Ho un problema con la mente.
La mente è una macina e se non le dai nulla da macinare macina se stessa; questo l’ho capito che avevo, non so, sei anni, sette. Il concetto è abbastanza lineare.
Quello che ci ho messo un po’ più di tempo a chiarire è che la macina non è una sola, e si tratta piuttosto di un sistema più o meno complesso, immagino a seconda della persona che ne è titolare.
(E dell’età e del tipo di vita, suppongo, da cui l’eccessiva semplificazione iniziale: bambina, non avevo ragione di differenziare; la scoperta dei ragazzi ha portato tutta una serie di preoccupazioni a sé stanti; l’istruzione non è stata motivo di interesse più che formale almeno fino agli ultimi anni del liceo, e così via)
Per stare bene è necessario che tutte le macine stiano funzionando, quantomeno al minimo, che abbiamo di che macinare, e basta che una sola di esse macini a vuoto perché si stia male e si fissi il soffitto invece che dormire e ci si tormenti e si digrignino i denti fino a spezzarli.
Ora, il mio problema: in un angolo della mia mente, coperta quanto basta, sta una macina che non trova di che occuparsi, e che consuma la propria pietra anche nei giorni in cui tutte le altre sono a pieno regime. È piccola, ma lavora senza sosta, e i risultati si sentono e si vedono.
Due sono le maniere che ho trovato per rallentarne almeno parzialmente e per un certo tempo l’erosione, nessuna delle quali è praticabile o auspicabile: o un gravissimo dispiacere, o un carico di lavoro così sproporzionato da ottundermi completamente, almeno nel momento in cui tento di espletarlo. A queste condizioni, e solo a queste condizioni, nessuna parte di me rema contro.
Si accettano suggerimenti, soluzioni, strategie, eventualmente biscotti.
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