Magazine Cultura
Dave ZeltsermanLa trilogia nera
Time Crime - Pagine 832 - 12 euro
in libreria dal 21 giugno 2012
Una trilogia di hardboiled brutali e irriverenti per tre scalcagnati, indimenticabili antieroi: Zeltserman si è guadagnato, di diritto, un posto d’onore nel sanguinoso Pantheon del crime.Contea di Bradley, Vermont. L’ex poliziotto Joe Denton ha appena finito di scontare sette anni per il tentato omicidio del procuratore distrettuale. Si illude di aver chiuso con il passato, con la violenza, la droga e le scommesse: ma un crimine di quel genere è impossibile da dimenticare. Kyle Nevin è invece un “bravo ragazzo”, gestisce gli affari nei quartieri a sud di Boston. Ammazza solo se costretto, non pesta i piedi a nessuno: eppure Red Mahoney, il suo boss, lo vende all’FBI. Quando Nevin esce di galera ha quindi una sola cosa in mente: fare a pezzi Red. Per racimolare qualche dollaro organizza un rapimento, ma niente va come dovrebbe… Nè la fortuna sorride a Leonard March, sgherro “storico” del mafioso Sal Lombard. Quando dopo quattordici anni le porte del carcere gli si aprono davanti, per mettere insieme due pasti caldi al giorno si ritrova a pulire gabinetti. Non sarebbe poi così male, per uno che ha sessantadue anni e ventotto omicidi sulla coscienza: ma si ci si può reinventare una vita “normale” quando là fuori tutti vogliono la tua testa? Dave Zeltserman è nato a Boston nel 1959. Laureato in matematica, ha lavorato per venticinque anni nello sviluppo di software per grandi aziende di comunicazione. Nel 2004, in seguito alla pubblicazione del suo primo romanzo, Fast Lane, ha deciso di dedicarsi alla crime fiction e alla pratica del kung fu. Per Fanucci Editore ha pubblicato Piccoli crimini (2010), con cui si apre la pluripremiata trilogia del “bastardo uscito di prigione” di cui La vera storia di Kyle Nevin costituisce il secondo volume e Killer il terzo.__________________________________
Penny HancockLa casa sul fiumeTime Crime - Pag. 368 - 10 €
in libreria dal 21 giugno 2012
Esordio noir teso e denso, forte di una bellissima contestualizzazione in cui l’acqua, il fiume, le correnti sono così presenti da condividere con Sonia a Jez il ruolo di protagonista. La storia, narrata in prima persona da Sonia, la protagonista, fa sì che il lettore viva dall’interno i dissidi, le contraddizioni, i sogni, i ricordi di questa donna che, nella sua follia, è così disperatamente “normale”, così simile alla moltitudine di mogli e madri sospese tra la quotidianità di un’esistenza apparentemente senza scossoni e gli urti di una frustrazione sempre latente che qui, d’un tratto, diventa tanto urgente da cancellare ogni cosa, famiglia, affetti, equilibrio mentale. Di più: il contesto più ampio che ruota intorno alla protagonista è una camera d’echi di tutto quello che sostanzia, da sempre, il dolore “clandestino” delle donne: un dolore fatto di tutto e niente, di vite spese in riti sempre uguali, di incomunicabilità mai risolte affogate in piccole e grandi sbornie solitarie, di figli e mariti e amici sempre presenti e mai realmente conosciuti.
Greenwich, Londra. In un freddo pomeriggio di febbraio Sonia, 43 anni, apre la porta di casa (una vecchia, splendida magione che si affaccia sul Tamigi e che lei ama definire, da sempre, “the River House”) e lasciando entrare Jez, 15 anni, amico del figlio e nipote di una sua cara amica. Il ragazzo viene per un motivo qualsiasi (vorrebbe vedere un raro disco di vinile del marito di Sonia, Greg, che al momento non è in casa), ha intenzione di restare in casa una mezzora o poco più. Non ne uscirà più. Con una progressione geometrica, un passo dopo l’altro, senza che ci sia nulla di prestabilito, Sonia inizia a far sì che il momento in cui il ragazzo lascerà the River House venga via via rimandato: inizialmente è una piccola sbornia innocente che si prendono insieme, poi diverrà una pratica quotidiana fatta di sonniferi sciolti nelle bevande, di una lunga reclusione nel garage (evidentemente, semi abbandonato) nel cortile antistante, di legacci che tengono Jez stretto alla spalliera del letto. Il ragazzo non sa cosa pensare: Sonia nutre per lui un’attrazione fisica che è ha una forte componente materna; sostiene di volerlo proteggere, lo coccola, lo nutre con delizie sempre nuove, continua ad affermare che presto lo lascerà andare, che il tutto è una specie di gioco a termine. Il ragazzo non ha tuttavia alcuna voglia di partecipare: ma non ha scelta, Sonia ha fatto sparire il suo cellulare, lui non ha modo di contattare nessuno, quando il marito e il figlio della donna sono in casa si ritrova recluso nel freddo e nel buio del garage. Si ammala, rischia di morire; poi, grazie alle amorevoli (ma ossessive, asfissianti) cure della protagonista, il suo stato di salute migliorerà. Nel frattempo, le indagini sulla scomparsa del ragazza si serrano in cerchio intorno alla River House: ma sarà Helen, la zia di Jez, la sola a pagare per una verità che la donna non ha ancora messo a fuoco. Un giorno va a trovare Sonia e trova una t-shirt del ragazzo, realizza cosa sta accadendo, e paga con la vita. Sonia uccide Helen, e ne fa scomparire il corpo tra le gelide correnti del fiume (un fiume che conosce bene, che è stato il leitmotiv della sua infanzia lì, in quella casa che si affaccia sull’argine); ma le indagini continuano, il cerchio si fa ancora più serrato.Il finale è sorprendente: tutto lascerebbe pensare che il ragazzo morirà o verrà liberato in tempo, tertium non datur: e invece Sonia lo lascerà andare (dopo averne preso un calco in gesso, così da serbarne, tangibilmente, la memoria), e si consegnerà poi al suo destino, le accuse, l’arresto, la detenzione in un istituto psichiatrico.
Penny Hancock, logopedista in una scuola elementare di Londra, vive a Cambridge con il marito e i tre figli. La casa sul fiume, suo romanzo d’esordio, verrà tradotto in dieci paesi; i diritti cinematografici e televisivi sono stati acquisiti dalla Festival Films.
«La sola cosa che conta, la sola cosa che vale la pena raccontare, è l’interiorità dei personaggi, cosa accade sotto la superficie. Scrivere è un’immersione nel profondo: niente di più e niente di meno.» Penny Hancock__________________________________
Pierre BorroméeL’ermellino di porporaTime Crime - Pag. 272 - 10 €
in libreria dal 21 giugno 2012
L’ermellino di porpora, opera prima, è stato coronato dal Prix du Quai des Orfèvres 2012. L’autore scrive sotto pseudonimo, ed è un avvocato di quarant’anni che vive e lavora nella provincia francese. La scrittura misurata e solida, l’accurato ritratto di una provincia che amplifica e inasprisce inimicizie e frustrazioni, la caustica ricostruzione dei rapporti di potere che oppongono autorità giudiziaria e forze dell’ordine e un intrigo che sfida il lettore ad ogni svolta investigativa candidano l’esordio di Pierre Borromée a divenire un classico del noir francese contemporaneo.
Villecomte, Borgogna. Il cadavere di una giovane donna, Juliette Robin, affonda tra le lenzuola insanguinate del proprio letto: il ventre è stato squarciato, decine di colpi di martello le sono stati inflitti sul viso. I sospetti cadono inizialmente sul marito, Pierre Robin, un avvocato piuttosto rinomato nella regione. C’è un elemento inspiegabile che aggrava la posizione dell’uomo: incredibilmente, dopo cinque anni di matrimonio, la vittima era ancora vergine. Polizia e tribunale sono costretti a collaborare, in un ginepraio di scontri e veleni, per tentare di scoprire il colpevole. Il procuratore incarica dell’inchiesta il commissario Baudry, un poliziotto all’antica, ruvido e scaltro, che inizia a indagare nella vita della coppia. Le piste, nel frattempo, si moltiplicano: sette anni prima è stato compiuto un altro terribile omicidio, il cadavere mutilato di una quindicenne è stato ritrovato nei pressi di un paese vicino. I due crimini portano forse la stessa firma, e l’assassino potrebbe colpire di nuovo… Pierre Borroméeè lo pseudonimo di un avvocato quarantenne che vive e lavora nella provincia francese. L’ermellino di porpora, opera prima, è stato coronato dal prestigioso Prix du Quai des Orfèvres 2012, la cui giuria, presieduta da Christian Flaesch, direttore della polizia giudiziaria della prefettura di Parigi, è composta da poliziotti, magistrati e giornalisti.
«Mi hanno chiesto come abbia fatto a descrivere con tale esattezza e realismo l’ambiente giudiziario. Semplice : è un ambiente che conosco dall’interno. Quello che racconto è un mondo con il quale mi confronto e mi scontro ogni giorno.» Pierre Borromée.
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