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Francesco loda l’impegno del Paese per i profughi e ne sottolinea la vocazione di ponte tra continenti e popoli
dal nostro inviato
Gaetano Vallini
Per quanto tempo il Medio oriente dovrà ancora soffrire per mancanza di pace? Dall’Ak Saray, il nuovissimo e imponente palazzo presidenziale di Ankara, i tuoni di guerra certo non si sentono, ma i confini di Siria e Iraq non sono poi così lontani. Papa Francesco non si è lasciato sfuggire l’occasione, e così venerdì, appena giunto nella capitale, tappa iniziale del viaggio in Turchia, ha subito puntato l’attenzione sulla martoriata regione, da troppo tempo devastata da guerre che sembrano autoalimentarsi in una spirale infinita. Nel primo discorso ufficiale in terra turca, il Pontefice ha ribadito che non ci si può rassegnare alla continuazione dei conflitti come se non fosse possibile un cambiamento in meglio della situazione. E ha lanciato un nuovo, accorato appello a intraprendere con coraggio iniziative che portino alla pace.
Rispondendo all’invito rivoltogli da Bartolomeo il 19 marzo 2013, Francesco è giunto in Turchia soprattutto per rafforzare il profondo legame che unisce le sedi di Roma e di Costantinopoli. Ma se il respiro ecumenico costituirà il cuore della visita, con l’appuntamento al Fanar nella festa patronale di Sant’Andrea, il Pontefice non poteva non tener conto della situazione dell’area e delle peculiarità della nazione che lo ospita. Il viaggio appena cominciato si svolge infatti in un Paese laico, a stragrande maggioranza musulmana, che è un ponte tra l’Europa — a cui la Turchia guarda da tempo con l’auspicio di potervi entrare come membro dell’Ue — e il Medio oriente da sempre instabile, ora alle prese anche con la sanguinaria avanzata del cosiddetto Stato islamico. Che perseguita, costringendole alla fuga, intere popolazioni; e tra queste diverse comunità cristiane.
La prima giornata del Pontefice in terra turca, dedicata agli impegni istituzionali, è iniziata dallo scalo internazionale Esenboğa di Ankara, dove l’aereo papale è atterrato alle 12.43 (le 11.43 in Italia), dopo un volo di circa tre ore, durante il quale ha rivolto un breve saluto ai giornalisti: «Vi do il benvenuto — ha detto — e vi ringrazio per la vostra compagnia in questo viaggio, perché il vostro lavoro è un sostegno, un aiuto e anche un servizio al mondo per far conoscere questa attività religiosa e umanitaria». Un’attività della quale, ha ricordato, «la Turchia in questo momento è testimone» essendo un Paese «che dà aiuto ai rifugiati delle zone in conflitto». Nel presentare i giornalisti a bordo dell’aereo, il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ha ricordato il sessantaduesimo compleanno di Jean-Louis de la Vaissière, della France Presse. E il Papa è stato il primo ad applaudire facendo gli auguri al festeggiato.
All’arrivo, il nunzio apostolico in Turchia, arcivescovo Antonio Lucibello, accompagnato dal capo del protocollo, è salito a bordo per accogliere Francesco che, una volta sceso dall’aereo, è stato salutato dal ministro degli Esteri, dal governatore della regione, dal comandante militare, dal sindaco della capitale. È stata una cerimonia semplice, con un picchetto d’onore schierato ai piedi della scaletta del velivolo.
Dopo un percorso di quarantacinque chilometri in auto, il Pontefice è giunto al Mausoleo di Mustafa Kemal Atatürk, padre della Turchia moderna, rendendo così omaggio a tutta la popolazione e alla stessa identità nazionale. Accolto nel piazzale del complesso monumentale dal comandante del corpo di guardia, attraverso la scalinata d’onore è entrato nel mausoleo, dove ha deposto una corona di fiori bianchi e rossi in prossimità della tomba dello statista, sostando per qualche istante in silenzio. Accompagnato quindi alla vicina sala Tower National Pact del museo, come avevano fatto Giovanni Paolo ii il 28 settembre 1979 e Benedetto xvi il 28 novembre 2006, ha firmato il libro d’oro, scrivendo una frase in ricordo della visita: «Formulo i voti più sinceri perché la Turchia, ponte naturale tra due Continenti, sia non soltanto un crocevia di cammini, ma anche un luogo di incontro, di dialogo e di convivenza serena tra gli uomini e donne di buona volontà di ogni cultura, etnia e religione».
Subito dopo, sempre in auto, scortato da un reggimento a cavallo, il Papa si è trasferito al palazzo presidenziale. Ad accoglierlo all’ingresso, il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdoğan. Ascoltati gli inni, il Pontefice ha rivolto, in lingua turca, il tradizionale saluto «salve, soldati!» al picchetto d’onore schierato. E dopo la presentazione delle rispettive delegazioni, il capo dello Stato lo ha accompagnato all’interno del palazzo, dove si è svolto il colloquio privato, seguito dallo scambio dei doni. Francesco ha offerto un’opera raffigurante una veduta di Castel Sant’Angelo — tratta da un dipinto a olio del pittore romano contemporaneo Antonello Riommi — realizzata dallo Studio del mosaico vaticano. Quindi, dopo il colloquio con il primo ministro, Ahmet Davutoğlu, si è svolto l’incontro con le autorità, durante il quale il presidente e il Pontefice hanno tenuto i discorsi ufficiali.
Francesco, parlando in italiano, ha sottolineato innanzitutto come il viaggio gli offra l’opportunità di proseguire un dialogo di amicizia, di stima e di rispetto nel solco tracciato dai suoi predecessori, Paolo vi, Giovanni Paolo ii e Benedetto xvi, che qui giunsero da vescovi di Roma, senza dimenticare l’opera preparatoria compiuta dal delegato apostolico Angelo Roncalli. E ha riconosciuto la vitalità della Turchia e il suo ruolo nella comunità internazionale, ricordando che, per la sua collocazione geografica e per la sua importanza nella regione, essa ha una grande responsabilità: le sue scelte e il suo esempio hanno una valenza particolare nel contribuire a favorire un incontro di civiltà. Il Pontefice ha ribadito quanto sia fondamentale che musulmani, ebrei e cristiani possano godere degli stessi diritti, rispettando i medesimi doveri, perché le libertà religiosa e di espressione garantite a tutti non potranno che stimolare l’amicizia.
Riferendosi poi alla situazione del Medio oriente, ancora una volta il Pontefice ha sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso e interculturale per contrastare ogni forma di fondamentalismo e di terrorismo. Ai quali, ha aggiunto, occorre contrapporre la solidarietà di tutti i credenti, in un processo di pacificazione che, perseguendo il diritto e la giustizia, porti al ripudio della guerra e della violenza.
Da ultimo ha dato atto alla Turchia della generosità con la quale ha accolto una grande quantità di profughi provenienti da Siria e Iraq, sottolineando che la comunità internazionale ha l’obbligo morale di aiutare il Paese in questo impegno. Così come ha ribadito anche la liceità di fermare l’aggressore ingiusto nel rispetto del diritto internazionale, ma riaffermando che ciò non può avvenire con il solo uso delle armi.
Nel pomeriggio è in programma l’ultimo appuntamento della giornata: la visita alla Diyanet, la Presidenza per gli Affari religiosi, con la presenza di alcuni membri della comunità musulmana. E già da questo incontro — ma soprattutto nei successivi due giorni a Istanbul — il viaggio comincerà ad assumere un carattere più decisamente interreligioso ed ecumenico. Sabato mattina infatti sono previste le visite al museo di Santa Sofia e alla moschea Sultan Ahmet, la “moschea blu”, quindi la prima tappa al Fanar per una preghiera con il patriarca Bartolomeo, cui farà seguito la mattina di domenica, festa di Sant’Andrea, sempre nella chiesa di San Giorgio, la partecipazione alla divina liturgia, con la benedizione ecumenica e la firma della dichiarazione congiunta. Come ha ribadito Bartolomeo qualche giorno fa, essa «costituirà una tappa importante nelle relazione tra le due Chiese». Ne è convinto anche Francesco, che fin dall’inizio del pontificato ha posto tra le priorità il dialogo con Costantinopoli e con le altre confessioni cristiane, nell’intento di intraprendere ogni iniziativa che possa favorire il cammino verso l’unità.
Ma non sarà dimenticato il “piccolo gregge”. Sabato mattina, nella sede della rappresentanza pontificia di Istanbul, il Papa incontrerà una rappresentanza delle comunità cattoliche latina, armena, sira e caldea, e nel pomeriggio celebrerà nella cattedrale dello Spirito Santo la messa con vescovi, sacerdoti, religiosi e numerosi fedeli. Una Chiesa piccola quella in Turchia — cinquantatremila cattolici su 76 milioni di abitanti (lo 0,07 per cento), per sette circoscrizioni ecclesiastiche e cinquantaquattro parrocchie — ma dalle origini antichissime.
La celebrazione e l’incontro dureranno in tutto un paio di ore, ma costituiranno un momento di grazia atteso «con cuore gioioso e riconoscente», come si legge nel messaggio diffuso dal vicariato apostolico di Istanbul in occasione del viaggio: un’iniezione di coraggio ed entusiasmo per una presenza che, nonostante i numeri, aspira a essere testimonianza di speranza per i credenti e per tutti gli uomini di buona volontà.
L'Osservatore Romano, 29 novembre 2014
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