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Il bail in arriva davvero: ecco cosa serve sapere per investire in sicurezza

Creato il 17 dicembre 2015 da Capiredavverolacrisi @Capiredavvero

Da gennaio 2016 entrerà in vigore il cosiddetto “bail in”: la possibilità per azionisti e correntisti di essere chiamati a concorrere al salvataggio della propria banca in caso di rischio di fallimento. Ma di cosa si tratta davvero? È la panacea per ogni male, come vogliono farci credere?

“A seguito della crisi finanziaria, quando i governi hanno iniettato centinaia di miliardi nei bilanci delle banche, molti detentori di titoli non hanno dovuto tirare fuori un quattrino – anche quelli che detenevano debito subordinato, che almeno in teoria è destinato a supportare le perdite in tempi di stress.

Tutto questo si è tradotto in un’ansia, particolarmente a Bruxelles, di costringere gli obbligazionisti – che dopotutto avevano fornito il denaro che era stato concesso a prestito dalle banche in modo imprudente – a sopportare anch’essi, in futuro, il peso del salvataggio (“bail in”) delle banche prima che siano chiamati a farlo i contribuenti (“bail out”). E questo obbligandoli a perdere almeno in parte il proprio investimento.”

Così il Financial Times definisce il bail in, ossia il salvataggio di un sistema bancario (ma anche di un Paese) “dall’interno”, in contrapposizione al “bailout” che rappresenta il medesimo processo ma svolto da agenti esterni, come è accaduto con il salvataggio Ue del sistema bancario greco. Si tratta di una questione delicata e quantomai controversa, da mesi sulle prime pagine dei quotidiani finanziari di mezza Europa.

Dal primo gennaio 2016, infatti, le regole europee in materia di salvataggio bancario cambieranno radicalmente. Qualora un istituto di credito dovesse avere i conti in disordine, i primi a venire chiamati a soccorrerlo saranno gli azionisti; quindi ai detentori di obbligazioni subordinate; quindi, in terza istanza, ai correntisti   – ma solo a coloro che sul conto posseggono più di centomila euro.

La misura è stata varata da un decreto legislativo che a sua volta recepisce una direttiva europea, ma non ha mancato di suscitare polemiche e caveat, soprattutto da parte di associazioni come la Consob che hanno chiesto chiarezza nell’informare gli investitori delle novità e dei rischi che vi sono, potenzialmente, connessi.

“Tanto la clientela professionale che quella retail” dovranno essere informate degli effetti di quella che è, di fatto, una straordinaria limitazione alle capacità di intervento pubblico in materia di salvataggi bancari.

Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha spiegato a maggio che “le banche dovranno adottare con la clientela un approccio coerente con le nuove regole, che non consentono il salvataggio di una banca senza un sacrificio significativo da parte dei creditori.”

A tutelare i correntisti dal prelievo forzoso concorre infatti il Fondo Interbancario di Garanzia, almeno sotto il tetto dei centomila euro. Quindi, dopo che azionisti e creditori avranno pagato l’8% delle passività totali della banca, nel caso in cui l’istituto di credito rischi ancora in fallimento, potrà intervenire lo Stato. Chi invece rischia di più sono i titolari di prodotti finanziari, che potranno subire un abbattimento di valore fino al 100%.

La misura, in teoria e fatta salva la doverosa necessità di informare adeguatamente la clientela, si muove in direzione di un’implementazione della teoria del libero mercato, che toglie la soluzione dei problemi delle banche dalle mani dello Stato e la affida, almeno in parte, a chi si è rivolto spontaneamente a questa o a quella banca.

Per diversi osservatori, però, si tratta di un’operazione opaca. L’ex dirigente di banca ed autore di “Io so ed ho le prove”, Vincenzo Imperatore ha scritto a chiare lettere che sebbene lo scopo della norma sia quello di tutelare i contribuenti, a rimetterci saranno i titolari di prodotti bancari e i correntisti. “Il bail in è stato deciso senza che i vertici delle banche informassero i cittadini – in tempo, scrive Imperatore – Mentre, negli ultimi due anni, si è continuato a sostenere qualche aumento di capitale fatto sottoscrivere a cittadini ignari di banche italiane che forse saranno le prime a far ricorso al bail in.”

Bisogna peraltro osservare che se con il bail in i detentori di titoli e i correntisti verranno chiamati a partecipare al salvataggio della banca fino all’8% delle passività totali, oltre questa soglia torneranno in campo fondi pubblici. Cioè dei contribuenti. Che, se magari erano correntisti con più di 100.000 euro sul conto, si troveranno a dover pagare due volte per salvare la stessa banca.

In definitiva, del bail in non bisogna avere paura, purché ne sia data corretta comunicazione da parte delle banche. Ma illudersi che vi si nasconda la fine dell’intervento statale nel salvataggio delle banche rischia di rivelarsi una pericolosa utopia.

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