitato da una assemblea di giovani non ancora trentenni. Partecipazione eguale di tutti i
cittadini italiani al Governo. Suffragio universale uguale e diretto a tutti i cittadini uomini e donne. Scrutinio di lista a larga base. Rappresentanza proporzionale.”
Praticamente un suffragio universale per un governo alla SuperMario, una elezione diretta con partecipazione finalmente del popolo tutto, donne comprese e con una rappresentanza poi proporzionale
senza sbarramento alcuno. Se sorvoliamo sul tema dell’età probabilmente ci siamo! Oltre tutto un governo snello, di soli 20 elementi, quindi #governoveloce e #governoeconomico al quale, quasi quasi per quanti pochi sono previsti, gli potremmo pure dare l’auto blu.
Senza dubbio un governo “eccitato da una assemblea di giovani non ancora trentenni”, potrebbe forse per taluni porre qualche problema di affidabilità ma, visti i recenti panni di
cui ci vestiamo (mi raccontano di una satira che è in crisi profonda perché non sa più a chi dare addosso), mi sentirei quasi indotto a preferirlo ad un vergognoso e miserabile rimpasto dei
presenti (vecchi o giovani che siano e qui, taluni rampolli ci mettono sull’avviso, anche perché più che #scattanti mi sembrano
#intaccanti almeno quando la balbuzie riesce a salvarli dallo strafalcione). Inoltre la futuristica idea del voto alle donne che verrà riconosciuto in Italia come sappiamo soltanto nel 1946, non lascia margine di
dubbio alla bontà della manovra.
Segue qui una filippica (non una di quelle di Demostene contro Filippo II
il macedone , quanto una tiritera di Filippo Tommaso Marinetti) contro la Chiesa e la sua responsabilità nel mantenere l’Italia in un “medioevo
teocratico e religioso”. Ma subito rincara con tono #fulminante!!
- Abolizione dell'autorizzazione maritale. Divorzio facile. Svalutazione graduale del matrimonio per l'avvento graduale del libero amore e del figlio di Stato.
- […]
- Preparazione della futura socializzazione delle terre con un vasto demanio mediante la proprietà delle Opere Pie, degli Enti Pubblici e con la espropriazione di tutte le terre incolte e mal
coltivate. Energica tassazione dei beni ereditarî e limitazione di gradi successorî. Sistema tributario fondato sulla imposta diretta e progressiva con accertamento integrale. Libertà di
sciopero, di riunione, di organizzazione, di stampa. Trasformazione ed epurazione della Polizia. Abolizione della Polizia politica. Abolizione dell'intervento dell'esercito per ristabilire
l'ordine. Giustizia gratuita e giudice elettivo. I minimi salari elevati in rapporto alle necessità della esistenza. Massimo legale di 8 ore di lavoro. Parificazione ad eguale lavoro delle
mercedi femminili con le mercedi maschili. Leggi eque nel contratto di lavoro individuale e collettivo. Trasformazione delle Beneficenza in assistenza e previdenza sociale. Pensioni operaie.
Credo che tale equità di trattamento sia davvero da considerarsi #futurista, allora ed aggi ancora! E tale lungimiranza per la quale si
ipotizza una tassazione diretta, salari conformi alle esigenze di vita ed uguali tra uomini e donne direi addirittura #sbalorditiva. Mi
domando pertanto come un tale programma non possa aver riscosso il successo che credo in buona parte oggi potremmo attribuirgli. Ma, allora come
oggi, il problema era la credibilità. Questo sembra divenuto il più alto valore dell’economia visto che tutto si fonda sulla cosiddetta “fiducia dei
mercati”, ma anche della politica che anziché nei principi e nei programmi e quindi, in definitiva, nell’uomo, si fida solo dell’economia, innescando
dunque quel circolo vizioso che ci ha portato là dove siamo.
Beh il programma politico futurista non si esauriva certo in questi
pochi articoli che abbiamo preso a spunto solo per una curiosa digressione. Per contro essi auspicavano una decentralizzazione dello stato, invocando autonomie regionali e provinciali, anche se
in realtà la ricetta anche qui riservava qualche sorpresa, infatti, la suddivisione era necessaria “per fare di ogni amministrazione uno strumento agile e pratico, diminuire di due terzi gli
impiegati raddoppiando gli stipendi dei Capi-servizio e rendendo difficili ma non teorici i concorsi. Darei ai Capi-servizio la responsabilità diretta e il conseguente obbligo di alleggerire e
semplificare tutto. Abolire l'immonda anzianità, in tutte le amministrazioni, nella carriera diplomatica e in tutti i rami della vita nazionale. Premiazione diretta dell'ingegno pratico e
semplificazione negli impieghi. Svalutazione dei diplomi accademici e incoraggiamento con premî della iniziativa commerciale e industriale. Principio elettivo nelle cariche maggiori.
Organizzazione semplificata a tipo industriale nei rami esecutivi”, prelevando dunque le migliori regole nella
gestione sia dell’amministrazione pubblica che dell’industria, rimodellandole poi secondo un criterio #meritocratico e non accademico. Avevano infine previsto anche la
possibilità che il modello politico fallisse o non venisse accolto con i dovuti consensi, pertanto concludevano, #velocemente ed #energicamente: “Questo programma politico segna la nascita del partito politico futurista invocato da tutti gli italiani che si battono oggi per una più giovane Italia liberata dal
peso del passato e dallo straniero. Sosterremo questo programma politico con la violenza e il coraggio futurista che hanno caratterizzato sin qui il nostro movimento nei teatri e nelle piazze.
Tutti sanno in Italia e all'estero ciò che noi intendiamo per violenza e coraggio.” Altro non vi fu in effetti da aggiungere a tanto clamore. Una cosa almeno gliela riconosco: il
coraggio. Il coraggio di provocare. Il coraggio di cambiare anche. Certo era una iperbole la loro, ma almeno, per quanto alla massima #velocità, il loro obiettivo non era il presente ma un #roboantefuturo. E il nostro chi sa immaginarlo?