Il bar sotto il mare, di Stefano Benni – Lettura collettiva

Creato il 11 ottobre 2014 da Visionnaire @escrivere
La lettura collettiva di settembre è stata Il bar sotto il mare di Stefano Benni. Un autore e una raccolta che sono stati capaci di dividere gli animi come pochi.
Ma prima di passare ai commenti, vorrei presentarvi un po’ questo libro.Titolo: Il bar sotto il mare
Autore: Stefano Benni
Prezzo: € 8,50
Pagine: 196, brossura
Editore: Feltrinelli (collana Universale economica)

Trama (dal sito del venditore):

Tutto può accadere nel bar sotto il mare. Un bar in cui tutti vorremmo capitare, una notte, per ascoltare i racconti del barista, dell’uomo col cappello, dell’uomo con la gardenia, della sirena, del marinaio, dell’uomo invisibile, della vamp e degli altri misteriosi avventori. Sompazzo, il paese più bugiardo del mondo – Gaspard Ouralphe, il più grande cuoco di Francia – Il verme mangiaparole e l’incredibile storia del capitano Charlemont – La disfida di Salsiccia – Il dittatore pentito – Kraputnyk, il marziano innamorato – Priscilla Mapple e il delitto della II C – Il folletto delle brutte figure, il diavolo geloso e la chitarra magica – La storia di Pronto Soccorso e Beauty Case – Il mistero di Oleron e l’Autogrill della morte – Californian crawl – Il pornosabato del cinema Splendor – I capricci del dio Amikinont’amanonami-kit’ama – Arturo Perplesso Davanti alla Casa Abbandonata sul Mare – Il racconto più breve del mondo, la fatale Nastassia e la grande Traversata dei Vecchietti.


Le trame singole dei vari racconti potete trovarle qua: Link Wikipedia

Commenti dei nostri utenti a fine lettura:

Kapello: L’ho finito. Mi è piaciuto!
Molto vario ma sempre gradevole, leggero e leggermente imbevuto di buona ironia.

Californian Crawl mi è piaciuto molto. È demenziale ma per assurdo è contestualizzato in una situazione in cui potrebbe anche essere realistico. E molto triste.

  • kapello

    Chi sonoScribacchino in erba, sperduto nel cemento di una metropoli carente di clorofilla, ballatore legnoso, ben più di un ramo brullo, ingenuo idealista.

Ottantino: È un libro particolare. Sono convinto abbia una sua chiave di lettura, e se uno non la trova fa fatica a divertirsi. Sto facendo fatica anch’io ma provo a ragionarci un po’ con voi.
Per esempio, io non trovo che tutti i racconti abbiano lo stesso tono.
Anzi, mi sembra quasi che Benni si diverta a provare tutti i generi possibili del racconto, o comunque i diversi modi della scrittura. Il presentare i racconti come se fossero ogni volta di un personaggio diverso forse serve proprio a questo.
Mi ricorda un po’ Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino. Solo che qui c’è quasi una parodia dei generi letterari (parodia non è il termine che vorrei, ma non me ne viene uno migliore). Diciamo che li “bennizza” un po’. E’ come se prendesse un genere, o un modo di scrivere, o magari un autore vero e proprio, e lo riscrivesse bennizzandolo, cioè buttandoci dentro una punta di umorismo (qualche volta amaro) e una buona dose di fantasia che spesso diventa anarchia (per Benni quando si scrive vale tutto, e questo alla lunga può stancare, sono d’accordo).

Ad esempio ho appena riletto Autogrill horror (avevo già letto il libro anni fa e non sto rileggendo tutto, vado un po’ a caso guidato da qualche ricordo) e mi sembra una parodia del pulp, un Tarantino o un Ammaniti scritto da Benni. Non mi è dispiaciuto, tra l’altro.

  • ottantino

Irene Quintavalle: Io non faccio testo, per me Benni è bravo e basta, Elianto è uno dei miei libri preferiti in assoluto, quindi il mio parere può essere un tantinello di parte
Io trovo i racconti tutti diversi tra loro. Mi piacciono anche quelli assurdi che li guardi e dici “mi sta prendendo in giro”. Sono quelli su cui alla prima lettura sorvoli e poi quando ti ricapita il libro in mano in seguito magari ci passi un po’ di tempo sopra.

Quando si ama davvero o Nastassia sono proprio due racconti su cui mi sono soffermata a riflettere un attimo. C’è dell’ironia amara, sono scritti bene, il primo ti lascia anche una specie di lezione morale nemmeno troppo velata. Il secondo sembra uno di quei racconti romantici, tutti pene e dilemmi amorosi, e lo porta avanti a perfezione fino a che non ti spezza il pathos così, a tradimento.

Insomma, più il racconto è breve e più mi viene da vedere come è stato scritto.
Però mi rendo conto che in prima lettura uno vuole sapere come è fatto un libro e cosa dice.
Poi se non un libro non ha detto molto al lettore la seconda lettura se la scorda
È normale, è anche una questione di gusti.

Lascio due parole sul racconto della sirena, Shimizé.
Quando ho letto questo racconto la prima volta non gli ho dato peso. Quando l’ho riletto la seconda… beh, forse nemmeno. Ma quando ho riletto questo libro con attenzione, con lo scopo di capirlo meglio, questo racconto mi è letteralmente sbocciato davanti agli occhi.
“In nessuna lingua è difficile intendersi come nella propria lingua.” recita la citazione iniziale. E cos’è questo racconto se non un racconto sulle parole?

Un esperimento che ci porta all’estremo di quello che è essenziale o meno per capire il significato di una storia.
Quante volte scrivendo introduciamo elementi non importanti?
Cadiamo nell’errore di spiegare troppo?
Ci perdiamo, soprattutto quando abbiamo vincoli di caratteri, dietro giri di parole e approfondimenti?
Nel racconto della sirena non solo non c’è niente di tutto questo, ma non ci sono nemmeno le parole.
Non sappiamo cosa sia una shammizé o una woolanda, né chi sia uno oshammi shammi. Eppure capiamo benissimo la trama. E non solo capiamo come si svolgono i fatti, abbiamo anche una caratterizzazione dei personaggi (vecchio e saggio l’oshammi shammi che sa che l’oogoro non è in grado di distinguere le due cose e lo lascia frugare nella sua wesesheshammi); borioso e arrogante l’oogoro, che alla fine fa anche la figura dello stupido… quindi abbiamo anche una sorta di lezione morale.
Tutto questo in pochissimi caratteri e senza capire le parole chiave.

Un racconto che mi ha lasciata a interrogarmi sull’importanza di ogni singola parola che usiamo quando scriviamo.

In più mi sono soffermata sulla trama, sulla storia. Cosa sono le parole che sono andate perse, a cui si fa un richiamo forte anche nella frase finale “triste come chi ha perso il nome delle cose”.
Se provassimo a ridare il nome perduto alle cose?
Ho cercato informazioni sul significato della parole, se avessero cioè significato in qualche altra lingua. Non ho trovato nulla, ma mi sono imbattuta in questo:

In realtà non credo che l’autore volese che si interpretassero i SUOI pensieri, ma che ciascuno liberasse i propri.
Adesso dico quello che d’impulso mi era venuto in mente :
L’oshammi shammi è un vecchio saggio, e l’oogoro vuole la sua saggezza.
Poichè l’oogoro non sa che cosa sia veramente la saggezza, pensa che la saggezza sia qualcosa che si possa portare via ad un altro.
Quello che trova, e che scambia per saggezza, è solo un libro.

Io dico che ognuno ci vede un po’ quello che ci vuol vedere, personalmente non avevo pensato al libro e alla saggezza, ma comunque ad un binomio bene immateriale/bene materiale. Però è interessante che tutto questo nasca da un racconto così breve e “semplice”

  • Irene Quintavalle

    Chi sonoCi sono persone con un talento portentoso per una singola cosa. Altre che sono molto brave in poche cose. A me è capitato di saper fare un sacco di cose in maniera mediocre… Quindi scrivo, disegno, ricamo, coltivo fiori, riparo cose, cucino, e niente di tutto questo raggiunge un livello accettabile ^^' Sono completamente persa per la serie tv Doctor Who, mi piacciono i giochi da tavolo e di carte, adoro i gatti e le cose vecchie, sogno segretamente di conquistare il mondo.

Willy: Sono entrata nel Bar e quello che mi è piaciuto di più in assoluto è stato non sapere mai con precisione quello che sarebbe accaduto. Amo essere sorpresa, non sapere cosa può succedere a ogni girar di pagina.
Il linguaggio che sfiora l’assurdo, le situazioni portate all’eccesso, i messaggi da trovare tra le righe mi sono piaciuti tanto. Ho sogghignato sul mio divano in più di un’occasione e sono rimasta basita davanti a tante verità trasmesse attraverso un linguaggio ricco e sapientemente giostrato a nostro godimento.

  • willy

    Chi sonoSono una a cui piace scrivere, che discorsi, non sarei qui altrimenti…leggere (e se potessi allungherei le giornate per questo).Mi piace usare la fantasia e ho all'attivo un romanzo, ma sono poco obiettiva con me stessa, quindi sempre in cerca di opinioni, critiche…pensare che dovrei fregarmene, non è forse libero il pensiero?

Luna: Da quello che ho letto finora, Benni riesce a non essere mai banale, cosa non tanto facile al giorno d’oggi. Però non so ancora se alcuni suoi racconti mi piacciono o meno.
Anche a me è sembrato che Benni volesse provare a scrivere storie di genere diverso (dal romance all’horror per passare al weird e altri generi misti), sempre scrivendo un po’ col suo stile scanzonato e ricco di cinismo. Personalmente, però, credo che l’esperimento gli sia riuscito solo in parte perché nella raccolta ci sono tante storie inutili che a mio parere non dicono niente, messe quasi per far numero. Ci sono anche quelle che fanno riflettere, eh. Ma secondo me non tutte le ciambelle gli sono uscite col buco. E molti finali lasciano un po’ a desiderare.

  • Luna

    Chi sonoSono una una persona profondamente lunatica. Un giorno sono la donna più felice del mondo, quello dopo vedo tutto nero. Amo leggere, scrivere e lamentarmi di quello che mi circonda.

Ariendil: Nonostante alcuni degli ultimi racconti provino a dare un colpo di coda, purtroppo la sensazione che mi rimane è quella di non aver letto il bel libro che mi aspettavo. Come dicevo nel corso della lettura, i racconti mi arrivano un po’ tutti uguali e, anche se il genere apparentemente cambia, è sempre una parodia, mantiene sempre le stesse caratteristiche di “troppo assurdo” che mi piacciono solo in piccole quantità. Qualcuno ha detto che generi e racconti vengono “bennizzati”: sono abbastanza d’accordo, e ovviamente capisco che è proprio questo, che a me invece risulta indigesto, a poter piacere ad altri. Dopotutto, a me non sono piaciuti neanche Alice nel paese delle meraviglie e La fabbrica di cioccolato: devo avere qualche problema con le cose troppo fantasiose
Californian crawl l’ho trovato irritante! Banale, superficiale, vuoto. Allo stesso tempo però, mentre alcuni passano e si dimenticano due ore dopo, quello resta impresso. Forse ha un fascino nascosto. Molto ben nascosto ma magari c’è.
In definitiva, per me solo alcuni racconti valgono la pena di essere letti, troppo pochi in un’intera raccolta, e quelli mediocri abbassano di molto la media finale.

  • ariendil

    Chi sonoMi sarebbe piaciuto essere una cantastorie nei tempi in cui le storie si raccontavano in piazza o accanto al focolare. Ma non mi dispiace essere ciò che sono: una ragazza con la passione per la scrittura e la lettura (fantasy e non solo) che per lavoro si occupa di cuori… Alla fine, si tratta sempre di raccontare una storia.

Guero: I racconti ambientati a Sompazzo sono bellissimi, quello di Oleron credo sia uno dei racconti più belli che io abbia mai letto in generale. Un’atmosfera pazzesca.

  • Guero

    Chi sonoGuerino Di Mattia. Ventunenne con la prestanza fisica di un ottuagenario e l'anima di un preadolescente. Mi rifugio nelle vite degli altri (che siano su carta o schermo) perché vivere solo la mia non mi basta.

Jonfen: Il primo racconto mi ha lasciato un po’ indeciso. Scritto bene, non c’è che dire… il valore secondo me sta nell’uso smodato di una fantasia sempre originale. Tutte quelle conseguenze del tempo impazzito sono un’esatta via di mezzo tra le domande infantili e la realtà. L’ho trovata una di quelle letture adatte appunto ai piccini, ma con parecchi spunti di riflessione per adulti. Il finale per me è bellissimo, quando entra in scena Ufizéina, descritto divinamente e viene fuori quell’azione di “vulcanizzare”, tanto tecnica ma che tanto risalta… insomma, bel racconto.

Su Il più grande cuoco di Francia rimangono le impressioni del primo racconto. Una fantasia fuori dal comune, particolari veramente ficcanti ma lo stesso gusto insipido sulla trama. Forse è parte del disegno di tutto il libro, in fondo mi si dice che sono storie da osteria.
Su Il verme disicio ho un’idea. La citazione all’inizio è di Paul Verlaine e ricordo che lui usava anche uno pseudonimo ricavato dall’anagramma del suo nome: Pauvre lelian. Non è che Benni ha fatto un omaggio al poeta fra le righe?

Matu-Maloa: Bello, anche se il finale mi è parso sbrigativo devo dire che l’ambientazione e i rapporti umani sono un’altra bella variante del genere “marinaio”. Bellissima la scena della scelta dell’equipaggio, e molto romantica l’idea della balena che si innamora. Si respira l’aria salmastra di quei viaggi maledetti e nei quali diventavi, volente o nolente, un uomo. A tratti mi ha fatto pensare a “Viaggio al termine della notte” di Céline.

Il dittatore e il bianco visitatore: una parabola? una morale? una storia da bar? La terza, dai!

Achille ed Ettore: le storie di Sompazzo sono carine, ma già a questa mi sono annoiato. Degne di nota sono le similitudini e tutte quelle metafore e descrizione dove viene fuori la zona di provenienza dell’autore… non è di Bologna?

Quando si ama davvero: idea originale, mi è piaciuto immaginarmi un mondo solo dalle risposte del mittente. La cosa che mi ha colpito maggiormente è il modo in cui viene a galla tutta quella serie di giustificazioni per sottolineare la differenza di vita e di ideali tra i due, nel corso degli anni.
Il marziano innamorato: bello, divertente e con una bella morale. L’ho letto con piacere, grazie anche alla leggerezza dello stile. Mi sembra che qui lo stile di Benni venga fuori in maniera più aggraziata che in altri racconti. Lo stile e la sua fantasia colorata.

Nastassia: carino. Mi ha fatto pensare a “un malato di cuore” di De Andrè

Californian Crawl: è il racconto che più si avvicina al reale, e lo fa in una maniera folle, triste, disillusa e apatica… come i protagonisti, gente che ha probabilmente tutto quello che si può possedere ed è andata oltre. La noia e l’indifferenza li hanno devastati, i rapporti umani non contano più niente se non per procurarsi uno stordimento. Bello.

Oleron è forse il racconto più riuscito, almeno per quello che riguarda una visione classica della cosa. C’è tutto: l’incipit, la tensione, il flashback, l’azione, la paura e il sentimento… e anche il ribaltamento finale
Bella prova, mi sembra che Benni dia il meglio negli scritti lunghi. Per ora il racconto che mi è piaciuto di più.

La traversata dei vecchietti: anche qui una bella morale… carino e visionario, come tanti altri di questa raccolta. Ma anche un po’ noioso, appunto.

La storia di Pronto Soccorso e Beauty Case: questo proprio non mi è piaciuto. Troppo lungo e troppo fantasioso, mi ha fatto ridere per due pagine e poi mi ha rotto le scatole. Non sono neanche riuscito a vederci una seconda lettura… insomma, racconto inutile. Forse anche per un bambino.

Shimizè: ???

Priscilla Mapple: altra perla, insieme a Oleron direi che è il racconto più bello, anche se me ne manca ancora qualcuno. Mi è piaciuta tutta la vita di quel piccolo ambiente cittadino e scolastico che è riuscito a mettere nel racconto. La protagonista caratterizzata bene, come anche i compagni e le loro passioni. Bello il dialogo con l’ispettore, insomma, ottimo racconto!

Il destino sull’isola di San Lorenzo non è male, ma inizio a risentire della serie di racconti che si assomigliano troppo, almeno nello stile… in questo stile che a volte sfiora l’assurdo ma cela spesso una morale. Sicuramente alcuni racconti giovano di questo mix, ma questo mi rimane un po’ indifferente.
Un po’ meglio La chitarra magica, col suo finale assurdo ma che mi ha fatto pensare che la realtà è sempre diversa e incredibile, spesso più di ogni aspettativa, nel bene e nel male.

Il folletto delle brutte figure mi è piaciuto, fatto tutto di dialoghi me lo sono proprio bevuto, mi ha divertito e il finale è una bomb, ehm, una tromba

I quattro venti di kulala, bello, come la frase all’inizio: Sonno… spazzino di rancore!
Breve e conciso, ma al tempo stesso visionario e calamitante.

Autogrill Horror: di questo racconto ho apprezzato tutta la verità e la meticolosa descrizione della vita che si cela dietro al sarcasmo che accompagna tutto il brano. E’ una caricatura, ma ci ho ritrovato tutti i chilometri di strada macinati nella Simca dei miei quando si andava in riviera una vita fa. Fin commovente! Ok, il finale assurdo ormai ci ho fatto il callo. I panini lungodegenti… applauso! Come anche la descrizione di quelli che non sanno guidare.

Racconto breve… al bar ci vuole pure quello che si è fermato all’abc dell’umorismo!

Il pornosabato dello Splendor: ecco, qui Benni è riuscito a ottenere un buon equilibrio tra il non-sense, la trama e la Storia, con la esse maiuscola. Bello, mi è piaciuto sotto ogni aspetto. Adults Only e cuperativa, ma quanto ho riso! E anche la risposta del Bigattone a Maciste…

La storia di Arturo… tenera, molto intensa. Anche il finale mi è piaciuto, finalmente un finale a tono con l’argomento. Bello il modo di trattare questo racconto dal punto di vista dei bimbi, molto riuscito.
Il finale chiude il cerchio e fa tornare all’inizio, lasciandoci con la sensazione di essere entrati veramente in una dimensione parallela e assurda, come solo un bar sotto il mare può essere.

Tirando le somme, la raccolta non è affatto male. Da una parte ho trovato tutta questa fantasia e questi elementi assurdi un po’ pesanti. In parecchi racconti ho cozzato contro questa prerogativa dello stile della raccolta (di Benni non ho letto altro, non so se scrive sempre così), dall’altra parte ho invece apprezzato la leggerezza con cui ha affrontato tutta la tavolozza di temi e di storie trattate, sicuramente in tono con il tema dominante della raccolta, con tutta l’architettura che Benni ha voluto dare al libro.
Mi sono piaciuti di più i racconti lunghi, e comunque alla fine sono parecchi i brani che non mi hanno lasciato indifferente, anzi!
E’ stata una bella lettura, partita un po’ debole ma che si è scaldata bene sul finale.

  • jonfen

    Chi sonoScrittore in erba.

Diana-blues: Parto dal prologo, è proprio da questo che si deve cercare la chiave di lettura di questo libro di racconti. Siamo in un bar, d’accordo, è sotto il mare, questo già ci dice che tutto sarà un paradosso, ma leggendo il primo racconto già mi son calata nei panni della barista quale sono. Ed ecco che Benni mi fa un po’ rivivere la situazione classica che si ripete ogni giorno, ogni ora, inesorabile da sempre, quella di discutere del tempo. Entra un tizio, non lo conosci… di che parli per non rimanere in silenzio? Del tempo. Poi entra un altro tizio, magari lo conosci, si aggrega nella conversazione e via a discutere del TEMPO. Non è così paradossale, non sapete, in un anno come questo, quante ca****e sono venute fuori dalla bocca di molti dei miei clienti. Basta stare un giorno dietro al bancone di un bar per sentire parlare di questo argomento un miliardo di volte. Questo è solo il racconto del primo uomo col cappello, ma di questi al mondo ce ne sono una marea e a volte la realtà supera la fantasia. Credo che Benni abbia solo caricaturato la situazione e a me personalmente è piaciuto molto. Il finale può dire tanto e anche niente, ma l’ho apprezzato così com’è. Diciamo che la partenza di questo libro mi sembra ottima, un po’ l’idea classica alla “Decamerone” del Boccaccio, ma simpatica.

Il secondo è un racconto che pur essendo divertente nel suo finale, che vede il cuoco saperne una più del diavolo, mi ha fatto riflettere. Non vedo solo una lettura spassionata e leggera. Qui a mio parere si parla di politica, quando dice “il miglior condimento di un pranzo è la fame degli altri”, e anche di arte, della decadenza di quest’ultima. Il cuoco si lamenta di Versier, colui che baratta la qualità con la quantità. Quante volte anche noi ci lamentiamo oggi della scarsa qualità dei libri pubblicati? Bene, quando il diavolo dice a Ouralphe che l’arte è anche semplicità e lui risponde che la semplicità è l’affettazione del secolo, secondo me Benni vuole denunciare proprio questa povertà, la mancanza di una cultura vera in chiunque si spacci per artista, oggi. Poi forse queste cose le ha fatte pensare solo a me, e in realtà non c’è nulla di recondito, ma la mia fantasia ha galoppato, e se un racconto è riuscito a farmi riflettere, tanto di cappello. Valutazione positiva insomma, promosso a pieni voti direi.

Il verme disiscio è il terzo racconto e davvero ho elucubrato parecchio per capire da dove avesse inventato? questo nome. E non l’ho proprio capito. Ma alla fine poco importa, mi ha divertito, mi ha fatto pensare a tanti, a quelli che scrivono su fb soprattutto, ma anche a me che sono molto termite della punteggiatura. Secondo me la genialata poi è il finale, per capirlo l’ho dovuto ricostruire. Grande, un autore coi fiocchi.

Matu-Maloa Si parla d’amore… fa un po’ la Sirenetta e non mi è particolarmente piaciuto nonostante anche qui ci sia una di quelle genialate alla Benni. Far entrare in scena nel clou del racconto il vecchio con la gardenia è il massimo del surreale, me lo sono immaginato che esce dal bar sotto il mare, tranquillo e beato come è entrato, che calpesta le scene di un racconto non suo. Sulla chiave di lettura ci ho visto una difesa dell’amore, a dispetto di qualsiasi pregiudizio di razza, sesso, estrazione sociale e via dicendo.

Invece è il quinto racconto a lasciarmi a bocca aperta Ma possibile? Parla del Papa? E in quali termini?
“Ogni suorina teneva in braccio un bambino, di cui il Capo degli Uomini Buoni era ghiotto” ‘Mazza, una denuncia tra le righe che… Pedofilia. E il finale poi… non è che snellisca la denuncia. Boh, forse farnetico, ma da buon bolognese credo che Benni apprezzi molto mangiare gli strozzapreti.

Dopo la fucilata del quinto racconto, il sesto è una ventata di aria calda. Achille ed Ettore i due amici che si sfidano a suon di insulti (temo che l’ultimo in dialetto, sia accessibile solo agli Emiliano-Romagnoli), a fiatelle e scorpacciate, è scritto con una tale dose di spirito che nonostante il finale drammatico, mi ha divertito un mondo. Mi ha ricordato le cose di “una volta”, quando ancora nei paesi ci si conosceva tutti, quando la gente ancora non si ammazzava perché il cane del vicino abbaia e non si finiva a pomeriggio cinque o alla vita in diretta a dire che l’assassino era una persona “normale”. Ci si prendeva a male parole, ci si scazzottava per bene e poi si tornava a salutarsi come prima, come se niente fosse successo. In ogni caso, anche in questo racconto c’è una denuncia: il legame degli uomini alle cose materiali. Pare che Benni in ogni racconto abbia voluto inserire una seconda lettura, più profonda, subacquea. Sotto il mare appunto.

Quando si ama davvero. Ecco, qui ho dei problemi di ignoranza storico-politica. Si tratta di capire cosa è successo negli anni tra il 1976, l’epoca della prima lettera, e il 1990. Per come l’ho intesa io, considerando le mie lacune, qui c’è una denuncia alla corruzione. Si noti come il maggiore Z passa nella seconda lettera a essere colonnello e nella terza a generale. Stessa cosa per l’arrampicata sociale di Giampiero. L’unica a rimanere in braghe di tela è la “donna” che non accetta nessun regalo da lui e che alla fine viene pure arrestata. Ora è un mio parere, e forse come al solito mi faccio dei film, ma ho l’impressione che la “donna” rappresenti la persona onesta, incorruttibile, che non accettando bustarelle alla fine viene eliminata dal sistema. Forse c’è un’altra interpretazione per questo racconto, ma io l’ho vista così.

Il marziano innamorato, è stata una piacevole lettura. La fantasia di Benni ogni volta mi stupisce. Mi sono rotolata dalle risate quando parlando di calcio il marziano dice: “qua sono messi anche peggio di noi”, oppure quando descrivendo una città pensa:” forse gli aborigeni del luogo non mangiano i quazz ma sono i quazz che mangiano gli aborigeni”. Il Coco colo, le stoffe preziose e candide con scritto “supermercato Pam e Standa” sono delle trovate geniali che facendo sorridere permettono anche di riflettere sulla sovrabbondanza di rifiuti prodotta dagli uomini. Poi i “fatti” che non si comprano e che appena li si nomina la gente si azzuffa, le auto “strumenti-musicali” che le persone stanchissime si divertono a suonare… insomma, un elenco di pessime abitudini prese da Benni e ridicolizzate. Ecco, sì, mi piace come sia in grado di far sorridere e riflettere allo stesso tempo.

Nastassia: Questo a mio parere è un racconto da leggere con la stessa ironia degli altri; un po’ la parodia-omaggio agli scrittori Russi , pieno di dramma e pathos, esasperato all’ennesima potenza. È per questo che ho trovato il finale divertente. Mi sembrava quasi di sentire Mango cantare “Pura ma tu ci stai… perché tu accetti e ci stai…”

Californian Crawl: Qui siamo all’apice del menefreghismo Americano generato dal benessere. Un’accusa molto ben costruita che forse sì, ne esaspera le conseguenze, ma proprio in questo modo riesce ad arrivare in pieno. A mio parere, è una malattia che si sta espandendo a macchia d’olio e non riguarda più solo L’America. La lettura di questo racconto mi ha rattristato parecchio, ci vedo la noia di più generazioni annichilita da una mancanza totale di valori e questo purtroppo è molto attuale.

Oleron altro bel racconto. Anche qui Benni rende omaggio a scrittori del passato, in questo caso credo a E.A.Poe. Un esperimento riuscitissimo capace di far rizzare i peli. Simpatico il doppio colpo di scena che “Bennizza” la sua interpretazione del genere.

La traversata dei vecchietti è la classica barzelletta sui carabinieri e qui l’autore ci va a nozze. Quello che mi è capitato poi, dopo aver letto questo racconto è un’altra cosa. Ora faccio più attenzione quando li vedo per strada, se non altro per non fare la figura della fessa come quelli dell’arma… hai visto mai che non ci siano in giro Aldo Alberto e Alfredo. Scherzi a parte, un po’ di pazienza in più con gli anziani non ci starebbe male, anche se a vederli attraversare, ti viene il dubbio che lo facciano apposta, andare così lenti.

La storia di Pronto Soccorso e Beauty Case è un gioiellino di freschezza. Due giovani innamorati, lei che quando lecca il gelato fa interrompere la pace dei sensi di tutti i vecchietti, lui che quando ruzzola parte da Forlì e arriva a Bologna. Un amore che si respira in tutto il paese e che, se siamo stati fortunati, abbiamo vissuto anche noi. Belli, spensierati, vivi, innamorati. Joe Blocchetto, l’antagonista, lo conosciamo tutti. Quello che appena ti volti ti ha già messo la multa. A quanto pare Benni non ama molto le forze dell’ordine, dopo i carabinieri del racconto precedente, è passato ai vigili. Strepitosa è la frase finale, alla quale mi inchino per la poesia scanzonata che racchiude. “Lui trucca le auto, lei le pettina” Se non è amore questo…

Shimizé è il racconto che ho compreso di meno, ma mi vien da pensare che se lo avessi capito l’autore non avrebbe raggiunto il suo scopo. Se la chiave di lettura è questa “in nessuna lingua è difficile intendersi come nella propria lingua”, allora ci siamo.

Priscilla Mapple e il delitto della seconda C. Carina l’idea di menzionare, all’interno di un racconto omaggio, il nome dell’autrice alla quale è dedicato: “Anch’io mi porto a scuola Poe e la zia Agatha”. Benni è molto bravo, ed è riuscito a ricreare a modo suo lo stile Christie, dentro un’aula scolastica contemporanea. Mi sono piaciute di più le descrizioni degli alunni tipo le “gemelle secchia” che non il complessivo dipanarsi del mistero, forse perché in generale non sono amante dei gialli. In ogni caso piacevole anche questa lettura.

Il destino sull’isola di S.Lorenzo me lo sono gustato. Il divertimento dell’autore, che si legge tra le righe, fa da catalizzatore alla lettura. L’incipit buttato giù in stile “Genesi”, fa già sorridere, e la divinità indiana dal nome lungo e minaccioso è quel colpo di genio che non si può fare a meno di amare in Benni. Di questo testo ho apprezzato anche il ragionamento o morale di fondo che, in “sintesi povera”, si può racchiudere in questa frase: “Si chiude una porta, si apre un portone”. Il più è vederlo.

Quello che mi diverte in Benni è che parla delle fregature, con quell’irriverenza adatta alle persone che comunque vogliono andare avanti, che lo sanno che tanto la vita è un po’ stronza, e che premia anche i cattivi. È il caso del LA CHITARRA MAGICA, che ha lo stesso difetto di fabbricazione della vita. Certo, una favola del genere raccontata ai bambini non la vedo adatta, meglio non spezzargli le gambine alla nascita, che poi, quelli la capiscono e vengon su tutti delinquenti.

Il folletto delle brutte figure lo prenderei a nolo per tutte quelle situazioni di ipocrisia umana, tanto diffuse quanto stomachevoli. Nella superficialità dell’uomo, verte questo racconto, e ne esprime l’apice del suo significato nel finale, quando il direttore di giornale cambia la prima pagina. E qui Benni, più che grottesco mi è sembrato amaro e realista.

A differenza delle due favole precedenti La chitarra magica e Il folletto delle brutte figure che credo si rifacciano allo stile Grimm, Andersen o comunque alle classiche fiabe europee, questa: I quattro veli di Kulala sembra un racconto tratto da LE MILLE E UNA NOTTE. Si ha quasi la sensazione di stare sospesi per aria sopra un tappeto volante a cantare “il mondo è miooo…”, e di annusare gli odorosi aromi speziati dei mercati. Qui è la saggezza ad avere la meglio sulla forza dell’invidia, che pure è dirompente. Bello, leggero e poetico.

Autogrill horror: Per non farsi mancare niente, il genere horror, è interpretato dalla tipica famiglia italiana che rientra dal mare. E cosa c’è di più orrorifico di questo? Ci sono proprio tutte le classiche scene che si ripetono ogni Domenica da Giugno a Settembre sulle autostrade della riviera Romagnola. (Oggi un po’ meno vista la crisi). Ci sono parti di racconto esilaranti: quella del sorpasso, quella dell’entrata in autogrill “quattro pistoleros in braghe corte con gambe e braccia ustionate in diverse tonalità: fragola il padre, amarena la madre, salmone il figlio, mortadella la figlia”, la discesa ai cessi pubblici “ripiscerebbero potendo” e l’elenco dei beni in vendita “ panini lungodegenti e tramezzini putrefarciti”. Tutto il racconto è gestito magistralmente e il finale un colpo di genio, come al solito direi.

Racconto breve, l’ho iniziato, ma non sono riuscita a finirlo.

Il pornosabato dello Splendor, mi ha ricordato Guareschi. Non so se Benni abbia voluto rendergli omaggio, però, volente o nolente, i posti e il periodo storico narrati sono più o meno gli stessi. Ironico e mai volgare, l’autore in questo caso racconta le sue origini. Divertente l’elenco della programmazione cinematografica, Adults only è una chicca. Esilarante la descrizione pre-spettacolo, con Enea che a sua insaputa aveva appuntamento con tutti. Un crescendo di comicità che sfocia in un epilogo inaspettato. Da leggere, perché descriverlo è impossibile.
Arturo perplesso davanti alla casa abbandonata sul mare. La prima cosa che ho apprezzato nel racconto è la frase che lo precede: “le persone non muoiono, restano incantate”. Ed è con questo incanto che ho letto il resto. I bambini hanno arti magiche che agli adulti sono sconosciute, è questo che alla fine ho pensato.

Finale, il racconto dell’ospite ha la genialata del loop che in un lab ho tentato anche io. Con la differenza che a Benni è riuscita molto meglio.

Considerazioni generali. Apprezzare Benni mi è stato facile, mi ha fatto sorridere, ragionare, e sognare. Cosa si può chiedere di più a un libro? C’è bisogno di un voto? Direi che nel suo genere merita un cinque su cinque.

  • Diana-Blues

    Chi sonoUn'oca giuliva che crede negli asini che volano.

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