Ho comprato questo libro un paio di mesi fa, e
contrariamente alle mie abitudini, e alla mia lista infinita, ho deciso di
farlo passare davanti a tutti gli altri, incuriosita anche dalle parole di
Laura del blog La Libridinosa che l’aveva appena letto, e ne aveva l’amaro in bocca. Cosa
ho trovato io, in questo libro? Una storia horror. Di quelle in grado di
tenerti sveglio e terrorizzato anche in pieno giorno. Di farti avere attacchi d’ansia
e ripensamenti quando fai bilanci nella tua vita, o guardi le persone che
vivono con te, nella tua stessa casa, e ti chiedi improvvisamente se le
conosci, se ne vedrai mai il mostro ottuso, se cambieranno mai, se ti
parleranno e ti considereranno sempre senza odio. Nessun vampiro, nessun Freddy
Kruger, nessun Jason da Venerdì 13, nessuna creatura aliena dai mondi paralleli
di Lovecraft. I mostri di questa storia che ho definito impropriamente horror,
sono quelli che dormono nei nostri corpi di esseri umani, di cui dubitiamo
persino l’esistenza, e ci rallegriamo quando non ne vediamo traccia allo
specchio, e tendiamo a considerarli per questo alla stessa stregua dell’Uomo
Nero con cui ci spaventavano da bambini per farci dormire. Spauracchi che non
esistono, non sono reali. E chissà poi cosa ci vuole, per farli uscire, sempre
che esistano...grandi tragedie, grandi lutti. Oppure, come in questo caso, un
evento del tutto umano, normale, quasi banale, ma sempre straordinario ogni
volta che si verifica, a tutte le latitudini del mondo. Carlo e Isabel sono una coppia di giovani
uguali a molte altre, che si dividono tra Padova e Treviso, in una relazione
gioiosa e pacifica, prima di unire le vite in un matrimonio molto desiderato e
visto come il punto di partenza per una vita intera di progetti magnifici.
Carlo è un piccolo imprenditore, con i piedi per terra, con precedenti
esperienze sentimentali poco felici, e molto coinvolto nell’atmosfera di
intimità e di pace in cui Isabel, bella ragazza svizzera dall’atteggiamento
consapevole e spirituale, ha saputo accompagnarlo. Quando lei scopre di essere incinta,
la perfezione di quel mondo a due è consolidata e cristallizzata.
Apparentemente. Una notte, Carlo è convinto di sentire Isabel piangere in
bagno, ma alle sue richieste di spiegazione, la moglie non risponde se non
veloci rassicurazioni. Da quel momento in avanti, il porto intimo della vita di
queste due persone si sbriciola pezzo per pezzo, inesorabilmente. Non c’è verso
di fermare la corsa verso la distruzione finale, nonostante tutti i disperati e tardivi tentativi almeno di deviarla. Non
anticipo nulla degli avvenimenti, che si possono anche intuire piuttosto
facilmente. L’autore ha saputo raccontarli trasformando la morbidezza delle
parole che descrivevano il rapporto prematrimoniale dei due protagonisti, nella
successiva incredulità, durezza, odio, cospirazione, dolore, estraniamento che
man mano hanno fatto irruzione nelle tre vite coinvolte. Attraverso gli occhi
di Carlo, vediamo Isabel trasformarsi in un autentico mostro: non esiste più la
ragazza bella, morbida, innamorata dell’arte, studiosa di spiritualità,
creatrice di oggetti belli per sé e la propria casa. Muore lacerata dagli
artigli del gelido ideale di madre superiore, perfetta accuditrice di un figlio
sano e forte, che la porta a isolarsi cieca nella sua fortezza di
consapevolezza e a considerare gli altri e il mondo oscure minacce mortali da
tenere a bada, a colpi di diete, incensi, meditazioni, rimedi naturali, alimentazione
sana e povera. Spinta dal suo desiderio abnorme di essere una madre totale,
Isabel diventa cieca e sorda. L’unica cosa che concepisce è che lei, e il
marito, devono sforzarsi. Devono dare il massimo, insieme, devono sforzarsi,
sforzarsi, sforzarsi. In alcune pagine che raccontano i primi inizi della
corrosione della natura umana di Isabel, questa è la parola più usata, e
ricorre come un’arma scagliata ad ogni piè sospinto, per soffocare ogni
tentativo di comprensione, e di richiesta. Il marito diventa un problema, un
aguzzino che non la capisce, che non vuole accompagnarla nella sua missione di
proteggere suo figlio dall’inquinamento mortale del mondo, che ha smarrito se
stesso e i ritmi della vita. Il figlio diventa un problema, ha bisogno di
troppe attenzioni, troppe cose per crescere, spinto da una preponderante fame
primordiale. Mentre accusa il mondo di essersi smarrito, Isabel smarrisce se stessa
sempre più, fino a prendere decisioni terribili e disumane per il suo stesso
bambino. In tutto questo, Carlo assiste quasi cieco e paralizzato. Probabilmente
è difficile capire, per un uomo, perché l’istinto di una madre, di solito volto
alla vita, segua la direzione totalmente contraria, pur mantenendo la
convinzione di agire per il bene. Pur sforzandosi
di aiutare sua moglie e suo figlio, Carlo sembra sempre arrivare in ritardo, e
agire sempre troppo lentamente, come se vivesse in un sogno brutto e malsano,
dove i movimenti sono appannati e rallentati. Si rifiuta di credere che l’inferno
faccia parte della sua realtà, e ci vorrà molto tempo perché lo guardi in
faccia, ben oltre il tempo scandito dalle pagine stesse. L’azione definitiva,
per una parte della storia, verrà compiuta da un’altra donna, la madre di
Carlo, che accetta senza vacillamenti di esporsi ad un danno irreversibile per
fermare il cammino impazzito della locomotiva Isabel, senza più controllo.
Come ho detto, questa mi è sembrata una storia horror, una di quelle che mi terrà sveglia, a riflettere. E’ uno dei lati dell’Estate al Femminile, quelli che stanno più volentieri tra le ombre. Non essendo madre, non so capire perché e che cosa, nell’alchimia che trasforma una donna in madre, sia andato storto e si sia pervertito. Posso solo presumere che la terribile “ansia da prestazione” di cui sono generalmente afflitti gli uomini in certi campi delle loro azioni, tenda a colpire in questo modo le donne, soprattutto quelle più esposte e insicure, trasformandole in nutrici cieche e mortali. Mi vengono in mente i centinaia di casi di cronaca, in cui le madri non reggono le pressioni cui loro stesse si sottopongono con crudeltà, e distruggono se stesse e le famiglie che hanno creato. Isabel capisce bene che i ritmi di vita seguiti nell’Occidente non seguono più quelli della vita universale, ma questa sua consapevolezza finisce per alimentare le sue ansie, piuttosto che spronarla a rafforzarsi e a cercare e mantenere un equilibrio spirituale sano. Le viene detto che il suo bambino sarebbe stato una creatura speciale, di qualità superiore, un bambino indaco, e Isabel, nel tentativo di essere all'altezza di questo dono, perde completamente di vista la sua capacità di costruire per proteggere, e si isola, allontanando tutto e tutti. Nel libro, la questione della superiorità del bambino non viene mai affrontata apertamente, né viene smentita, affermando che si tratta di un “normale” essere umano. Tuttavia, non posso fare a meno di domandarmi se, per ogni madre, il proprio bambino non sia in fondo un “indaco”, un essere speciale, a prescindere dal fatto che lo sia sul serio!




