Ieri e oggi

Creato il 05 dicembre 2011 da Soniaserravalli

Il post di oggi sarà più simile a una pagina di diario che a un articolo di giornale. In questi due giorni ho parlato con diverse persone (egiziane) interessanti dai pareri altrettanto interessanti sull’Egitto da qui al 2012. Vi chiedo solo, se ne leggete uno, di leggerli tutti, per par condicio Darò loro nomi fittizi.
Salem è un ex studente dell’al-Ahzar, uno dei principali centri d’insegnamento religioso dell’Islam, al Cairo, è una delle persone più colte e aperte che conosca in questo paese. Secondo lui l’Egitto andrà peggio che durante tutto il regime di Mubarak. Perché i partiti islamici hanno già ottenuto la grande maggioranza dei voti al primo round, e perché Fratelli Musulmani e Salafiti sono finanziati da Arabia Saudita e Paesi del Golfo, dunque sono forti, allo scopo di rendere l’Egitto un Paese simile all’Arabia, secondo le norme dell’Islam wahabita, una delle sue correnti più estremiste. In questo caso l’Egitto verrebbe sottoposto a una normativa morale talmente serrata da far chiudere i centri di “perdizione” quale Sharm El Sheikh, secondo Salem, che lo dice con grande dispiacere negli occhi. “Gli stranieri non potrebbero più permettersi di scoprirsi in spiaggia per prendere il sole, chiuderebbero i negozi di alcolici, deciderebbero per te, per me e per tutti, cosa è bene e cosa è male.” E quello che considereranno male, non te lo lasceranno più fare, a dispetto delle tue scelte personali, della tua fede e della tua scala di valori, sembra intendere nel suo inglese stentato. E’ colpa mia, sono in Egitto, sono io che non parlo la sua lingua, non è Salem che è tenuto a parlarmi la lingua dei suoi ex colonizzatori. L’indulgenza dell’egiziano nello spiegare queste cose per lui semplici allo straniero che le ignora, senza rabbia né rancore, non smette di colpirmi e di stimolarmi a migliorare me stessa.
Poi, anche lui come l’80% degli egiziani con cui ho parlato, si lamenta del fatto che Israele acquista il gas egiziano a metà del costo a cui lo pagano gli egiziani stessi, mi mostra su internet aree in cui la luce in Egitto neanche arriva perché quelle risorse energetiche devono andare, svendute, ad Israele. “Sono egiziano e per me un Paese che si chiama Israele non esiste, mi chiedo perché devo subire una cosa del genere.” Parliamo dei vari aspetti del periodo, sociali, economici, politici. Gli chiedo cosa pensi della mia mezza idea di aprire un conto in banca in Egitto. Mi consiglia come valuta il dollaro americano, “per la valuta egiziana aspetta e vedi come va”, e per la prima volta mi fa pensare che un regime islamico in stile iraniano o saudita non per forza ci caccerebbe fuori dal Paese, ma saremmo probabilmente noi stranieri ad andarcene. Non ci avevo mai pensato prima. Poi fa una cosa che ho già visto fare a diversi altri cittadini egiziani che mi hanno fatto l’onore di raccogliere le loro testimonianze. Scuote la testa con un mezzo sorriso, e dice: “Che popolo strano. Un giorno c’è una piazza piena di un milione di persone a piangere le morti di nuovi martiri, fanno sfilare i funerali in mezzo a tutti, trovano modi alternativi per difendersi dai gas lacrimogeni… e il giorno dopo nella stessa piazza li vedi che suonano le chitarre e cantano tutti in coro. Che popolo strano…” .

“Comunque, sì, ho studiato ad al-Ahzar. E Fratelli Musulmani e Mubarak sono persone della stessa razza. I primi non sono veri musulmani, a loro interessa solo il potere. Così come i Salafiti, l’Islam lo leggono a modo loro, e vogliono far credere a interi popoli che il messaggio coranico sia questo, quando il Corano è il primo a dirti che sei libero di scegliere, per conto tuo, dopo attente considerazioni, se credere o non credere e se praticare o no la religione, e nessuno potrà interferire.”
Poi, incontro George, cristiano. Parliamo come ho fatto con altri della mia mezza intenzione di aprire il conto in banca  qui. Ho lasciato le mie ansie in Europa e nonostante tutto ho voglia di fidarmi di questo Paese. Nonostante durante i mesi della rivoluzione fosse tra i più pessimisti, George mi sorprende rincuorandomi: “Vedrai che andrà tutto bene. Non possono mettere a tacere i milioni di egiziani che vivono di turismo e di scambi con l’estero. Se calcoli anche l’indotto, sono milioni. Gli egiziani arriverebbero solo fino a un certo punto, poi volterebbero loro le spalle. Iran? Qatar? Arabia Saudita? L’egiziano non è fatto così e nessuno riuscirà mai a costringerlo in quei panni. I militari – il cui regime con Mubarak e l’epoca precedente ammonta a 62 anni – non lascerebbero mai che avvenisse una cosa così.” Mi viene da pensare che allora dobbiamo scegliere il male minore e che allora per uno straniero qui il male minore sia il regime militare. Una logica molto triste e non ancora testata, ma mi piace sviluppare i ragionamenti che ogni giorno porta con sé come fossi sempre una cavia in laboratorio posta in un ambiente che non era il suo.
George dice che sono tutti fanatici, che sono finti musulmani, che l’Islam non c’entra niente con questo. L’indulgenza dell’egiziano nello spiegare queste cose per lui semplici allo straniero che le ignora, senza rabbia né rancore, non smette di colpirmi e di stimolarmi a migliorare me stessa.
Rincuorata, incontro Hany. Sto parlando di incontri suddivisi sull’arco di due giorni, senza considerare le constatazioni via email e Facebook, altrettanto variegate e interessanti.  Hany mi fa la lista dei paesi che in realtà finanziano i partiti islamici allo scopo di portare l’Egitto a una legislazione “wahabita”, e si chiede con che coraggio questi partiti si permettano di dire che c’è l’America a finanziare rivoluzionari e blogger con i milioni  di lire egiziane che si intascano loro da paesi che con la storia egiziana non c’entrano niente. I Fratelli Musulmani durante la rivoluzione promettevano di non candidarsi neanche a queste elezioni, di non volere nemmeno seggi in Parlamento. Ora stanno ottenendo la maggioranza, e ciò avviene anche perché, col vantaggio dei fondi dai paesi del Golfo, possono permettersi una vera campagna elettorale, inclusi ridicoli kit regalo ai votanti, cose che gli altri partiti non possono permettersi. L’indulgenza dell’egiziano nello spiegare queste cose per lui semplici allo straniero che le ignora, senza rabbia né rancore, non smette di colpirmi e di stimolarmi a migliorare me stessa.
Infine oggi ho avuto il piacere di parlare con Khalil, ex appartenente ai Fratelli Musulmani. Finalmente, viso a viso, parola a parola, e fuori dalle TV. Di nuovo, non vorrei essere altrove che non sia un luogo in cui i fatti mi vengono incontro in carne ed ossa. E’ un uomo moderno, vestito come qualunque italiano. E’ un imprenditore e nella sua struttura vende perfino alcolici. E’ anche molto simpatico, si ride molto scambiandoci varie battute. Non ha nemmeno la barba! Mi parla come se fosse già un amico, ridendo con me del fatto che certe turiste avevano paura a uscire dalla sua struttura. Ha promesso loro sul suo nome che se anche si fossero trovate per la strada ubriache alle 2 di notte, qui avrebbero trovato qualcuno che le avrebbe aiutate. Il loro impatto con l’esterno è stato stupendo, e hanno capito che quelle paure venivano da casa loro, e che non hanno niente a che vedere con la vita vera qui. E poi, ci fa ridere pensare di avere paura in questa cittadina sul Mar Rosso, ex villaggio beduino e di hippies.

Di nuovo, si finisce sui discorsi: Egitto, elezioni, euro, crisi, conto corrente. Mi nomina i mass media, dice che le mie paure vengono da lì. Sorride, non si arrabbia come farei io. Poi inizia a raccontare un po’ di lui e del suo passato presso i Fratelli Musulmani. Come altri mi avevano raccontato al Cairo mesi fa, mi riconferma che si tratta di bravissime persone, e anche molto “avanti”, moderne e di ampie vedute, e di fronte alle paure di doverci velare e di non poter più prendere il sole in bikini, ride come un matto e dice che questo non lo permetteranno mai. Poi mi fa numeri precisi: gli egiziani che campano grazie al turismo sono ben 20 milioni. Continua a sorridere con l’aria di un bonaccione. Poi si mette la mano sul cuore come per giurare e dice, “anch’io ho avuto paura durante la rivoluzione. Ma adesso c’è una cosa che mi toglie ogni dubbio e ogni paura. Una cosa che accomuna gli egiziani tutti e che nessuno, nessuno potrà mai toglierci. GLI EGIZIANI AMANO GLI STRANIERI. E’ una caratteristica che risale a tanti secoli fa, o forse addirittura a storia antica. L’egiziano è curioso, ironico, e per l’egiziano l’ospite è sacro. Di fronte a un viandante sconosciuto, l’egiziano offre 3 giorni di ospitalità gratuita anche senza chiedere niente del perchè di quella visita…” Come tutti gli egiziani si entusiasma quando parla di queste cose, fa ampi gesti con le braccia e le mani sul cuore, e io lo capisco perché sono come lui. Mi fa ridere ancora, usiamo gli stessi codici nel parlare. Mi ribadisce che pensa che l’anno 2012 porterà grandi cose per questo Paese, che in ogni caso andrà meglio che sotto Mubarak. E che non ci sarà alcun problema di sorta per gli stranieri, perché l’egiziano è diverso da sempre da tutti gli altri arabi e non può vivere senza quest’apertura verso l’esterno. Gli dico: “Credo in voi.” L’indulgenza dell’egiziano nello spiegare queste cose per lui semplici allo straniero che le ignora, senza rabbia né rancore, non smette di colpirmi e di stimolarmi a migliorare me stessa.

Questa è una cittadina in cui ancora fai i traslochi a braccia o in bicicletta, come ai Caraibi. Oggi con un carico di vettovaglie nuove e un mobiletto caricato sulla bici che uso come carrello trasportatore, sono passata come qui si fa spesso attraverso una struttura privata per arrivare dalla strada interna al mare. Ho perfino usato il loro bagno. Il mio carico mi faceva sembrare una pazza o una profuga, quello che qui sembriamo tutti quasi ogni giorno, perché ci siamo liberati dal fardello dell’immagine. Mi aspetto che prima o poi mi dicano qualcosa, che protestino per la mia sfrontatezza, soprattutto oggi… Esce il ragazzo che lavorava dietro la reception, e senza una parola, mi aiuta a trasportare la bicicletta fino al lungomare. Ho aperto il mio primo conto in banca in Egitto. Vorrei festeggiare. Mi sento bene, leggera, “giusta”. CREDO in questo popolo, e non mi interessano neanche più le possibilità di sbagliare – o stai da una parte, o stai dall’altra. E se non seguiamo quello in cui crediamo non stiamo vivendo.



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