Magazine Cultura
Qualche anno fa in una libreria di Ferrara comprai un libro di Leonardo Borgese dal titolo lapidario e provocatorio, L'Italia rovinata dagli Italiani, una raccolta di scritti che il critico d'arte milanese aveva pubblicato sul Corriere della sera dal 1946 al 1970, scritti sull'ambiente, la città, il paesaggio. In questo libro il critico milanese elenca gli orrori di una dissennata politica di ricostruzione che si realizza demolendo palazzi, sventrando strade e viali, modificando in modo irrecuperabile importanti strutture, sostituite da complessi anonimi di una bruttezza metafisica, argomentando che alla base di qualunque furore demolitorio ci stanno delle teste demolite dall'ignoranza o peggio ancora dall'indifferenza per il suolo e il sottosuolo, dimostrando che i politici italiani non hanno mai avuto riguardo per il suolo del proprio paese, sacro solo negli inni nazionali e nelle poesie patriottiche. La caratteristica di quel libro è l'invettiva contro coloro che per servilismo hanno proceduto all'abolizione del bello, sostituito dal brutto ma funzionale in un epoca che si dava un profilo industriale preminente, è un'invettiva forte e ben documentata che però non ha impedito che si realizzasse l'esproprio della bellezza e della testimonianza artistica su tutto il territorio nazionale. Al pari di questa invettiva che ha nella forza della descrizione del negativo la sua vis polemica, ci sta in modo complementare chi elenca luoghi che sono stati risparmiati dall'insipienza dei suoi politici. Se l'itinerario di Borgese è un iter mortis del bello, il lamento di un aedo che piange i caduti in battaglia e accusa i politici di dissacrazione del bene comune; quello di Sgarbi è un iter vitae che propone di vedere quello che è rimasto dopo il passaggio dei barbari, quello che non è stato toccato perché non pertinente al cambiamento o irraggiungibile dalle ruspe, quello che è stato conservato per volontà di persone sagge e illuminate, quello che è stato preservato e ristrutturato lottando contro burocrazia, protervia del potere, autoritarismo dell'ignoranza. Entrambi i libri parlano dello stesso problema con modalità argomentative differenti ma complementari, in sostanza indicano che l'osservazione, un bene alienato ai più, è la nostra arma più importante proprio per individuare la pertinenza di un oggetto rispetto a un altro in un contesto preciso. A questo proposito guardando la nostra bella piazza con rinnovato spirito di osservazione, grazie alla rilettura dei bellissimi necrologi di Borgese e alla serata con Sgarbi, noto un' incongruenza limpidissima: quella giostrina che sta davanti alla Rocca c'entra qualcosa con l'opera di Rambelli, la chiesa del Suffragio, il palazzo littorio della banca, il Pavaglione? In altre parole, è pertinente la sosta della giostra anche dopo il periodo delle feste in una piazza che dedicata a Francesco Baracca rischia di essere riconosciuta per la piazza della giostra perenne?
di Ivano Nanni
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