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In un’indagine condotta dalla Dell’Antonio ( Dell’Antonio: “Le problematiche psicologiche dell’adozione nazionale ed internazionale”, Giuffrè, Milano,1986; ) sulle aspettative e le opinioni dei coniugi che chiedevano di adottare, è emerso che il problema più temuto dopo l’adozione è la mancanza di affetto da parte del bambino: un simile timore rivela come l’aspirante genitore adottivo sia ben lungi dal considerare questo ruolo simile a quello del genitore naturale.
La difficoltà a proporsi il ruolo di genitore porta chi desidera un figlio adottivo a cercare di prefigurarsi non solo il rapporto con lui ma anche la sua immagine.
Di norma chi aspetta un figlio tenta di immaginare come sarà: è un’attesa che procura ansia ed ogni futuro genitore fantasticherà sull’aspetto fisico e sul temperamento del figlio che sta arrivando.
Tuttavia mentre si tende ad immaginare caratteristiche, qualità ed attitudini basandosi su tratti che sono familiari, in quanto posseduti da qualche membro della famiglia, per i genitori adottivi questa immagine è più vaga e meno rassicurante. Le domande che ci si pone riguardano cosa il bambino avrà ereditato dai suoi genitori, in quale ambiente è vissuto, che tratti di personalità avrà sviluppato, insomma tutti interrogativi che scatenano timori e preoccupazioni.
Perciò l’immagine del bambino che si va delineando corrisponde assai più alle aspettative del futuro genitore adottivo che alla realtà. Ma, nonostante questo tale immagine è emotivamente più coinvolgente di quella che si viene formando nel genitore naturale in attesa del figlio.
L’immagine assume una importanza determinante nel futuro rapporto che il genitore adottivo avrà con il bambino che gli verrà affidato: bambino vero e bambino immaginato verranno inevitabilmente messi a confronto.
Questo figlio sarà immaginato, allora, con caratteristiche legate ad esigenze personali degli adottanti e a bisogni comuni, anche indotti da stereotipi culturali. Frequente è per esempio il pensarlo come un bambino senza origini, il cosiddetto “trovatello”, di cui non ci si chiede l’origine, come se fosse comparso un giorno dal nulla.
Sono quindi bambini che cominciano a vivere veramente nel momento in cui entrano nel nucleo adottivo, lasciando alle spalle una esperienza che non può, e non deve, essere considerata parte della propria vita. Questo sembra non valere solo per il bambino di pochi mesi ma anche per quello più grande.
In coerenza con tale immagine chi desidera adottare compie spesso una scelta nella rosa dei bambini adottabili, e spesso li accetta solo molto piccoli ( un elemento che incrementa le adozioni internazionali dove ci sono maggiori opportunità di adottare bambini piccoli, alimentando l’enorme giro di denaro attorno alle associazioni che sono impegnate nella gestione delle adozioni all’estero).
E proprio per il suo particolare desiderio di affetto il bambino piccolo è considerato capace di dimenticare coloro da cui non lo ha ricevuto o da cui non lo riceverà più. Quindi al bambino che non riesce ad esprimere con la parola i suoi bisogni non si riconoscono esigenze personali ma solo necessità di cure per il suo sostentamento e la sua educazione. Non si comprende così l’importanza vitale dei suoi primi rapporti con gli adulti, siano essi positivi o negativi, nella sua prima costruzione della propria immagine e dell’immagine degli altri. Non si capisce che non ricordare, cioè non fare più alcun riferimento al proprio passato, significa perdere contatto con una parte di se stessi.
Spesso i genitori adottivi temono che la buona riuscita sociale del bambino adottato sia impedita da comportamenti o tratti caratteriali socialmente poco accettati, che ritengono che il bambino abbia appreso in precedenza. Difficilmente questi comportamenti non graditi vengono considerati nel loro autentico significato, cioè come difese strutturate ed utilizzate in situazioni di frustrazione o di difficoltà nel rapporto interpersonale, in quanto vorrebbe dire attribuire difficoltà di rapporto all’interno del nucleo adottivo e ciò potrebbe rimettere in discussione la loro validità come genitori.
In conclusione possiamo dire che appare piuttosto difficile per i genitori adottivi considerare il bambino abbandonato nella sua realtà e a prendere coscienza dei suoi veri bisogni: soprattutto se le aspettative sono determinanti per la conferma del proprio ruolo e i timori sono intensi, difficilmente chi chiede di adottare un bambino riesce ad affrontare la situazione in un’ottica diversa da quella che egli stesso ha costruito.
Infine c’è da ricordare che questi argomenti sono poco discussi anche tra gli stessi coniugi. Molti arrivano all’adozione senza conoscere i sentimenti e le paure che essa suscita nel partner e senza essere riusciti a comunicare le proprie aspettative ed i propri timori. Questo porta non solo alla costituzione di immagini diverse del bambino in ciascun genitore, ma anche alla elaborazione di aspettative diverse nei suoi confronti.