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Il 25 novembre e il ballo della quadriglia.

Da Suddegenere

Il 25 novembre e il ballo della quadriglia.

foto di Lola

Scritto per scirocconews :

«Certo che il centro-sinistra, come attestazione dell’esistenza di un enorme problema culturale e come segno di riconoscimento dello sforzo di tante di donne per contrastarlo, avrebbe potuto evitare di fare le primarie proprio il 25 di novembre».

«E perché? Che cos’è il 25?».

«Ah» … (pausa) «È la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne».

«Beh, sì … in effetti ho sentito che vicino casa proiettano un film, per l’occasione».

Scambio di battute tra amiche. Non c’è speranza, penso fra me e me. Non m’appassiona questo 25 novembre, sempre più folcloristico ballo di corteo, simile alla quadriglia; tanta facciata dietro alla quale non mi pare ci sia sostanza.

E se finalmente, con un certo ritardo, il Governo italiano ha firmato la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, e c’è chi – in Parlamento – presenta un disegno di legge per contrastare il femminicidio o chi chiede modifiche agli articoli del codice penale per inasprimenti della pena, come se la galera fosse il giusto deterrente; se il termine femminicido è (tristemente) alla ribalta delle cronache nazionali, così tanto da far esporre pubblicamente i misogini sdoganatori (perché non è corretto parlare di violenza di genere, visto che anche le donne sono violente); se – insomma – il mondo politico (e non) pare finalmente accorgersi che, in Italia, si sta consumando una strage di donne – uccise, stuprate e vittime di violenze di vario tipo – mi chiedo se la maggior parte delle reazioni al problema non sia ascrivibile a mere parate mediatiche, dove “femminicidio e violenza domestica” vengono trattate con modalità convegnistiche ed autoreferenziali, e dove non si arriva ad incidere sulla comunità e sul modus operandi delle Istituzioni, ma quasi a strumentalizzare un dramma.

Cosa ce ne facciamo di tutte le convenzioni internazionali (e non) di questo mondo sulla violenza di genere, se – ad esempio – all’Europarlamento, come Commissario alla salute, viene eletto un crociato antiabortista? Non è forse violenza sulle donne quella dei no choise, che apostrofano come assassine le donne che, in accordo con una Legge nazionale, scelgono di abortire? Non è forse violenza sulle donne la circostanza che – di fatto – in Italia, grazie allo stratosferico numero di obiettori assunti negli ospedali pubblici, alle donne è quasi impedita la libera scelta in materia di interruzione di gravidanza?
 E cosa dire della pillola del giorno dopo, che i farmacisti obiettori negano alle donne? Nel frattempo, però, si tagliano i fondi ai centri antiviolenza, chiudono i nidi pubblici a favore di quelli privati, chiudono i servizi mensa e quelli di vigilanza nelle scuole, giusto per dare una mano alle mamme lavoratrici.

La violenza maschile sulle donne sia un fatto sociale e culturale, che trascende la dimensione privata, e che ha radici nella disparità di potere tra i sessi.

Quanto alla Calabria, si può dire senz’altro che la situazione è tutt’altro che rosea.

A parte tutte quelle amministrazioni e Istituzioni locali troppo impegnate ad occultare gli ingenti danni erariali procurati o i brogli elettorali, in generale la valutazione di rilevanza sociale della violenza di genere è bassissima a tutti i livelli.

Fa arrabbiare la noncuranza e l’indifferenza con la quale la società civile rimuove le precise responsabilità e le omissioni di Istituzioni regionali che, dopo aver finalmente ammesso ai finanziamenti una serie di soggetti che operano nel territorio, non erogano i fondi nel nome di un patto di stabilità e di un patto sociale dal quale – con ogni evidenza- le donne, e la loro incolumità psico-fisica, sono tagliate fuori; disgustano le tifoserie da stadio con le quali moltissimi cittadini calabresi apostrofano la suora che ha avuto il coraggio di denunciare un (ex) prete, perché è ovvio (!): non può che mentire; preoccupano i dati sull’utilizzo della ru486 e che rasentano l’embargo; avvilisce che nessuno si prenda la briga di dichiarare apertamente che il lavoro è un sostegno irrinunciabile alla libertà femminile, soprattutto alla libertà di chi, avendo magari figli a carico, deve fuggire lontano dalla propria casa, dalla violenza.

Non basta più tenere alta l’attenzione mediatica sulla violenza di genere, perché le donne continuano ad essere uccise e i numeri di violenza in famiglia non diminuiscono affatto, mentre si continuano a spendere milioni in presunti eventi culturali, dove i soldi non si capisce bene dove vadano a finire.

Oggi a Borgo Panigale verrà intitolato un giardino alle sorelle Mirabal, rivoluzionarie dominicane impegnate nel contrastare il regime del dittatore Trujillo e per le quali è stato scelto proprio il 25 novembre come data per ricordare l’importanza del contrasto alla violenza di genere.  A Milano verrà piantato “Un albero per Lea” nel Parco Sempione, e al Conservatorio G. Verdi la musica sfiderà la ‘ndrangheta, per “Ricostruire armonie distrutte per ridare corpo a Lea”.

Lea Garofalo, uccisa nella notte tra il 24 e il 25 novembre 2009. Come dimenticarla? Ricordiamola, Lea. “Ridiamole corpo”, simbolicamente, anche noi. Magari piantando – anziché alberi – i semi di buone pratiche di cittadinanza, quotidianamente. Ripartendo proprio da quel diritto di cittadinanza al quale ha fatto più volte richiamo, dal valore che la parola testimonianza per Lea ha avuto. Facciamolo per sua figlia Denise, facciamolo per i nostri figli, facciamolo perché possa non accadere mai più niente di simile. Diamo sostanza a quanto diciamo: NON UNA DI PIÙ.


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