Il 42% delle imprese della Gallura non riesce a pagare regolarmente i contributi INPS. Fuga nel sommerso oppure è giunta l’ora di un nuovo modo di fare impresa nel territorio?

Da Deianaste

In base all’analisi contributiva di CNA nazionale e regionale, il 42% del totale delle imprese galluresi, cioè circa 7.800 soggetti su 18.500, non riesce a pagare i contributi INPS. In pratica solo il 58% riesce a far fronte regolarmente agli oneri previdenziali: è la percentuale la più bassa della Sardegna dove la media provinciale è invece del 70%.

Esistono molte ragioni di questo assurdo primato, ne riportiamo alcune per sollecitare un confronto, conoscere le vostre esperienze e opinioni e cercare insieme nuove soluzioni: la Gallura non è/non può essere “figlia di un Dio minore”!

Anzitutto c’è da dire che il mercato è sempre stato influenzato dal lavoro sommerso di chi non ha mai voluto regolarizzarsi, ma c’è anche chi non ha “potuto” farlo: cioè, chi era in regola non sempre è riuscito a consolidare attività e risorse in grado di compensare le turbolenze di mercato rispetto alla crescente pressione contributiva e fiscale. Contemporaneamente, doveva far fronte a balzelli burocratici crescenti, a tempi di pagamento della pubblica amministrazione mai rispettati (come già scritto su questo blog nell’articolo del 25 giugno  ) e a comportamenti delle banche che spesso sembrano restringere invece che aprire, ironia dei termini, l’accesso al credito.

E poi c’è il problema della concorrenza esterna frutto dell’apertura e globalizzazione dei mercati. Ci sono cioè imprese non sarde che praticano prezzi più bassi, talvolta senza preoccuparsi di conseguenze serie quali correttezza professionale, qualità di prestazione, legalità, sicurezza, etc. E’ evidente che anche su questo dobbiamo replicare con nuovi modi di fare impresa ed economia nel territorio, non solo con l’invocazione del rispetto delle regole che pure è essenziale.

In questo scenario così complicato, quel 42% di imprese che oggi non riesce a pagare regolarmente l’INPS può infatti subire per prima la tentazione di “chiudere” l’attività ufficiale e continuare a operare nel sommerso. Serve quindi una risposta nuova e forte: occorre fare insieme un salto culturale, che sostenga e premi chi sceglie di costruire nuove forme di aggregazione e collaborazione per avere imprese sarde più competitive, con meno costi e più guadagni e che sappiano così affrontare su basi nuove la concorrenza esterna, la burocrazia, le banche. Magari cercando anche di soddisfare di più e meglio di altri i propri clienti.

Non è vero che questa strada sia lunga, questa strada è la migliore, perché altri sistemi d’imprese in altre regioni italiane ed europee l’hanno già praticata con successo: da qui si può e si deve ripartire insieme.

La redazione, 15 luglio 2010


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