Il Bicchiere Di_Verso intervista un vero dandy dei nostri giorni

Creato il 25 maggio 2011 da Ilbicchierediverso

Il Conte Massimiliano Mocchia di Coggiola è nato nei pressi di Torino qualche decennio fa. Dopo gli studi di pittura, restauro, storia e critica d’arte, si è trasferito a Parigi dove si è recentemente sposato con Sorrel, pittrice californiana; assieme alla moglie organizza le serate burlesque Dr. Sketchy’s Paris dove le ballerine, tra uno show e l’altro, posano in costumi di scena per un vasto pubblico di disegnatori.

Si prende per un personaggio di Dekobra e viaggia tra Venezia, Roma, Praga e Londra, non così assiduamente quanto vorrebbe. E’ autore e curatore di un sito internet dedicato al Dandy (“Il Dandy”, www.noveporte.it/dandy) con lo pseudonimo di Andrea Sperelli; è socio del Cavalleresco Ordine dei Guardiani delle Nove Porte; non è socio del Rotary, né del Lions, e non tiene a diventarlo. Autore di diversi saggi sul dandismo e sulla storia della moda maschile, ha pubblicato degli articoli per “Monsieur” e diverse introduzioni e illustrazioni per i libri di Ivano Comi dedicati al dandismo e a Brummell; oggi collabora con la casa editrice Excelsior 1881, per la quale ha fatto uscire “L’arte di essere povero” di Boni de Castellane (con un suo saggio introduttivo), “Filosofia del dandismo” di Daniel Schiffer, e ha in lavorazione per le stesse edizioni un saggio sul Gagà e un romanzo.

Questa è la biografia ufficiale del giovane dandy con cui Il Bicchiere Di_Verso si è divertito a chiacchierare. Domande sul senso del dandysmo attualmente, sull’appartenenza a un gruppo di paria e eleganza. Di forma e di mente.

Massimiliano Mocchia di Coggiola è stato estremamente preciso e interessante nel tracciare un percorso che parte dai grandi del passato per arrivare a noi.

Buona scelta

IBD

Nonostante la sua giovane età, ha scelto di essere un dandy o lo è diventato?

Mi ci sono ritrovato impigliato, ed è difficile liberarsi di un’ossessione che viene dall’infanzia e da qualche retaggio famigliare; tuttavia non ho mai avuto la pretesa di essere un dandy: trovo sia uno stato di perfezione alla quale si aspira, più che altro. Temo me ne manchi l’insolenza e la superficialità. Ma sto cercando di migliorare l’una e l’altra.

Essere un dandy per lei cosa significa?

Posso dire che significa vivere la propria vita come un’opera d’arte? Qualcuno lo ha già detto, ma rende bene l’idea. Bilanciare piacere e noia, dosare arte e sperpero di energie, vale a dire creare con parsimonia e distruggere con metodo. Non v’è una morale epicurea (già troppo sfruttata) né diabolica da indagare: l’assenza di una coscienza è oggi cosa volgare; piuttosto un fondo vagamente cattolico, perché, come ci insegnano i preti, è nell’infrangere i dogmi che si prende più piacere. Chanel diceva che il lusso è il contrario della volgarità e non della povertà; ora il dandy può essere povero ma vive nel lusso: sia questo un pranzo al Ritz o una passeggiata al Palais Royal, ovviamente con la tenuta che conviene all’una o all’altra occasione. Perché è fondamentale: senza l’abito il dandy sbiadisce. Essere artista sulla tela o sulla carta non è diverso che dall’esserlo con stoffe, sete, feltri e pellami. Storpiando Wilde: bisognerebbe essere & indossare un’opera d’arte.

Chi erano i dandies e chi sono oggi?

Dipende: a volte erano detti dandies dei fannulloni eleganti, con o senza patrimonio. Altre volte si trattava di intellettuali: scrittori e pittori per lo più, che coltivavano un’eleganza sia nel guardaroba che nelle loro opere. Entrambi i tipi sono interessanti, visto che il dandismo non si misura ad occhio né sul peso della carta che ha imbrattato (meglio se NON pubblicata!), bensì sull’impatto che il singolo ha sulla società, e su come costui vive tale impatto, visibile o invisibile ch’esso sia. E’ uno shock bilaterale: un’auto si scontra contro un albero, e constatiamo i danni sull’auto ma anche sull’albero. I dandies di oggi sono gli stessi di ieri: non esiste un “neo-dandismo”, se non sulle passerelle di moda: il dandismo non si è mai interrotto per far piacere ai media o agli intellettuali. Oggi si tende a confondere il dandy e il fashion victim (sia questo bohemien, chic o gotico), dal momento che il sistema del gusto maschile è cambiato parecchio negli ultimi trent’anni, ma pare che pochi se ne siano accorti: quando la moda la facevano i clienti, l’eleganza era pura. Oggi la moda la fanno gli stilisti, e un dandy del 2000 deve farci i conti, volente o nolente. Il che non è sempre un male.

Come vive la sua giornata tipo?

Non ho una giornata tipo perché aborro ripetermi e, del resto, non lavorando in un ufficio e avendo molti amici d’ogni genere posso permettermi di variare moltissimo i miei orari e le mie occupazioni. Esco sovente la sera, mi sveglio tardi la mattina (o nel primo pomeriggio), e il resto del tempo lo passo a bighellonare. Dove trovo il tempo per disegnare, scrivere e rispondere alle interviste lo ignoro.

A cosa si dedica artisticamente?

Ogni tanto scarabocchio su carta: illustrazioni per qualche libro, ritratti ad acquerello. Più raramente mi lascio tentare dalla tela. Ho provato a suonare qualche strumento musicale ma senza successo, la tecnica mi spazientiva. Adesso, dopo vari saggi e collaborazioni, sto scrivendo il mio primo romanzo.

Si sente un outsider rispetto ai suoi coetanei? Come vive questa sua "diversità"?

Come la vivono gli altri, piuttosto? Non mi interessa. Vivo a Parigi, e i parigini sono molto diversi dai pecoroni e dai gagà italiani. Ho trovato qui un ambiente prolifico e incoraggiante che non avrei mai potuto immaginare in nessuna città italiana, e mi ci trovo più che bene. Grazie ai miei genitori ho ricevuto una buona educazione che mi permette di apprezzare ciò che di bello trovo in tutte le cose e nelle persone, sempre che loro vogliano fare lo stesso sforzo, che è poi minuscolo.

Uno dei veleni della civiltà moderna è la necessità di sentirsi tutti uguali; solo i professionisti sono tollerati. L’Italia dà forse il miglior esempio in tal senso. Personalmente mi sento un outsider, sì, è inevitabile – il problema comincia quando tentano di farlo assomigliare ad una colpa o un vizio. Credo che il vero vizio sia altrove: nel sentimento di punire chi non ci assomiglia. E perché poi? Perché fa paura.

La scelta dell'abbigliamento, come viene ponderata?

C’è chi sceglie pensando alle tenute che già possiede: ecco, prendo la cravatta verde perché ho una camicia così e un gilet cosà… E’ ammirevole ma troppo matematico per me, preferisco lasciarmi guidare dall’istinto. Così facendo ho spesso comprato cose che non ho mai indossato, specie in fatto di cravatte (finisco per mettere sempre le stesse, è inevitabile). Cerco pezzi d’abbigliamento nel mercato del vintage, nei negozi e nel su misura; le marche non mi interessano, a volte le scucio dalle giacche di confezione: cerco soltanto l’effetto e la qualità del prodotto. Tutto viene adattato a mia misura da un sarto o da un retouche sotto casa. Amo le contaminazioni di antico e moderno, quest’ultimo dosato con parsimonia: dal 1920 in poi il costume maschile non è cambiato nei suoi componenti, semmai è variato il disegno, la linea, diciamo i contorni dell’uomo. Un mio amico dice che il tempo non esiste, esiste solo il buon gusto e il cattivo gusto: ha terribilmente ragione. Perciò scelgo in ogni epoca quello che credo mi stia meglio, o si adatti meglio a certe situazioni. L’abbigliamento è lo specchio dell’anima: solo restando nel classico e nelle sue regole (da infrangere o da rispettare, poco importa) è possibile trovare soddisfazione vera nel vestire e nel sentirsi sé stessi.

Quali sono le "trappole" in cui un dandy non cade mai?

Un dandy, ma anche un elegante qualsiasi, dovrebbe essere più circospetto riguardo le novità in fatto di moda, buone per qualche mese o anno, e poi dimenticate o dichiaratamente out. Il consumismo è pericoloso, specie in fatto di abbigliamento, perché può risultare inutilmente costoso visto che le idee non erano tue, ma di un’azienda che miriadi di imbecilli hanno sovvenzionato per produrre al posto loro.

Come si relaziona con la tecnologia?

Ho un ottimo rapporto con la tecnologia, non potrei vivere senza. Trovo che internet sia una gran bella invenzione, così come il telefono cellulare. Due cose che ha inventato l’esercito, e probabilmente le uniche che fa fatto bene ad inventare!

È questa una domanda che mi si rivolge sovente: si crede che i dandies vivano nel passato ; direi invece che il dandy è sempre contemporaneo, e tuttavia mantiene un legame profondo con un passato fatto di bellezza, tradizioni e eleganza. I vantaggi e il benessere di oggi sono doni della civiltà moderna di cui spesso non ci rendiamo sufficientemente conto.

Come si prende cura di sé?

Contrariamente a molti galantuomini italiani, apprezzo e approvo l’uso di cosmetici e cure estetiche per uomini – una mania che si dice nata con i metrosexual americani negli anni Novanta, ma che in realtà rimonta a Rodolfo Valentino e agli elegantoni francesi del XIX secolo. Non pratico sport in pubblico, se non per un ristretto gruppo di persone scelte, generalmente da una a tre. Faccio il bagno nel latte d’asina tutte le mattine, come ogni comune mortale.

Come si smaschera chi scimmiotta il dandy e chi invece lo è?

Il problema sta nel significato che la gente dà a questa parola, che è recentemente assai abusata. C’è chi si definisce “dandy dentro” e disprezza l’eleganza esteriore: spesso si tratta di poetastri delusi, o di “ragazze” quarantacinquenni ancora illibate, amanti della natura e del feng shui. Costoro travisano il senso del dandismo, che si vuole come un delicato equilibrio tra interiorità ed esteriorità.

Altri, al contrario, credono di avvicinarsi al nirvana dello chic con un cappello a cilindro e una brutta redingote di confezione – cadendo in un doppio errore: quello di credere che il dandy sia una macchietta da avanspettacolo che veste sempre come Oscar Wilde, e quello di prendersi per un gran elegantone con degli abiti da teatro dei burattini.

Il dandy è spesso confuso con il gagà, anzi spesso sono i gagà a credersi dandies; questi personaggi assomigliano tanto ai nuovi ricchi descritti in certi romanzi inglesi dei primi del Novecento: volgari, abbronzati, bellimbusti di paccottiglia con un abito su misura che hanno copiato da una rivista o che ha scelto il loro sarto, profumatamente pagato. Guidano auto costose, bevono champagne come fosse birra e fumano havana come i bambini succhiano caramelle: stesso stile, stessa quantità. Questa gente ha più necessità di dimostrare agli altri un qualche cosa che, in fondo, non ha nessuna importanza indagare.

Cos'è il passato per lei?

Una serie di esempi per arricchire il futuro. Oppure per peggiorarlo.

Il fumo, l'alcool, le donne: a cosa rinuncerebbe e a cosa no?

Se la lista dei miei piaceri fosse così limitata non rinuncerei a nessuno di questi. Fortunatamente dispongo di maggior fantasia, e disprezzo i cosiddetti consigli di madre natura, padre decenza e spirito santo. Ma non rinuncerei comunque a nessun piacere, nemmeno per “salvarmi” la vita, cosa che in sé ha ben poco valore se ci si limita a guardarla scorrere senza sfruttarla.

A chi si ispira? C'è un dandy vivente che l'affascina?

Ho letto talmente tanto sull’argomento che oramai tendo a confondere e distillare in ogni vita vissuta un frammento che possa ispirare o consigliare la mia. Non posso rispondere di preciso perché non saprei dire un nome, o allora potrei elencarne cento e il risultato sarebbe lo stesso: faccio di tutto per essere me stesso, senza troppe pose né pretese. Gli imitatori (e ne esistono molti, in questo ambiente) dovrebbero essere ingabbiati, oppure curati. Anche se tutti passiamo per questa fase!

Che letture consiglia per avvicinarsi al suo mondo?

Del dandismo e di George Brummell, di Barbey d’Aurevilly; i saggi e i diari di Baudelaire; una biografia di d’Annunzio, una di Wilde e una di Monsieur (il fratello di Luigi XIV); Sade per la libertà, Drieu la Rochelle per la regola. Pelham di Bulwer-Lytton, e L’arte di essere povero, di Boni de Castellane, per la mia introduzione!

Ci sono altri dandies da frequentare nel mondo?

I dandies non abbondano, ma esistono. A volte si fanno notare, a volte passano inosservati: dipende dall’ambiente che frequentano e dalla città in cui vivono. Privilegiano le capitali o le grandi metropoli, possono essere di qualsiasi nazionalità, ma i più completi sono certo gli europei. Diffidate dalle imitazioni americane e asiatiche, a meno che non siano stati preventivamente colonizzati. Queste persone non amano apparire in televisione, uno dei rari metodi di oggigiorno grazie al quale è possibile diventare “famosi”, e quando capita loro un’intervista o un’apparizione televisiva è più spesso a causa del loro mestiere (quando ne hanno uno). Rispetto la loro discrezione e non ne farò i nomi, del resto la maggior parte sono sconosciuti al pubblico. Tra le persone un poco più conosciute mi sento di citare (certamente a loro insaputa) Tom Wolfe, Philippe Daverio, Nick Foulkes, David Carter, Pasquale Di Donato, Hamish Bowles.

Quali sono i suoi "ritrovi"?

Il Fumoir accanto al Louvre e il Renard a Hotel de Ville per i cocktail, il China e il Balajo a Bastille, nonché il Comedy Club per il burlesque e l’electro-swing, e la brasserie La fée verte sotto casa per il caffè o i pasti occasionali. Ma anche i parchi delle Tuileries e di Vincennes, dove organizzo pic-nic e molli gite in barca a remi durante l’estate con gli amici. Per le vacanze mi trovo generalmente nei pressi di Gardone, per una rituale visita al Vittoriale in nutrita compagnia.

Credits Fotografici: Xavier-Pixelgamma e Pierre Nygren


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