Il blocco di Hormuz tra tensioni e strategie nel Golfo

Creato il 21 gennaio 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Giuseppe Dentice

Dallo scorso dicembre lo Stretto di Hormuz è tornato ad essere un nuovo punto caldo della geopolitica mondiale. Questo passaggio marittimo, lungo circa 60 Km, largo appena 30 e che divide la Penisola arabica dalle coste iraniane, è, come anche definito dal Dipartimento dell’Energia Statunitense, la più importante “oil check-point” mondiale. Come spesso avvenuto in altre aree marittime “calde”, quali lo Stretto di Bab el-Mandeb, quello di Tiran e quello di Corfù, anche il passaggio di Hormuz rappresenta lo scenario di una nuova crisi regionale ed internazionale.

I fatti

Dietro alle crescenti tensioni diplomatiche tra Teheran e Washington c’è la questione nucleare e l’importanza, simbolica e strategica, dello stesso Stretto di Hormuz. Il Rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) dello scorso novembre ha rivelato che Teheran sta procedendo senza sosta verso l’acquisizione delle tecnologie e dei materiali necessari a costruire un’arma nucleare. Per tutta risposta, gli USA hanno invitato la Comunità Internazionale intera e, in particolare,i Paesi partner europei a congelare qualsiasi attività che abbia a che fare con la Banca Centrale dell’Iran e a porre un embargo sull’importazione di idrocarburi iraniani, sulla falsariga di quanto fatto dalla UE, in settembre, nei confronti della Siria. E proprio per il prossimo 23 gennaio è prevista da parte di Bruxelles l’approvazione di nuove sanzioni nei confronti del regime degli Ayatollah. Sotto la minaccia di un inasprimento delle sanzioni ONU – ben quattro tra il 2006 e il 2010[1]–, il Vicepresidente iraniano Mohammad Reza Rahimi, citato dall’agenzia stampa nazionale IRNA, ha minacciato di chiudere il passaggio dello Stretto di Hormuz a tutte le petroliere.In realtà, molti analisti hanno ritenuto le dichiarazioni del Vice presidente al-Rahimi come unbluff teso ad intimorire i leaders occidentali, a far crescere il prezzo del petrolio e a strappare future concessioni se dovessero ripartire i negoziati sul programma nucleare.

Perché è così importante Hormuz?

Fonte: Limes

Territorio anticamente caratterizzato dai fenomeni pirateschi, il corridoio di Hormuz – regolato da percorsi stabiliti in comune tra Iran ed Oman a seguito di accordi stipulati nel 1975 e disciplinati severamente al fine di evitare collisioni – rappresenta oggi uno snodo internazionale importantissimo almeno per due motivi: uno economico-commerciale e l’altro geo-strategico.Ogni giorno passano attraverso lo Stretto circa 17 milioni di barili di petrolio, ossia il20% del greggio consumato nel mondo. Hormuz è, quindi, la sola via marittima fra il Golfo Persico e il resto del mondo. Ma non tutti i Paesi che si affacciano sul Golfo hanno accordi sulla ripartizione e sullo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi a causa di tensioni politico-sociali ormai latenti. Non a caso, l’Iran non gode di buoni rapporti con quasi nessun Paese dirimpettaio, ad eccezione di Qatar e Oman, ragion per cui Teheran viene avvertito come un grande fattore di instabilità dalle corone del Golfo. Inoltre, il timore di una eventuale involuzione delle tensioni tra Iran e Comunità Internazionale potrebbe di fatto avere ripercussioni anche sui Paesi della Penisola Arabica, in quanto una chiusura dello Stretto produrrebbe un’interruzione delle esportazioni di petrolio. Alcuni analisti internazionali hanno stimato che un blocco prolungato del passaggio di Hormuz porterebbe ad un aumento del 50% del prezzo del greggio e all’innesco di una recessione globale.

Gli interessi USA nel Golfo e i timori delle monarchie arabe

Gli Stati Uniti  sono molto preoccupati dall’instabilità della regione e dalla sempre maggiore incidenza della politica iraniana nella vita pubblica irachena, anche alla luce del recente ritiro statunitenseIl ritiro USA potrebbe creare un vuoto di potere nel Paese iracheno che potrebbe portare ad un allargamento dell’influenza iraniana nel territorio in questioneEd è su queste basi che il Dipartimento della Difesa USA sta prendendo in considerazione la possibilità di ripensare la propria presenza nell’area incrementando le proprie forze aero-navali in Kuwait, Bahrain e Qatar. Questo sembrerebbe emergere dall’intervista rilasciata ai quotidiani emiratini “Gulf News” e “The National” dal Generale Martin DempseyCapo di Stato Maggiore del comando interforce in Afghanistan. Le basi nel Golfo sono importanti avamposti USA di contenimento contro eventuali azioni di Teheran nella regione. In particolare, il piccolo Regno del Bahrain ospita il quartier generale della V Flotta della US Navy – responsabile delle operazioni statunitensi nel Mar Rosso, nel Golfo Persico e nel Mare Arabico. Una cospicua presenza americana, anche se in misura minore rispetto al passato, si conta anche negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita, due, peraltro, tra i principali partner commerciali di Washington.Chi, però, teme maggiormente lo strapotere iraniano nella regione sono le monarchie arabe del Golfo. La paura di una forte destabilizzazione della Penisola Arabica e i rischi di instabilità per Kuwait e Iraq, farebbero propendere le monarchie arabo-sunnite verso un intervento militare del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), sulla falsariga di quanto avvenuto in Bahrain, Yemen e Libia. A favorire una tale ipotesi di intervento vi sarebbe la forte preoccupazione che la Penisola Arabica possa divenire una nuova polveriera e terreno di scontro settario, sotto l’influsso persiano, esattamente come è accaduto in Libano e Siria, rischiando di incrinare anche i rapporti di forza esistenti nel “Grande Medio Oriente”.Ad ogni modo, due domande salgono alla nostra attenzione: l’Iran può davvero bloccare lo Stretto di Hormuz? Come potrebbero reagire le monarchie del Golfo altamente danneggiate da un’iniziativa unilaterale iraniana?

Il blocco dello Stretto secondo il Diritto del Mare

Secondo la Convenzione UNCLOS (United Nations Conventionon the Law of the Sea, nota anche come Convenzione di Montego Bay) delle Nazioni Unite – che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell’utilizzo dei mari e degli oceani, individuando le linee guida che regolano le trattative, l’ambiente e la gestione delle risorse naturali – lo status giuridico dello Stretto di Hormuz è quello di uno stretto internazionale, sia perché interamente coperto dalle acque territoriali di Iran ed Oman, sia perché collega aree di alto mare e Zone Economiche Esclusive (ZEE)[2].Pertanto, tutte le navi, a prescindere dalla loro nazionalità, beneficiano del diritto di transito in linea con la Convenzione UNCLOS e con la consuetudine marittima e di attenersi agli schemi di separazione del traffico approvati dall’International Maritime Organization (IMO). Infatti, il diritto di transito non può essere in alcun modo essere impedito, anche se lo Stato rivierasco può indicare appositi corridoi entro cui incanalare il traffico marittimo o prescrivere schemi di separazione del traffico. Un’iniziativa unilaterale di blocco dello Stretto di Hormuz sarebbe perciò palesemente illegale.Il governo iraniano, già in passato, aveva minacciato di voler colpire gli interessi israeliani e statunitensi nel Golfo in caso disanzioni e la chiusura dello Stretto è sempre stata considerata una delle forme di rappresaglia più probabili. Tecnicamente, però, come hanno fatto notare alcuni esperti internazionali, il blocco di Hormuz potrebbe essere realizzato dall’Iran con mine marine e con missili antinave lanciati da terra o da imbarcazioni veloci. Infatti, questo piccolo lembo di mare è di fatto controllato dal regime degli Ayatollah grazie anche al controllo delle tre piccole isole di Piccola e Grande Tunb – in cui sono posizionati un piccolo aeroporto e una guarnigione militare – e di Abu Mousa. Pur essendo rivendicate dagli Emirati, esse sono di fatto in possesso dell’Iran. Si tratta di isole di nessuna importanza economica ma di grande rilevanza strategica proprio per la loro posizione di ingresso e uscita da e per lo Stretto.

L’aggiramento arabo del blocco di Hormuz

I progetti infrastrutturali nel Golfo

In risposta alla sempre crescente tensione nelle acque del Golfo, e non volendo giungere ad un’azione militare altamente destabilizzante per l’intera regione, per fronteggiare eventuali blocchi dello Stretto di Hormuz e per garantire il transito regolare di idrocarburi le monarchie del GCC stanno promuovendo investimenti mirati in infrastrutture e tecnologie varie. EAU, Bahrain, Oman, Qatar e Kuwait stanno impiegando ingenti risorse nella costruzione di linee ferroviarie, gasdotti, oleodotti e tutte quelle infrastrutture che metteranno in comunicazione, attraverso quattro fondamentali direttrici, la costa orientale della Penisola Arabica con l’Occidente, costruendo, di fatto, un continuum terrestre che congiungerà i porti omaniti con quelli del Kuwait.Particolare interesse riveste, inoltre, il progetto del gasdotto Dolphin che collegherà Qatar, Emirati ed Oman, il primo gasdotto transfrontaliero della regione del Golfo. Questo, gestito dalla emiratina Mubadala con la francese Total e la US Occidental Petroleum, ha come obiettivo quello di creare delle alternative terrestri alle classiche vie di commercio, indipendenti dallo Stretto di Hormuz, costituendo il nuovo punto focale nella geo-strategia regionale e internazionale.Altra infrastruttura ritenuta strategica sarà l’oleodotto Crude Oil Pipeline Abu Dhabi (ADCOP)progettato dagli Emirati Arabi Uniti per un costo di 2.6 miliardi di euro. L’oleodotto avrà una capacità di trasporto tra gli 1.5 – 1.8 milioni di barili al giorno e potrà smistare il 70% del petrolio emiratino e il 100% del gas qatarino.  L’ADCOP sarà collaudato in maggio e diverrà pienamente operativo dal prossimo giugno. Il progetto garantirà una fornitura continua di greggio con l’ulteriore vantaggio diridurre il tempo ditrasporto di due giorni rispetto al passaggio via mare.Analoghe iniziative sono state promosse dagli altri Paesi produttori del Golfo. Tra queste c’è la East-West Pipeline (EWP), un gasdotto che trasporterà cinque milioni di barili al giorno dal Turkmenistan all’Arabia Saudita. Questa pipeline sarà pienamente operativa solo dal 2015. A questa potrebbe aggiungersi la conduttura Abqaib-Yanbu, sempre in territorio saudita, che dovrebbe congiungere la costa del Mar Rosso con il Golfo Persico/Arabico e trasporterà oltre 290.000 barili giornalieri.Altro petrolio potrebbe seguire il percorso verso sud-nord, in direzione del porto di Ceyhan sul Mar Mediterraneo, attraverso l’oleodotto turco-iracheno, anche se è difficile quantificare il volume perché la condotta è stata danneggiata durante gli ultimi anni di conflitto. Disattivato, infine, ma con la potenzialità di essere ripristinato, è l’IPSA, l’oleodotto iracheno che attraversa il regno saudita con una capacità di 1.65 milioni di barili giornalieri. Infine, l’ultima infrastruttura in grado di aggirare l’intero Golfo Persico è la TAPLine (Trans Arabian Pipeline), una pipeline che taglierà l’intera regione mediorientale partendo da Qaisumah, in Arabia Saudita, per giungere fino a Sidone, in Libano, trasportando 1.5 milioni di barili al giorno.La realizzazione di queste infrastrutture potrebbe avere riflessi economici e strategici sull’equilibrio regionale a tutto vantaggio dei Paesi arabi, lasciando l’Iran in una posizione di svantaggio sia rispetto agli altri competitors arabo-petroliferi, sia rispetto all’Oman per il controllo delle rotte commerciali del Golfo. In questo modo, le monarchie del Golfo, potenzialmente le più danneggiate dall’iniziativa iraniana, ne uscirebbero rafforzate politicamente ed economicamente, facendo divenire le proprie infrastrutture punti di passaggio obbligati per tutti i flussi di petrolio diretti dal Golfo al resto del mondo.* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)
[1]   In serie le risoluzioni del Consiglio diSicurezza delle Nazioni Unite 1737(2006), 1747(2007),1803(2008) e 1929 (2010)contro l’Iran per la sua attività illegale di arricchimento dell’uranio.[2]   Per avere maggiore delucidazioni sullostatus giuridico degli Stretti Internazionali si veda “Politica del DirittoInternazionale Marittimo”, di Ferdinando SANFELICE DI MONTEFORTE, pp.79-85, inhttp://www.pug.units.it/sid/docenti/sanfelice%20di%20monteforte/didattica/POLITICA%20DEL%20DIRITTO%20INTERNAZIONALE%20MARITTIMO.pdf;

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