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Il bibliotecario

Da Nubifragi82 @nubifragi

Mi presento a tutti voi cui regalerò queste righe. Mi chiamo X e ovviamente mia madre e mio padre non erano né analfabeti né avevano così a fastidio la mia nascita da affibbiarmi la croce di S. Andrea come nome di battesimo. Se vi dico di chiamarmi X e di abitare nella città di Y nello stato di W è per due motivi: il primo motivo è per evitare che voi pensiate che tutto ciò possa accadere solamente in una precisa nazione e in un momento storico preciso. Vi sia da monito: la storia è ciclica, non si ripete ma si ripresenta. Il secondo motivo è molto meno nobile: per pararmi il didietro. Scusate, ma ci tengo.

Allora, dicevo di chiamarmi Z. Ah, no, avevo detto X. Ho quarantasette anni e da quando ne avevo venticinque faccio il bibliotecario nella mia città, il cui nome W X Y Z ora non ricordo, ma poco importa. Quando ho iniziato a lavorare qui ero l’uomo più felice del mondo, avevo solamente venticinque anni e già potevo svolgere il lavoro che più mi aggradava. Lo ammetto, non avevo particolari meriti per lavorare qui, se non quello di conoscere qualcuno al posto giusto. Del resto non ero l’unico, ai tempi le assunzioni funzionavano così e nessuno protestava. Quando le pance sono piene i ficcanaso del potere costituito riposano. Se pensate che la storia si faccia con la pancia piena, non avete capito nulla. L’impero romano crollò sull’onda della crisi economica del quarto secolo D.C., i parigini presero la Bastiglia quando non avevano più pane. Quando entrai in questa biblioteca era un periodo di grande apatia politica e culturale. La gente se la passava bene, le insegne pubblicitarie provocanti e vistose, il presente era una certezza e il domani un fastidio a cui nessuno si prese la briga di pensare. Ma il futuro non si può cancellare. Quando sono sulla tazza del gabinetto e filosofo del più e del meno, mi capita di ripensare a quegli anni e mi piace immaginarli come un’orgia bacchica, un grande simposio di imbecilli dediti ai vizi più dannosi per la salute, quelle malsane abitudini che si pagano solamente molti anni dopo, quando il fisico usurato e non più giovane chiede il conto di tanta sfrenata demenza.

Poi le cose iniziarono a girare per il verso sbagliato. Disoccupazione, fame, persone in crisi di identità e valori. Dissero che le casse erano vuote, le tasche bucate e non riparabili, il piatto piangeva, gli sportelli erano chiusi, i portafogli smilzi. C’era chi se la passava anche meglio di prima, a dire il vero. Lor signori erano di quella stirpe che entra forte ed esce fortissima. Se buttate tre quintali di letame in un bel prato di erba dopo qualche giorno vedrete spuntare dalla merda solo qualche ciuffo d’erba. Eccoli allora i figli della merda giocare al rialzo contro una massa di individui isolati e bisognosi del benessere passato.

Iniziarono a tagliare. Ed ecco che entra in scena la mia vicenda personale. Dissero che le biblioteche erano improduttive, superate, c’erano ben altri problemi da risolvere, altro che prestiti e catalogo. A me pareva che di idee ne circolassero tante, ma la volontà di risolvere era poca. Tra chi urlava e chi bisbigliava, io vedevo la mia biblioteca umiliata e violentata. Il personale diminuiva, il prestito veniva limitato a poche ore alla settimana, libri non ne potevamo comprare. Un giorno crollò il soffitto di una sala di lettura. Inagibile per sempre. Poi ci furono un allagamento, una scossa di terremoto, un’invasione di ratti, ma non ricordo se l’ordine era veramente quello. Perdemmo più della metà dei nostri libri. Per sopravvivere dovemmo iniziare a vendere l’altra metà. Negli ultimi anni in biblioteca non veniva ormai nessuno. Non li biasimo, non potevamo offrire più alcun servizio. Meno gente veniva e più dicevano che eravamo inutili, un retaggio del passato, un’anticaglia che non ci si poteva più permettere. La cultura era altrove, in altri luoghi, con altri mezzi. La cultura era individuale, libera. Ma che significa individuale? Forse l’aggregazione è un limite all’espressione? E poi, quel vocabolo abusatissimo: libertà. Che male c’è nell’offrire un percorso di lettura scevro da imposizioni di marketing? La verità era che i figli della merda si volevano spartire quel piatto ricco che si chiama cultura. Intendiamoci, che la cultura non si mangia, lo pensano solamente i coglioni. I furbi sanno benissimo che manipolando il mercato ad uopo e orientandola a proprio piacimento si possono fare un sacco di quattrini.

Eravamo trenta. Sono rimasto solo io. Erano ventimila libri. Sei rimasto solo tu. Abbiamo svenduto tutto. Sono rimasto solo io e non vedono l’ora di cacciarmi. Per questo non vi dico il mio nome, non vorrei che si dicesse che il dinosauro della cultura ha alzato la testa. Ma io resisto. Io ed il mio unico libro. Sono mesi che nessuno entra qui a chiedere un libro. Anzi, il libro. Ma io attendo, so che un giorno verrà e le parole che ora sto scrivendo le leggerà tra le righe di questo libro. E questo povero libro, solo come l’individuo moderno, sarà consigliato e passato ad altri e tutti leggeranno le mie parole. Tanti verranno a darmi una mano, a regalare a questa biblioteca i vecchi libri che avevano in soffitta . La gente riscoprirà la bellezza di questo spazio di aggregazione, di questo modo libero di fare cultura.

Perché la storia è ciclica. Diteglielo ai figli della merda. E poi usate il diserbante.

Con affetto,

K

No, scusate (non posso cancellare, non ho più nemmeno una gomma)

Con affetto,

X



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