Il bello di essere vecchi

Da Marcofre

Io sono vecchio. Ho 46 anni e me ne sento almeno ottantacinque, sul serio. Ho male un po’ dappertutto (le mani, il collo, la schiena): è il regalo del lavoro che nobilita l’uomo.
Ma non è di questo che desidero parlare, state tranquilli.

Essere vecchi è una fortuna. Sei fuori dai giochi. Dappertutto è un fiorire di corsi, concorsi, contest. E tu non ci rientri quasi mai, soprattutto per l’età, certo.
Buona parte degli editori nemmeno ti considerano: se arrivi a una certa età e sei ancora lì a cercare l’approdo sicuro, oppure scegli il self-publishing, un motivo ci sarà, no?

Tutto ciò è meraviglioso, lasciatemelo scrivere.

Puoi dedicarti alla scrittura. O alla lettura senza dover correre da una parte all’altra. Osservi con distacco l’affannarsi dei giovani, ricordi, ma è un’immagine sbiadita nella memoria, quando anche tu correvi. Sì insomma: un tempo pure io sono stato giovane.

Finivo di lavorare, mi sedevo al computer (no, all’inizio era una Olivetti Lettera 35), e lottavo contro la stanchezza per mezz’ora per cercare di scribacchiare qualcosa di decente. Che decente non era affatto, e tutto è finito nel dimenticatoio.
Meno male.

Certo, è imbarazzante perché a occhi esterni sei uno esperto, che conosce, sa, visto che distribuisci a destra e a manca consigli e dritte.
Chissà questo tipo cosa nasconde ancora, pensa la gente, quali conoscenze preziosissime racchiude nella sua rubrica indirizzi. Magari finge, ma ha le mani in pasta un po’ ovunque; sembra ingenuo ed esordiente, mentre in realtà alza il telefono (magari un rigoroso iPhone), e chiama gente che decide. Nomi e cognomi che fanno cadere la mandibola sulla scrivania.

Su Internet nessuno sa che sei un cane, diceva un cane al suo collega, all’interno di una vignetta di qualche anno fa.
E invece non hai niente di che fregiarti, nessuna medaglia brilla sul petto.
Pure questo è qualcosa di buono.

Il distacco ti permette di seguire il tuo cammino senza badare a nient’altro che alla parola. Ne assapori meglio la forza, la grana potente e forte che un tempo davi troppo per scontato. E che adesso rivela sfumature, toni, aromi, a dir poco sorprendenti.
Perché d’un tratto hai trovato (o forse è solo un miraggio?) il tuo progetto letterario. Non importa che sia popolare, che piaccia. Però senti che ha un respiro ampio; ma anche questo può essere illusione.

Che si distacca con tenacia da quanto ti circonda non perché lo disprezzi; ma perché ha capito che c’è un premio più alto.

Snobismo? No. Consapevolezza di che cosa sia la letteratura. Spesso si leggono in giro domande quali: “Cosa può realisticamente attendersi uno scrittore esordiente?”. Nulla, è l’unica risposta sensata; il resto son chiacchiere. Se un uomo del calibro di Scott Fitzgerald nell’ultimo anno della sua vita vendette complessivamente 40 copie, cosa realisticamente ci si deve aspettare?

Oh, certo: il Web, le reti sociali, Amanda Hocking e tutti gli altri che hanno sfondato, il “Gratta&Vinci”… Come? C’è un intruso? Sì lo so, è il Web, perché induce la persona a credere che la soluzione sia appunto là fuori. Che esista un segreto, un trucco, un’abilità da acquisire e poi da applicare velocemente.
No.

Tu fai la differenza, il tuo talento, la tua volontà, il tuo talento (lo so, l’ho già scritto), la tua capacità di essere originale, preciso, il tuo talento (i vecchi tendono a ripetere le cose no? Quindi è inutile che sgraniate gli occhi).
Se possiedi qualcosa del genere, il Web è un ottimo volano; altrimenti farai girare solo dell’aria, che negli ambienti chiusi fa piacere, ma in narrativa ne dubito.

Tanto lavoro, tanta scrittura e riscrittura, letture ancora più numerose. Il bello di essere vecchi, appunto.


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