La trama è in sé molto semplice: la già citata ribellione culinaria spinge Cosimo a rifugiarsi su un elce e a giurare, di fronte alla minaccia di punizione da parte del padre non appena fosse sceso, di non mettere mai più piede a terra. Da questo momento assistiamo a mille rocambolesche avventure che si consumano nei boschi e nei giardini di Ombrosa e fra le chiome degli alberi, dove Cosimo organizza un'esistenza che, pur nel contatto con la natura, cerca di riprodurre le comodità della vita domestica, fra libri, scrittura, impianti idraulici e battute di caccia. Nel corso della sua permanenza fra le piante, Cosimo incontra briganti, esuli, bande di ladri di frutta, soldati e, soprattutto l'amore, ma da quella stessa platea vegetale è costretto ad assistere alla progressiva scomparsa dei familiari e alla decadenza della bella Ombrosa che, dopo la sua scomparsa, sarà privata della stessa rigogliosa vegetazione che ha permesso l'avventura del barone.
Con la figura ribelle di Cosimo, nel romanzo entrano i grandi personaggi e i turbinosi fermenti della storia, fra manipoli austriaci, francesi e russi, illuministi e, addirittura, Napoleone in persona. L'agile arrampicatore si destreggia fra incursioni di pirati turchi, assalti degli inquisitori e azioni di guerriglia, portando la passione in ogni suo gesto e in ogni singola iniziativa (come quella della redazione dei Quaderni di lagnanza o nella difesa del bosco dai lupi), ma l'eco della sua ribellione è destinata a svanire con la rapidità con cui passa sopra la sua foresta la mongolfiera che appare nelle ultime pagine del racconto.
Il barone rampante conduce una riflessione sulla vanità e sulla fragilità dell'utopia, presentandone con tanto accoramento le premesse ma sgretolandone gli effetti con altrettanta determinazione. Con uno stile programmaticamente ripreso da Ariosto (citato nell'episodio della follia amorosa del cap. 23, oltre che nell'intero Cavaliere inesistente), Calvino insegue con rimpianto e distacco ironico le imprese e le convinzioni di Cosimo, sorridendo e rallegrandosi sinceramente dei suoi traguardi, ma come se, in fondo, ci ricordasse che qualsiasi conquista, anche la più convinta, è destinata a crollare non appena scompare chi ne ha incarnato i valori. Il visionario, l'utopista, insomma l'intellettuale, l'uomo che vuole partecipare attivamente al proprio tempo è destinato alla solitudine e ad essere niente più che un vessillo di un'ideologia che i più non potranno né vorranno mai mettere in pratica.
C.M.
Articolo pubblicato per la prima volta su Libri da leggere assolutamente.