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Passato con discreto clamore nel nostro paese al 32° Torino Film Festival, The Babadook narra le vicende di Amelia (Essie Davis, molto molto brava), una giovane vedova il cui marito è morto in un incidente mentre la portava in ospedale a partorire il figlio Samuel (Noah Wiseman). Madre e figlio vivono insieme: lei è palesemente depressa a causa della scomparsa del coniuge mentre lui è un bambino decisamente difficile (leggasi strano, spaccamaroni e sovente aggressivo) di sei anni. La vita dei due è tutt'altro che rosea, soprattutto a causa della condotta talvolta schizoide del bambino e del rapporto troppo apprensivo che la madre gli riserva, fatti che li porteranno lentamente ad isolarsi dal resto del mondo per vivere nella gabbia della propria affettività esasperata.
La situazione si complica quando il fanciullo incappa nella libreria di camera propria in un misterioso libro dal titolo MISTER BABADOOK, uno striminzito tomo denso di immagini assai inquietanti e che sembra più una maledizione che una storia adatta ai bambini.
Dal giorno in cui la madre lo legge al proprio piccolo iniziano ad accadere strane cose in casa, e la stessa donna comincia a subire una trasformazione che ha i connotati di qualcosa di ben di più che un banale crollo psicologico.Se la maternità e il film del terrore sono un binomio ormai consolidato - sono decine i titoli costruiti sullo spavento e la figliazione, come ad esempio Rosemary’s baby di Roman Polanski (1968), Baby killer di Larry Cohen (1974), Omen di Richard Donner (1976, da cui l’omonimo remake del 2006 per la regia di John Moore e Grace di Paul Solet (2009) - qui abbiamo un esperimento audace e invero interessante che trascende la semplice avventura horror (anzi, a dirla tutta, sotto quel punto di vista l'attenzione dello spettatore latita sovente) per regalarci una pellicola capace di originali spunti di riflessione sulla difficoltà di diventare madri e sulla rinuncia di una porzione notevole della propria vita (con annesse ambizioni, sogni, affetti e possibilità di carriera) per allevare il sangue del proprio sangue.
Dobbiamo il tutto a Jennifer Kent, ex-attrice che si è fatta le ossa registiche con quel simpaticone di Lars Von Trier sul set di Dogville. Da donna, l'autrice ha evidente dimestichezza con la psiche della protagonista e col suo corpo e non costruisce quindi una storia attenendosi a un ideale manuale Cencelli delle nevrosi (un tot di senso di colpa, un tot di malizia, un tot di irragionevolezza e via così come da insegnamenti dei blockbuster del genere), dedicando invece alla costruzione del personaggio e al suo legame con la prole un carico di sincera e convincente passione.
Tale viscerale trasporto verso l'intero progetto è testimoniato anche dal fatto che la regista ha convinto un discreto numero di persone su Kickstarter a finanziare il film e ha speso i fondi nel modo migliore: circondandosi di collaboratori superlativi. Dalla fotografia espressionista, al suono, all’illustratore Alex Juhasz che ha creato il terrificante libro per bambini “Mister Babadook” su cui si basa la storia, all’incredibile performance della Davis, la Kent ha ostinatamente tirato le redini di un film coerente e conciso, forte di una sceneggiatura a tenuta stagna (scritta da lei e basata sul suo primo cortometraggio Monster) che trasuda amore per il cinema dell'orrore classico (quanto Lon Chaney c'è nella rappresentazione iconica della creatura del male?).The Babadook quindi, a dispetto del titolo e della promozione internazionale, non è un film sul “mostro” eponimo e neppure la rielaborazione di un brutale incubo d’infanzia: il film si apre con una sequenza ben precisa, una scena a rallentatore dell’incidente nel quale ha perso la vita il padre di Samuel, che si rivela essere un sogno ricorrente nelle già tormentate notti di Amelia. Attraverso quella chiave lo spettatore viene iniziato ad un viaggio in un dolore privato profondissimo e letale, un dolore nel quale chiunque potrebbe con facilità riflettere quello della propria anima. Ottimo!
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