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"Il Bacio della Notte" di Sherrilyn Kenyon, cover definitiva e un piccolo assaggio del libro!

Da Selly82 @SellyMoon
Confermata per il 27 ottobre l'uscita del 5° libro della serie paranormal romance adults "Dark Hunters" di Sherrilyn Kenyon. Di seguito la cover definitiva di "Il Bacio della Notte" e un piccolo "assaggio" del libro per voi! Buona lettura!
Thrylos
Atlantide.
Leggendaria. Mistica. Aurea. Misteriosa. Gloriosa e ma-
gica.
Alcuni sostengono non sia mai esistita.
Ma alcuni sostengono anche di essere al sicuro nel mon-
do moderno fatto di tecnologia e armi. Al sicuro da tutti gli
antichi pericoli. E credono perfino che maghi, guerrieri e
draghi siano scomparsi da tempo.
Sono degli stupidi che si aggrappano alla loro scienza e
alla loro logica, convinti che li possano salvare. Non potran-
no mai essere liberi né al sicuro, non finché si rifiuteranno
di vedere ciò che è proprio davanti ai loro occhi.
Poiché tutti i miti e le leggende hanno un fondo di verità,
e alle volte la verità non ci rende liberi. Alle volte ci rende
ancora più schiavi.
Ma venite, o valorosi, e lasciate che vi racconti la storia
del più perfetto paradiso che sia mai esistito. Oltre le miti-
che Colonne d’Ercole, nel grande mar Egeo, c’era una vol-
ta una terra fiera che ospitava un popolo molto più evolu-
to di tutti quelli che l’avevano preceduto e che l’avrebbero
seguito.
Fondata nelle nebbie dei tempi dall’antichissimo dio
Archon, Atlantide prese il nome dalla sorella maggiore del
dio, Atlantia, il cui significato è ‘leggiadra bellezza’. Archon
creò l’isola con l’aiuto dello zio, il dio degli oceani Ydor, e
della sorella Eda, ‘terra’, con lo scopo di donarla a sua moglie
Apollymi, così da popolare quel continente con la loro divi-
na prole, che avrebbe avuto quindi tutto lo spazio necessa-
rio per giocare e crescere.
Apollymi pianse di gioia davanti a quel regalo, tanto che
le sue lacrime inondarono la terra e resero Atlantide una cit-
tà dentro la città. Due isole gemelle circondate da cinque
corsi d’acqua.
Lì avrebbe dato alla luce i suoi figli immortali.
Ma si scoprì presto che la grande Distruttrice Apollymi
era sterile. Su richiesta di Archon, Ydor parlò a Eda e insie-
me crearono la razza degli Atlantidei per popolare quelle
isole e donare nuovamente gioia al cuore di Apollymi.
Funzionò.
Illuminati e giusti in onore della loro dea-regina, gli Atlan-
tidei erano di gran lunga superiori a ogni altra razza uma-
na. Loro soli davano piacere ad Apollymi e riuscivano a far
sorridere la grande Distruttrice.
Pacifici e giusti, come le loro divinità, gli Atlantidei non
conoscevano la guerra. Né la povertà. Usavano i loro poteri
psichici e la loro magia per vivere in armonia con la natura.
Accoglievano tutti gli stranieri che approdavano sulle loro
coste e condividevano con loro i doni della guarigione e del-
la prosperità.
Ma il tempo passava, e altri dèi e altri popoli crebbero fino
a sfidarli. Gli Atlantidei furono così costretti a combattere
per difendere la loro patria.
Per proteggere il loro popolo, gli dèi di Atlantide furono
in costante conflitto con il pantheon greco. Per loro, i greci
erano bambini che litigavano per cose di cui non avrebbero
mai capito il significato. Gli Atlantidei cercarono di compor-
tarsi con loro come un genitore con un bambino che fa i
capricci. Con equità. Con pazienza.
I greci non vollero però ascoltare la loro antica saggezza.
Zeus e Poseidone, in particolare, erano gelosi delle ricchez-
ze e della serenità degli Atlantidei.
Ma fu Apollo a bramare l’isola più degli altri.
Dio spietato e astuto, Apollo mise in pratica un piano per
strappare Atlantide ai vecchi dèi. A differenza del padre e
dello zio, sapeva che i greci non sarebbero mai riusciti a
sconfiggere gli Atlantidei sul campo di battaglia. Era solo
dall’interno che si poteva conquistare quell’antica civiltà così
avanzata.
Così, quando Zeus bandì dalla natia Grecia la sua bellico-
sa razza, gli Apollinei, Apollo riunì i suoi figli e li condusse
attraverso il mare fino alle coste di Atlantide.
Gli Atlantidei parteciparono al dolore di quella divina
razza preveggente che era stata perseguitata dai greci. Con-
sideravano gli Apollinei come cugini e li accolsero a braccia
aperte, a patto che rispettassero le leggi di Atlantide e non
seminassero discordia.
Pubblicamente, gli Apollinei fecero com’era stato loro det-
to. Compivano sacrifici in onore degli dèi di Atlantide pur
senza mai contravvenire all’accordo con il loro padre, Apol-
lo. Ogni anno sceglievano la loro vergine più bella e la man-
davano a Delfi come offerta ad Apollo, per ringraziarlo di
aver dato loro una nuova casa su cui avrebbero un giorno
regnato come dèi.
Nell’anno 10500 a.C. fu mandata a Delfi la bellissima
nobildonna Clieto. Apollo se ne innamorò all’istante e gene-
rò con lei cinque coppie di gemelli.
Fu grazie alla sua amante e ai suoi figli che Apollo presa-
gì il proprio destino. Sarebbero stati loro a condurlo final-
mente sul trono di Atlantide.
Rimandò la sua amante e i loro figli ad Atlantide, dove si
sposarono con membri dalla famiglia reale atlantidea. Come
già i figli maggiori di Apollo si erano sposati con nativi di
Atlantide, mescolando le due razze e rendendo più forte la
sua prole, così avrebbero fatto loro. Lui solo avrebbe man-
tenuto pura la discendenza reale per assicurarsi la forza e la
fedeltà della corona di Atlantide.
Aveva dei progetti, per Atlantide e per i suoi figli. Grazie
a loro, Apollo sarebbe arrivato a regnare sulla terra intera,
deponendo suo padre come suo padre aveva deposto il vec-
chio dio Crono prima di lui.
Si narra che Apollo in persona visitasse la regina di ogni
generazione per concepire con lei l’erede maschio al trono
di Atlantide.
Ogni volta che veniva dato alla luce un primogenito,
Apollo andava dai suoi oracoli per sapere se sarebbe stato
quel bambino a deporre gli dèi di Atlantide.
Ogni anno riceveva un no come risposta.
Fino al 9548 a.C.
Come sua abitudine, Apollo visitò la regina di Atlantide,
il cui re era morto più di un anno prima. Si manifestò a lei
come fantasma e la fecondò mentre lei sognava il marito
scomparso.
Fu sempre in quell’anno che gli dèi di Atlantide scopriro-
no il proprio destino, poiché la regina degli dèi di Atlantide,
Apollymi, concepì il figlio di Archon.
Dopo tutti i secoli passati a tormentarsi nel tentativo di
dare alla luce un figlio, la Distruttrice vedeva finalmente il
proprio desiderio esaudirsi. Si narra che l’isola di Atlantide
quel giorno fiorì, e conobbe ancor più prosperità che in pas-
sato. La dea-regina celebrò gioiosamente riferendo la noti-
zia agli altri dèi.
Appena le Parche, dee del Fato, ne udirono l’annuncio,
guardarono Apollymi e Archon e dichiararono che quel
figlio non ancora nato sarebbe stato responsabile della mor-
te di tutti loro.
Una a una, le tre Parche declamarono un verso della pro-
fezia.
«Il mondo così come lo conosciamo finirà.»
«Tutti i nostri destini saranno nelle sue mani.»
«Come dio, ogni suo capriccio regnerà supremo.»
Terrorizzato dall’oracolo, Archon ordinò alla moglie di
uccidere il loro figlio non ancora nato.
Apollymi si rifiutò. Aveva atteso troppo a lungo un figlio
proprio, per vederlo inutilmente ucciso a causa delle paro-
le di quelle tre Parche gelose. Con l’aiuto della sorella, die-
de alla luce suo figlio prematuramente e lo nascose nel
mondo mortale. Ad Archon, diede un bambino scolpito nel-
la pietra.
«Ne ho abbastanza della tua infedeltà e delle tue bugie,
Archon. Da questo momento in avanti, il mio cuore sarà di
pietra, per te. E un bambino di pietra sarà tutto ciò che avrai
da me.»
Infuriato, Archon la imprigionò a Kalosis, un regno nasco-
sto che si trova tra questo mondo e il loro. «Rimarrai qui fin-
ché tuo figlio non sarà morto.»
E così, gli dèi di Atlantide si rivolsero alla sorella di Apol-
lymi fino a estorcerle una confessione.
«Nascerà quando la luna oscurerà il sole e Atlantide sarà
avvolta dalla totale oscurità. La regina sua madre piangerà
di paura, al momento della sua nascita.»
Gli dèi si recarono dalla regina di Atlantide, il cui parto
era imminente. Come predetto, la luna eclissò il sole mentre
lei partoriva nel dolore, e quando il bambino nacque Archon
pretese che fosse ucciso.
La regina pianse e supplicò Apollo di aiutarla. Di certo il
suo amante non avrebbe permesso agli dèi più anziani di
uccidere suo figlio.
Ma Apollo la ignorò, e lei dovette assistere impotente
all’uccisione del neonato.
Ciò che la regina non sapeva era che Apollo era già a
conoscenza di ciò che stava per succedere, e che non era suo
figlio quello che lei aveva portato in grembo, bensì un altro
bambino con cui lui l’aveva sostituito per salvare il proprio.
Con l’aiuto della sorella Artemide, Apollo aveva portato
suo figlio a Delfi, dove il bimbo sarebbe stato allevato dalle
sue sacerdotesse.
Gli anni passarono e Apollo non tornò dalla regina di
Atlantide per generare un altro erede, così l’odio che lei
nutriva nei suoi confronti crebbe. Arrivò a disprezzare quel
dio greco che non si preoccupava di darle un altro figlio con
cui colmare il vuoto lasciato da quello che aveva perso.
Ventun anni dopo aver assistito al sacrificio del suo uni-
co figlio, la regina scoprì l’esistenza di un altro figlio il cui
padre era il dio greco Apollo.
Era nato da una principessa greca offerta al dio nella spe-
ranza di ricevere la sua benedizione nella guerra con gli
Atlantidei.
Appena la notizia ebbe raggiunto la regina, l’amarezza di
quella crebbe a tal punto da travolgerla.
Convocò le sue sacerdotesse per chiedere loro dove si tro-
vasse l’erede al suo regno.
«L’erede al trono di Atlantide risiede nella casa di Aricle.»
La stessa casa in cui era nato l’ultimo figlio di Apollo.
La regina gridò indignata, intuendo che Apollo aveva tra-
dito i suoi stessi figli. Li aveva ignorati mentre creava una
nuova razza per rimpiazzarli.
La regina convocò le sue guardie personali e le mandò in
Grecia perché l’amante di Apollo e il loro figlio fossero ucci-
si. Non avrebbe permesso a nessuno di sedersi sul suo ama-
to trono.
«Fateli a pezzi, così che i greci credano che sia stato un
animale selvaggio. Non voglio assolutamente che guardino
alle nostre coste, per tutto questo.»
Ma come sempre accade con gli atti di vendetta, anche
questo fu scoperto.
Affranto, Apollo maledì seduta stante quella che una vol-
ta era stata la sua razza favorita. «Che la peste affligga tutti
coloro che nascono Apollinei. Che possiate raccogliere tutto
ciò che avete seminato in questo giorno. Che nessuno di voi
viva oltre l’età della mia amata Ryssa. Morirete tutti tra atro-
ci sofferenze nel giorno del vostro ventisettesimo complean-
no. E poiché vi siete comportati da animali, tali diventerete.
Che possiate trovare nutrimento solo nel sangue della vostra
stessa razza, e che mai più possiate camminare nel mio rea-
me, dove io possa vedervi e mi sia così ricordato ciò che ave-
te fatto per tradirmi.»
Solo dopo che la maledizione fu pronunciata Apollo si
ricordò di suo figlio a Delfi. Un figlio che aveva stupidamen-
te dannato insieme a tutti gli altri.
Poiché una volta pronunciata, una maledizione non si
può cancellare.
Ma più di ogni altra cosa, aveva gettato il seme della sua
stessa distruzione. Nel giorno del matrimonio di suo figlio
con la sua più importante sacerdotessa, Apollo gli aveva affi-
dato tutto ciò che nella sua vita aveva valore.
«Nelle tue mani hai il mio futuro. Il tuo sangue è il mio
ed è attraverso te e i tuoi futuri figli che io vivo.»
Con quel giuramento, e con uno scatto d’ira, Apollo si era
condannato all’estinzione. Poiché una volta che fosse morta
la progenie di suo figlio, così sarebbe toccato ad Apollo e al
Sole stesso.
Poiché Apollo non è un semplice dio. Lui è l’essenza del
Sole, e nelle sue mani è la bilancia dell’universo.
Il giorno che Apollo morirà, così morirà la terra e tutto ciò
che vi dimora.
Ora l’anno è il 2003, ed è rimasto un solo discendente di
Apollo a tramandare il sangue dell’antico dio...
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