Il Bellino written by Tiziano Corso

Da Parolesemplici

Questa che andrete a leggere è la storia di una gattina che tuttora Franco tiene con sé. Dunque, quando abitava ancora nella casa vecchia e, visto il vuoto lasciato dal “Bello”*, Franco e famiglia decisero che non avrebbero mai più adottato nessun animale. Destino volle però che un manipolo di gatti randagi girasse sempre attorno all’abitazione e la mamma di Franco (che sosteneva di non sopportare i felini), alla fine, buttava loro sempre qualche avanzo del pranzo o della cena attirando così le selvatiche bestiole. In quel periodo in famiglia c’erano ben altri problemi e pensieri che guardare i gatti e le loro dinamiche manovre ma, Franco (pur essendo in quel particolare momento abbastanza avulso dalla realtà che lo circondava) non poté fare a meno di notare una gattina che si distingueva dalle altre per il fare particolarmente grazioso. Una micetta dal dorso grigio e il pancino tutto bianco; sulla testolina pareva avesse una frangetta grigia che metteva in risalto i contorni bianchi del suo bel musetto. Cercò più volte di avvicinarla, ma era assai diffidente (non per niente era inselvatichita!); le offrì qualcosa da mangiare in maniera da poter prendere confidenza e, piano piano, riuscì a farle qualche carezza sul dorso… erano istanti: poi lei scappava via… Un pomeriggio la gattina trovò il coraggio d’entrare in casa e, fatalmente, rimase chiusa nel vano scale dove, sentendosi in trappola, iniziò ad emettere rumorosi miagolii di spavento alternati ad attimi di assoluto silenzio. Mario, fratello di Franco, non ebbe miglior idea che terrorizzarla a morte per farla uscire. Così facendo rese vani gli sforzi del fratello, che si vide costretto a riprendere daccapo le manovre di avvicinamento. Con un po’ di tempo la micia capì che di Franco e della sua mamma (che, seppur brontolando, non poté non notare che la gattina emergeva dal mucchio selvaggio per bellezza e sensibilità) si poteva fidare. In breve tempo Franco riuscì a riconquistare la fiducia della micetta, la portò in casa e fece sì che il divano diventasse il suo divano. Questo tran-tran andò avanti per parecchi anni. Ormai la micia era diventata di casa e, nonostante qualche tentativo di boicottaggio da parte di Mario, era diventata la reginetta del divano. In genere stava tutto il giorno in casa, alla sera si guardava un film assieme a Franco che, prima di andare a letto, per far sì che non sporcasse, la metteva fuori e alla mattina la mamma la faceva rientrare. Poi nell’Agosto 2009 successe qualcosa che cambiò radicalmente la vita di loro tutti. Franco portò la madre al pronto soccorso perché, da qualche tempo, non si sentiva bene. Sul momento la volevano rimandare a casa ma, dietro insistenza del figlio stesso, venne ricoverata per accertamenti e lì ci fu la mazzata: le venne diagnosticato una neoplasia al polmone! Il Dottore, senza molte premure glielo comunicò in mezzo ad un corridoio: “Ha pochi mesi di vita”. Tuttora Franco, in cuor suo, ringrazia questo professionista dall’animo sensibilissimo, e spera un giorno di poter contraccambiare tanta delicatezza, magari investendolo con l’auto, così en passant, senza rancore, solo per ricordargli le buone maniere… Riuscì a metabolizzare la notizia molto velocemente, ma gli scenari sul suo futuro si facevano sempre più cupi e incerti. In quel periodo non lavorava e quindi fu subito lampante che, con la malattia della madre e la conseguente esigenza di assumere una badante, in casa lui sarebbe stato di troppo, non tanto come persona quanto, triste a dirsi, per il piatto di pastasciutta. Chiaramente la sua mamma era all’oscuro di tutto e lungi da lui aggravarla di un ulteriore peso dopo una vita già così generosa nell’elargire dolore a quella povera donna, madre e vedova… Ne conseguì che Franco dovette lasciare il suo letto alla badante (che si era premurato di trovare personalmente). Una sera di fine Ottobre consegnò la mamma alla badante che avrebbe sicuramente saputo meglio di lui gestire la situazione ed aiutarla nella malattia. E qui riappare la figura della gattina: pure lei perse il diritto al divano e le loro strade si divisero. Franco inizialmente andò a Vicenza da un’amica, ma il suo ex compagno dimostrò una forte gelosia (immotivata?) nei suoi confronti e, onde evitarle guai per l’affidamento del bambino, migrò da un’altra carissima amica a Berlino. Fu un viaggio allucinante: partì alle 10 di mattina da Vicenza in auto e, per una serie di circostanze, arrivò a Berlino ben 18 ore dopo. Ben presto, si adattò a vivere nel cosiddetto bunker (un locale sotterraneo adibito a camera per le emergenze), alla improvvisata convivenza con l’amica, conosciuta anni prima tramite il tanto demonizzato internet e a tutti quei cialtroni (ex nazisti pentiti…) che parlavano un idioma che gli ricordavano troppo le varie guerre mondiali… Telefonava a casa ogni giorno per avere notizie sulle condizioni di salute della sua mamma e, già che c’era, chiedeva notizie della gattina. Rimase a Berlino un mese e, visto l’aggravarsi del quadro clinico della madre, volle tornare in Val di Non (in Trentino), almeno per darle di persona l’estremo saluto e dirle per l’ultima volta quel: “ti voglio bene” che per tanti anni non si erano mai scambiati. Coincidenza volle che, con il suo ritorno in Italia, sua madre fosse ricoverata definitivamente per una crisi respiratoria. I due fratelli rimasero quindi soli nella grande casa e, chiaramente, la gattina tornò ad essere la reginetta del divano nonostante le lamentele di Mario. Nei mesi che seguirono, dopo il decesso della madre, la gattina fu l’essere vivente che trasmise maggior… calore umano a Franco: quando lui era in casa gli stava sempre accanto e, quando la metteva fuori per andare a dormire, al suo risveglio la trovava puntualmente sulla finestra ad aspettare che si alzasse; la sera si addormentava sul suo petto mentre lui guardava un film… Tutto questo durò per un altro anno verso la fine del quale, Franco si vide costretto (anche per la vendita della casa) a trasferirsi. E qui iniziarono dei nuovi dubbi, delle nuove domande: come avrebbe potuto portare la gattina con sé in un viaggio di oltre due ore? Bisognava tenere in considerazione la sua natura selvatica e, anche se parzialmente addomesticata, sarebbe stato un azzardo tenerla sulle ginocchia durante un tragitto per lei così lungo; metterla in una gabbietta e pretendere che non desse in escandescenza? Era un’ipotesi assolutamente da scartare! Domandò al vicinato se qualcuno avesse voluto adottarla, ma il silenzio di quella valle di lacrime fu più rumoroso di mille parole; chiese persino ai Testimoni di Geova (che tanto predicano un futuro nel quale uomini e animali feroci conviveranno pacificamente) ma neppure tra le loro folte schiere trovò qualcuno disposto a scomodarsi per una gattina che, evidentemente per loro, non aveva alcun valore! A quel punto, abbandonarla e lasciare che girovagasse fuori dalla casa, nella speranza che lui rientrasse (anche quando Franco andava in discoteca e rientrava alle cinque di mattina, come apriva la portiera della macchina lei era lì, fedele, puntuale e precisa ad accoglierlo!) era un’idea che non voleva neppure prendere in considerazione, anche perché la stagione fredda incombeva e la sua gattina, anche se munita di un pelo morbido e folto, avrebbe patito troppo i meno 17° che avrebbero accompagnato l’Inverno Trentino. Non gli restava che giocare il tutto per tutto. Andò in farmacia, si fece dare un sedativo per animali e, nel pomeriggio programmato per la partenza, le diede una pastiglia triturata mescolata alla carne. Passarono due ore e lei continuava a gironzolare più vigile e vispa che mai; si vedeva che era un po’ disorientata, ma l’impressione che dava era quella di un essere che si stava accorgendo che tutto quel via vai di pacchi caricati sulla Panda di Franco aveva qualcosa di sospetto. Franco fece l’ultimo tentativo: triturò una seconda pastiglia, la mescolò alla carne e lei la mangiò. Nell’attesa che il calmante facesse effetto, andò a salutare una vicina; le disse che quella sarebbe stata probabilmente l’ultima volta che si sarebbero visti, dato che era in procinto di trasferirsi definitivamente; le chiese anche la cortesia, nel caso non fosse riuscito a mettere la gatta nel trasportino, di darle qualcosa da mangiare e farle qualche carezza se l’avesse vista ancora in giro. Dopo aver bevuto il caffè dalla vicina tornò in casa; la gattina era ancora lì, sveglia, che lo guardava con aria interrogativa: “Chissà cosa sta facendo questo? Come mai la casa è quasi vuota?”. Avrà pensato la micetta. La sera stava calando e lo attendevano oltre due ore di viaggio con l’auto piena come un uovo; aveva lasciato giusto un piccolo spazio per il trasportino. A quel punto non c’era più tempo per pensare: prese la gattina e la infilò nella gabbia. Con suo estremo stupore entrò senza opporre resistenze e, una volta dentro e nonostante le avesse chiuso anche la piccola saracinesca, se ne stette lì tranquilla. Probabilmente anche le pillole l’avevano rilassata, ma lui non era comunque sereno; caricò tuttavia la cesta da viaggio per gatti in macchina, chiuse il portellone posteriore e le diede un’occhiata dal lunotto; chiuse la porta di casa senza neppure volgersi per dare un saluto a quell’abitazione che per oltre vent’anni l’aveva ospitato e partì verso una nuova avventura. Dopo quattro chilometri si fermò per vedere se la gattina fosse inquieta ma, dall’altra parte del vetro, lei lo guardava placidamente. Ripeté questa operazione dopo venti chilometri e così via per molte altre volte, allungando di molto il tragitto, per controllare le reazioni della micia. Arrivò a destinazione ben tre ore dopo, rallentato da un incidente che aveva generato una lunga coda di auto e anche dalla pioggia che rendeva la strada viscida. Da quel giorno di metà Novembre sono passati parecchi mesi; la gattina è stata rinominata “Brugola” in seguito ad un referendum tenuto da tutti gli abitanti del maso nel quale attualmente vivono Franco e la sua micina. Adesso Brugola ha un piano tutto suo, lui ha la sua camera al piano superiore e scende da lei solo per darle da mangiare, farle le coccole e metterla fuori, perché, dovete sapere che da quando ha casa sua passa giorni e notti intere senza voler uscire. Franco è felice di averla portata con sé, anche se ciò ha comportato qualche sacrificio da parte di entrambi e, comunque, non avrebbe tollerato di saperla sola e al freddo a girovagare attorno alla casa con la speranza che qualcuno la facesse entrare… Forse questo pensiero esiste solo nella mente di Franco… Ogni tanto pensa che, come tutte le cose, il loro rapporto finirà e che magari un giorno farà come l’altra gatta (Il Bello) e deciderà di andare a finire i suoi giorni nel bosco circostante; oppure un pomeriggio saranno i suoi amici Davide e Sabrina a portarle da mangiare e, sempre nella sua mente, li immagina comportarsi come fanno spesso con il loro cane quando gli parlano; li vede accarezzare Brugola mentre con voce pacata le dicono: “Sai gattina, da oggi non vedrai più il tuo amico Franco…ieri sera è uscito per una passeggiata ma…non è più tornato…”. 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