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Il Bakunin di Riccione

Creato il 08 ottobre 2012 da Albertocapece

Il Bakunin di RiccioneAnna Lombroso per il Simplicissimus

Ieri mentre Bersani era occupato a smacchiare “primari” e a ravviare regole per il premierato, Tremonti faceva il Bakunin di Riccione, con “40 proposte molto specifiche”; segnate dalla critica implacabile alla finanza e alla tecnocrazia mondiale ed europea, Monti compreso. E Guido Rossi – non Krugman – sul Sole 24Ore denunciava il disfacimento dei valori fondamentali della civiltà occidentale prendendo spunto dalla dichiarazione del primo ministro greco Antonis Samaras, il quale ha dichiarato nell’intervista del 4 ottobre al quotidiano Handelsblatt che la disoccupazione crescente in Grecia mette in pericolo la tenuta della società, come già successe in Germania alla fine della Repubblica di Weimar, sicché la Grecia rischia il nazismo. È tempo, scrive, di contrastare l’anarco-capitalismo, basato su teorie filosofiche libertarie, inconsciamente avallate dalla maggior parte degli economisti, secondo le quali, come sostiene il loro più autorevole teorico Robert Nozick, non è affatto necessaria l’istituzione di un governo politico. Inoltre ogni tentativo di colmare le diseguaglianze sempre più profonde nella moderna civiltà sarebbe un’ingiustificata estensione dello Stato (e quindi della politica) in violazione dei diritti della persona a fare i propri interessi.

Ambedue sollecitano la politica e le istituzioni a reagire nel nostro Paese, in Europa e nell’intero mondo globalizzato, contro l’egemonia del privato sul pubblico, che con l’alibi di “alimentare la costante vitalità dell’economia capitalistica, hanno stabilito il primato del profitto, promosso la diffusa corruzione delle classi politiche e insidiato le basi stesse della democrazia.
E auspicano un riscatto della buona politica per il recupero della della stabilità sociale, e dei diritti fondamentali dei cittadini umiliati e offesi grazie al ricatto dello stato di eccezione e di paura che hs imposto una inevitabile austerità, “favorevole agli ingiusti poteri e allo sfrenato arricchimento dei pochi che governano attraverso le degenerazioni del capitalismo finanziario”.

Ma Bersani era distratto dalla selezione del personale, Vendola condivide a parole la diagnosi sul processo suicida di avvitamento del capitalismo su se stesso che sta portando con sé alla morte l’economia reale, il lavoro e i diritti. Ma è occupato a intrecciare sodalizi. A Renzi poi si addice la ruota della fortuna che premia chi è già stato toccato dal privilegio.
È ormai definitivamente dimostrato che dal centro sinistra invertebrato e remissivo non possiamo aspettarci nemmeno una Bad Godesberg, nemmeno una annacquatura di riformismo, se appoggia una azione di governo che dice di voler attuare un equilibrato cambiamento incrementando la disuguaglianza, conseguire una armonia sociale, mediante la rottura di tutti i vincoli e i patti di solidarietà, raggiungere insomma la virtù attraverso il vizio. In una parola “buscar l’oriente attraverso l’occidente”. Da pulpiti sorprendenti arrivano prediche ragionevoli e accuse di slealtà, proprio quando si festeggia in Lussemburgo il funerale della sovranità statale e popolare, prima di tutto, rivolte a forze che si esimono anche solo dall’immaginare una non impossibile alternativa, aggrappati a quella che chiamano “democrazia liberale” – altro ossimoro probabilmente – con l’aspirazione a “temperare” il capitalismo, a “aggiustare senza distruggere”.

La disfatta del progressismo – ma forse non era di quello che avevamo bisogno – così come la paralisi delle forze del lavoro discende anche da una chiusura dell’orizzonte nella ragione pubblica, che le quelle stesse forze hanno determinato. La crisi si dispiega dentro una spirale di debito, deflazione, recessione, disoccupazione, povertà, altro debito, come una prigione dalla quale non vogliono evadere perché non prendono nemmeno in considerazione l’ipotesi che i mali del capitalismo possano essere evitati superando il capitalismo.

Aveva torto Montesquieu, che considerava le leggi feudali dell’Europa medievale un accadimento verificatosi una volta sola nel mondo e «che forse non avverrà mai più». Oggi il dominio feroce del mercato sulla vita pubblica e sui diritti e soprattutto la confusione fra la ricchezza e l’autorità ripropongono la brutalità di un sistema di oppressione rigidamente gerarchico, di disuguaglianze bestialmente inique, di prepotenza criminale. Quando Polanyi scrisse La grande trasformazione voleva denunciare il nesso tra liberismo e regressione autoritaria per mettere in guardia la borghesia europea da quella coazione a ripetere per cui lo scatenamento degli spiriti animali devasta in forma seriale le società e l’anarchia del capitale riattiva pulsioni neofeudali.
È successo, sta succedendo, e atterrisce che una tale regressione sia stata possibile grazie alla latitanza di chi avrebbe dovuto rappresentare interi corpi sociali, all’indifferenza di chi ha favorito lo sradicamento del pensiero critico e la sua sostituzione con un «pensiero unico» che lo concepisce come puro adattamento alla necessità. E se perfino Tremonti coglie la logica paradossale di questo processo, che mina la coesione sociale e minaccia la tenuta di questa stessa forma di società, rischiando di rovesciare il trionfo del capitalismo in una sua tragica sconfitta.

Pare che perfino nell’apocalisse finiamo per essere in pessima compagnia.


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