Licia Satirico per il Simplicissimus
Delle citazioni di Calvino si abusa, ma c’è un suo pezzo del 1965 che in questi giorni mi torna in mente con insistenza ossessiva: perché non solo la politica, ma la nostra stessa vita passa attraverso il linguaggio. La patologia del linguaggio denota quindi un problema esistenziale molto più grande, non di rado esiziale. L’autore delle Città invisibili scriveva: «avvocati e funzionari, gabinetti ministeriali e consigli di amministrazione, redazioni di giornali e di telegiornali scrivono parlano pensano nell’antilingua. Caratteristica principale dell’antilingua è il terrore semantico, cioè la fuga di fronte a un vocabolo che abbia per se stesso un significato [..]. Nell’antilingua i significati sono costantemente allontanati, relegati in fondo a una prospettiva di vocaboli che di per se stessi non vogliono dire niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente».
Oggi Calvino avrebbe probabilmente aggiunto che l’antilingua include anche espressioni e vocaboli di significato reale esattamente opposto a quello apparente. Dando una rapida scorsa alle autorevoli dichiarazioni di politici e tecnici emerge un’antilingua che stravolge i concetti, tramutandoli nel loro esatto contrario. Quella che segue è una riflessione a ruota libera sui casi di antilingua più urticanti delle ultime settimane:
Flessibilità in uscita: libertà di licenziare secondo le fasi lunari, specie se si avvicinano i presupposti per l’assunzione a tempo indeterminato. Può essere buona, se si è licenziati con un sorriso, o cattiva, se la cosa finisce davanti al giudice. Il concetto di flessibilità è spesso accompagnato da aggettivi che lo rendono accattivante fino a conferirgli leggerezza, vitalità e brio. La rigidità del posto fisso è monotona, familistica, deprimente. Il precario è mobile, qual piuma al vento. E il vento soffia, lo si chiami blizzard o spread.
Paccata: elemosina sociale spacciata – o spaccata, se preferite – per concessione generosa. Un tempo avremmo parlato di spacconata, lemma del quale “paccata” rappresenta forse una crasi.
Contratto alfa: prodromo del contratto omega, con licenziamento finale.
Riforme condivise: ossimoro di portata storica e valenza oscuramente buonista. Si conosce anche la variante golpista delle riforme con divise, collegata a degenerazioni critiche della condivisione.
Sacrificio: termine sfuggente e solenne, il “fare sacro” tende a ricadere su statali e pensionati, su cui grava il compito di farci restare in Europa. Spesso è associato al concetto di equità, principio in nome del quale si legittima ogni tipo di discriminazione sociale.
Valore legale: è una locuzione evocata solo in termini abolizionistici, per trasformare in carta straccia titoli di studio faticosamente conseguiti in università plebee prive di risorse.
Libertà: si tratta di un termine precario in liquidazione, confuso con liberismo e libertinaggi concussori in fase di depenalizzazione. Si associa spesso a Giustizia, in attesa che le riforme condivise ne destrutturino i contenuti come sta accadendo all’articolo 18.
Responsabilità: abolita la variante politica e prescritta quella penale, il concetto viene ormai invocato solo a proposito dei giudici, responsabili colpevoli solvibili. Si ignora se questo profilo sia, come la corruzione, un pensiero fisso della Guardasigilli.
Legalità: è una nozione geneticamente modificata dalla mutazione ontologica dei suoi contenuti. Se legalità è rispetto delle leggi ad personam, la sua osservanza diventa beffarda e pedante.
Referente politico di Cosa Nostra: è espressione che, a detta della Cassazione, non significa nulla. Auspichiamo una sua rapida sostituzione con “mediatore subculturale tra Stato e concorrenza”: in tempo di liberismo economico, potrebbe trattarsi di una valida alternativa professionale in un settore che non conosce crisi e assume a tempo indeterminato.
Dove trionfa l’antilingua la lingua viene uccisa, ma anche noi non ci sentiamo tanto bene.